mercoledì 16 gennaio 2008

Gli studenti prima occupano poi esultano: «Ha vinto la laicità»

l’Unità 16.1.08
Gli studenti prima occupano poi esultano: «Ha vinto la laicità»
di Andrea Carugati

Sono le sette di sera e piove a dirotto sui palazzi e sui viali della Sapienza. Piove sugli striscioni contro il Papa, l’acqua annebbia i contorni delle parole a pennarello rosso, «Resisteremo al papato». Piove sulle aiuole dove gli operai hanno lavorato tutto il giorno perché fossero pronte e scintillanti per l’illustre ospite. Piove sulla cappella dove don Ottavio sta concludendo la messa con parole solenni: «Benediciamo coloro che hanno impedito la nostra gioia, coloro che ci hanno umiliato. Assolviamoci gli uni gli altri». Cita il padre nostro: «Rimetti a noi i nostri debiti come noi...». Sguardi tristi dei ragazzi seduti sui banchi, preghiere, silenzi.
Meno di due ore prima, poco dopo le cinque del pomeriggio, nell’auletta di Scienze politiche dove gli studenti erano riuniti con i prof di Fisica della lettera «No Ratzinger», fianco a fianco, era arrivata la Notizia: il Papa non viene. Ovazioni, applausi, cori. Abbracci. «È una vittoria della laicità, della ragione, ce l’abbiamo fatta», esulta Francesco Raparelli, dottorando in Filosofia, uno dei leader della protesta. «È una vittoria politica e culturale, l’università pubblica non ha bisogno di benedizioni. Adesso nessuno tocchi la 194 e le libertà sessuali». «Giovedì? Ci saremo lo stesso, sarà una grande festa». «Adesso fermiamo anche l’altro papa, Veltroni», gli fa eco un ragazzo in verde militare che vuole restare anonimo. «Una occasione perduta», commenta nel suo studio il rettore Renato Guarini. «Una sconfitta della libertà di espressione e del mondo laico. Da questa vicenda escono male quelli che l’hanno prodotta, i cattivi maestri. Io ho difeso la libertà di tutti, non ho nulla da rimproverarmi».
Finisce così una giornata lunghissima, iniziata attorno a mezzogiorno, quando un centinaio di studenti dei collettivi (in testa la «Rete per l’autoformazione») ha occupato il rettorato al grido di «Fuori il Papa dall’università» e con gli striscioni «La Sapienza ostaggio del Papa». Tutti abbarbicati attorno al grande tavolo del Senato accademico, su cui hanno appoggiato dei cartelli a pennarello nero. «Più Maria meno Gesù», dei collettivi antiproibizionisti e il romanesco «A Papa, forse non hai capito, nun te volemo!». Obiettivo dell’azione: ottenere un’area all’interno dell’università per manifestare giovedì mattina. «Non ce ne andremo finché non l’avremo ottenuta, no alle zone rosse e alla militarizzazione della Sapienza», assicurano. Parlano Bea e Luana, concetti nettissimi: «Ratzinger nega i diritti delle donne, criminalizza i gay, cosa deve venire a insegnarci?». Sono le due del pomeriggio, arriva la notizia che il rettore intende ricevere una delegazione. I ragazzi, barbette, giacche e maglioni anni 70, spariscono dietro il portone austero di legno scuro. Riemergono dopo una mezz’ora, la ressa di telecamere è incredibile, pare che debba uscire George W. Bush. Invece esce Francesco Raparelli, con aplomb da politico navigato: «Siamo contenti, abbiamo ottenuto uno spazio tra Lettere e la Minerva. Potremo esprimere il nostro dissenso contro un Papa reazionario, contro Mussi e Veltroni». Urla, applausi, cori: «Fuori il Papa dall’università». Non vi sentite un po’ intolleranti?, chiede un cronista. Replica Raparelli: «Non è facile essere laici e tolleranti con chi tollerante e laico non è, con un Papa che attacca le libertà civile e sessuali, un Papa tutto politico». Tocca al rettore dire la sua: «Ho dato agli studenti la possibilità di uno spazio per riunirsi e dialogare delle problematiche di loro interesse», spiega. «Credo nella loro capacità di autocontrollo, non ci saranno poliziotti in assetto antisommossa. Ma non ammetterò alcuna infiltrazione di chi studente non è». Nel frattempo Guarini ha ricevuto una telefonata dal Vaticano in cui ha appreso che l’ipotesi del forfait sta maturando. E dice: «So che nella cerchia del Papa c’è amarezza per quanto sta avvenendo, per questa campagna indegna che è stata montata».
È solo l’antipasto del Grande Rifiuto che due ore dopo sarà ufficiale. Che piomba sul Senato accademico riunito nella sala liberata dagli occupanti. Scuote la testa Massimiliano Rizzo, rappresentante degli studenti: «Un atto di intolleranza». «Una sberla per la Sapienza», dice il preside di Scienze Politiche Fulco Lanchester. Soddisfatto invece Andrea Frova, uno dei fisici più impegnati nella protesta: «È la conclusione migliore che si potesse sperare. Speriamo che sia un primissimo passo avanti per svincolare l’Italia dalla pressione ossessionante del Vaticano, che condiziona la nostra vita politica, sociale e culturale. Un primo passo per l’emancipazione, come è successo in Spagna». Nessuna ombra sulla Sapienza? «Macchè, questo lo dicono i politici che non sanno di cosa parlano. Potrebbero fare leva su di noi per fare dei passi avanti sulla laicità, sulla ricerca, sui Dico, e invece strumentalizzano tutto. Non hanno capito che qui alla Sapienza è emerso un tesoro, un punto di vista indipendente e dignitoso». Nel fronte dei prof. c’è anche prudenza, però. «Da noi critiche alla scelta del rettore, ma nessun intento censorio», precisa Giancarlo Ruocco, direttore del dipartimento di Fisica.
Sono le sette di sera, inizia la veglia di preghiera in cappella. Almeno quella è stata confermata. All’ingresso c’è ancora il librone per le dediche: «Messaggi per la visita del Santo Padre in cappella, 17 gennaio 2008». «Prega per noi», «aiutaci» «portaci una ventata di aria nuova, riscalda i nostri freddi cuori». Una madre scrive: «Sia tollerante con i ragazzi». Sull’altare c’è il cappellano Vincenzo D’Adamo, uomo mite e di larghe vedute, che si era spinto fino ad accettare la «frocessione» degli studenti, «purché non ci siano violenze». «Il Santo Padre ha rinunciato- dice- accogliamo la sua decisione ravvedendo in essa lo spirito evangelico della mitezza, della pace e della intelligenza». Due ragazze, sedute in fondo, scuotono la testa: «Non commentiamo, la nostra risposta è essere qui». Don Edoardo è duro: «Mi vergogno come italiano».