mercoledì 16 gennaio 2008

La rinuncia del Papa alla Sapienza riaccende un conflitto che ha le radici nella storia

La Repubblica 16.1.08
La rinuncia del Papa alla Sapienza riaccende un conflitto che ha le radici nella storia
Lepanto, Porta Pia e ora Ratzinger. l’Italia divisa nel nome di Benedetto
di Filippo Ceccarelli

Il doppio volto del Pontefice: persona mite che però da tre anni causa lacerazioni
Teatro della "deflagrazione" è l´ateneo che vide sommosse già nel pre-fascismo

Quante divisioni ha il Papa? chiedeva sprezzante Giuseppe Stalin. Ma quante divisioni si stanno creando, con questo Papa, in Italia, dove le cose non è che fossero già molto semplici, né ordinate, né promettenti, tantomeno pacifiche. Può sembrare ingiusto notarlo dopo che Benedetto XVI ha dovuto rinunciare alla sua visita all´Università di Roma per l´ostilità venutasi a creare lì dentro.
E tuttavia proprio questo suo gesto, anche prudente, questa amara rinuncia ad alto impatto politico e mediatico ha il potere di illuminare più di mille cartelli irriverenti e più di cento dichiarazioni vittimistiche, il nuovo conflitto antico che segnerà un prossimo futuro debitamente rivolto all´indietro, una specie di guerra di religione all´italiana, ora buffa, ora drammatica, comunque inutile ed esagerata come tutte le guerre.
Pare incredibile, la vita pubblica italiana: Lepanto e Porta Pia, ingiurie blasfeme e preghiere mirate, e veglie, processioni, pellegrinaggi, croci al collo e crocette all´occhiello dei leader, Calderoli crociato, Fini templare, Volontè che dà alle stampe un libretto intitolato «Furore giacobino», Mastella che evoca la figura del beato Bartolo Longo (1841-1926), che dall´anticlericalismo e dallo spiritismo si slanciò per le vie dell´eroismo cristiano fino a far sorgere il Santuario di Pompei. Le sacre immagini che tornano sugli stendardi, la corrente laica del Partito democratico, la Binetti che prega a ginocchioni nella chiesa vicina al loft , Pera che invoca il Sant´Uffizio contro i francescani giocherelloni, la «frocessione» di gay travestiti da suore o da vescovi e i manifesti, a Roma, di un´organizzazione che si chiama il Trifoglio, alcuni pure in latino, e che contemplano uno dopo l´altro tutti e dieci i comandamenti - sono arrivati al quarto, «Onora il Padre e la Madre», che sarebbe, anzi è un sacrosanto dovere, ma forse non sarà la propaganda politica sui muri a farlo rispettare.
Dice: non lo volevano far parlare. Vero. Potere chiama potere, come intolleranza chiama intolleranza. Il quarantennio democristiano ha intorpidito i ricordi degli scontri tra sanfedisti e giacobini, laicisti e anticlericali. Se si allunga il tavolo dello storia non è il primo Papa ad averne sofferto. Pio IX i liberali sostenevano che portasse jella e tentarono addirittura di gettarne il cadavere nel Tevere. Pio XI se la vide con i fascisti. Di Pio XII una deputata del Pci, Laura Diaz, disse che aveva «le mani sporche di sangue». Paolo VI fu aggredito sul piano personale per una presunta omosessualità. E quando all´inizio del suo pontificato Giovanni Paolo II fece qualche uscita controversa, provò Bettino Craxi a dargli una regolata sostenendo che leggeva la realtà italiana con «lenti polacche».
E dire che il Pontefice dovrebbe essere figura di pace, agnello fra i lupi. E magari lo è pure, Papa Benedetto, personalmente, intimamente, un uomo «mite, colto e sensibile», come lo ha dipinto Giuliano Ferrara, un intellettuale vero, un teologo, un filosofo, perciò curioso degli altri e forse pure aperto alle loro ragioni. E invece no. Saranno diventati di colpo cattivi, ma da quando Joseph Ratzinger è asceso al Soglio, ormai quasi tre anni orsono, sembra che gli italiani abbiano una ragione in più per polemizzare, litigare e adesso anche lacerarsi, e quindi esultare, offendere, vergognarsi, inventare pretesti, darsi addosso come allo stadio.
Passeggiando ieri mattina per i viali dell´ateneo capitolino, che la pioggia invernale e le transenne d´occasione rendevano ancora più brutti, veniva in mente che non sempre la «Sapienza», che dopo tutto i Papi hanno fondato, è stata autentica sede di sapienza. E di prudenza. Anzi, la "Sapienza" è sempre stato un ragguardevole laboratorio di effervescenza sociale, per non dire di rivolta giovanile. L´insigne professor Guarini, principe della Statistica, che chissà per quali nobili o recondite ragioni ha avuto la bella idea dell´invito, potrebbe utilmente valutare la regolarità delle sommosse che ciclicamente si dipartono avendo la «Sapienza» come infiammatissimo epicentro: da quelle interventiste a quelle fasciste, dall´uccisione in loco di Paolo Rossi (aprile 1966, vero preludio del Sessantotto) al Lama cacciato del Settantasette dopo la sparatoria del febbraio, a parte le varie «pantere», il costo dei libri, la rapina degli affitti e sub-affitti e l´obiettiva condizione di disagio che accoglie i ventenni nell´era di san Precario e della flessibilità.
Poca tensione comunque si respirava ieri, a parte striscioni «creativi» e scontati lenzuoli. Colpiva piuttosto l´esiguità dei giovani contestatori e la simmetrica abbondanza dei giornalisti che, nell´occupazione soft del Rettorato, rischiavano di intervistarsi l´un l´altro. Gli zainetti sull´enorme tavolone del Senato accademico, il polveroso stendardo accademico, la megafonata d´antan alla finestra, la pendola scarica o rotta, un paio di ragazzi-capetti molto gentili e preparati, si direbbe pronti per i talk-show, l´orrido e gelido connubio marmo-legno e alcuni temerari burocrati che scivolavano per i corridoi di quell´edificio negletto, e nei cui occhi si potevano leggere i più inconfessabili interessi: beghe di potere, concorsi taroccati, nepotismi, parcheggi. E adesso, sembravano dire, gli mancava solo questa storia del Papa.
Questo Papa, però. Perché la funzione è sempre quella, si sa, ma i Papi nella cronaca come nella storia non sono mica tutti uguali. E infatti quest´ultimo, per dirla chiara, più che come un capo spirituale (come era vissuto il penultimo, Karol Wojtyla), è vissuto da un pezzo di paese come un capo politico, per giunta del genere dei restauratori e degli intransigenti. E anche qui, a voler essere meno trancianti: forse non lo è nemmeno, Papa Ratzinger; forse è più interessato alla liturgia che alla teocrazia; forse è il sistema e l´automatismo dei media che lo costringono in quella gabbia; forse non basta che Celentano lo qualifichi «rock» o Libero osservi che «Papa Benedetto fa paura a chi non ha più nulla da dire e vuole solo demolire l´Occidente».
Ma certo non gli giova che a sinistra i teo-dem si proclamino, letteralmente, «guardie svizzere»; o che a destra, dopo aver preso le misure di un «partito incazzato e con la bava alla bocca», la Santanché se ne esca: «Questo Papa ha una forza pazzesca, ci esalta, è il migliore che potevamo avere». Lo Spirito Santo che lo ha scelto, rischia così di entrare, anzi di essere trascinato nel già cospicuo armamentario. Insieme con l´anima, l´ateismo, il diavolo, la legge di natura, la famiglia perfetta, il relativismo, il Concordato, i principi irrinunciabili, le radici cristiane, la verginità, la sacra fiction tv, il crocifisso di battaglia, il presepe contundente, il documento esplosivo sui preti pedofili, don Pierino e i matrimoni misti. Insomma, i «valori». Di solito più predicati che praticati, ma anche per questo eccezionalmente gettonati nel nuovo inutile conflitto che non costa nulla, però fa male lo stesso.