lunedì 7 gennaio 2008

Aborto, referendum come sfida

Aborto, referendum come sfida
La Stampa del 7 gennaio 2008, pag. 1

di Antonio Scurati
L’Italia non è un Paese cattolico. Le chiese sono vuote, le vocazioni estinte, i testi sacri ignorati. Soprattutto, le scelte di vita fondamentali degli italiani non sono ispirate ai precetti della Chiesa. Si tratta di un fatto di portata ben più ampia della laicità dello Stato. Si tratta di riconoscere che la grande maggioranza degli italiani vive e pensa da laica e da materialista.

La questione dell’aborto ne è la dimostrazione: si rimettano gli antiabortisti alla volontà degli italiani. Se davvero sono convinti del carattere universalistico della loro idea di sacralità della vita, propongano un referendum. Verrebbero pesantemente battuti. Lo dicono i sondaggi, lo dice un’onesta osservazione del mondo, lo dice l’intelligenza della contemporaneità. Questa facile previsione dovrebbe già di per sé stabilire un principio indiscutibile: nessun iter legislativo di revisione della 194 è ammissibile se non lo stesso dal quale quella legge scaturì 27 anni or sono. Vale a dire il grande pronunciamento democratico del referendum. Ogni altro percorso sarebbe esercizio dispotico di potere politico, manipolazione faziosa degli strumenti di deliberazione legislativa, oltraggio al comune senso della vita degli italiani odierni. Ma perché allora le voci più oltranziste degli apparati ecclesiastici e quelle dei laici in odore di conversione sono tanto in dissonanza con il sentimento della vita della maggioranza dei loro contemporanei? È forse una fede più salda a ispirare la loro veemente difesa del presunto «valore della vita», è forse una ragione più alta? No, è un panico morale. La stigmatizzazione dell’aborto legale come crimine contro l’umanità, i toni efferati con cui si evocano «genocidi paranazisti» e «stragi di innocenti» testimoniano non di una forte e libera identità culturale cristiana in seno alla nostra società ma di un suo smarrimento, di un’improvvisa e angosciante sensazione di debolezza dei confini del gruppo dei cattolici nel mondo attuale.

Nuovi attori sociali fanno il loro ingresso prepotente e caotico nella società civile - le donne emancipate, gli omosessuali, le giovani generazioni compiutamente atee e materialiste pur essendo estranee al comunismo - e gli alfieri della tradizione vengono presi dal panico, reagiscono tracciando una linea netta tra il bene da un lato e il malvagio dall’altro. Presi dal panico, cercano incarnazioni del peccato, rappresentazioni instabili e a rapida coagulazione del male. È un cattolicesimo debole questo in preda al panico morale, non un cattolicesimo forte della propria convinzione metafisica. Un cattolicesimo che si svilisce a dottrina morale e di lì subito precipita in partito politico, per altro oramai minoritario, sebbene assurdamente corteggiato e blandito da tutte le altre forze dell’arco parlamentare. Questi cattolici in preda al panico vanno rassicurati: la morale cattolica non è l’unica morale, la civilizzazione umana non cessa con il tramonto dell’egemonia culturale del cattolicesimo, la visione del mondo laica e materialista porta con sé un nuovo umanesimo. Anche per il pensiero materialista la persona umana è un valore supremo, non meno che per lo spiritualismo cristiano, solo che nell’ottica di un’etica laica la persona è l’insieme delle condizioni di vita materiali di un individuo, non un riflesso indecifrabile di un sempre più enigmatico volto divino. La visione materialista - dalla quale scaturirono le correnti migliori della tradizione socialista - non avendo altro orizzonte che quello dell’esistenza terrena, la prende terribilmente sul serio. Quest’ottica conduce a farsi carico dell’esistenza umana nelle sue condizioni concrete invece di limitarsi a proclamare genericamente il principio a priori della sacralità della vita.

Per questo motivo, la predicazione massimalista degli antiabortisti, così come la crociata contro gli anticoncezionali che l’accompagna, rischiano di apparire come le aberrazioni di un umanesimo senz’uomo. Anzi, senza la donna. La religione teologica della vita, nei suoi eccessi fondamentalisti, predica la cura dell’anima dopo la morte o il culto del principio della vita prima della nascita, a rischio di una sostanziale indifferenza per la storia umana che si svolge nel mezzo, nella parentesi tra le cose prime e le cose ultime. L’etica laica si ribella a questa visione, il suo umanesimo materialista le oppone non un’irresponsabilità nichilista ma un’appassionata perorazione dell’esistenza. Ci può essere un’immorale vigliaccheria nell’incantamento per gli assoluti, nella predicazione di principi sacri. A questa, il laico materialista preferisce la coraggiosa lotta con l’angelo della storia e con il demone della contingenza. Invece di divinare la vita in una macchia di gelatina fetale, il laico materialista si affannerà ad aprire asili cui le madri lavoratrici possano affidare i loro bambini, a riaprire consultori dove le adolescenti possano essere educate sessualmente e assistite medicalmente per evitare gravidanze improvvide, a creare condizioni di lavoro stabili per futuri eventuali padri responsabili, si chiederà come vivranno i bambini non voluti, non amati, i bambini deformi e malati fin dalla nascita, come vivranno miliardi di uomini messi al mondo in condizioni miserabili e in assenza di metodi anticoncezionali, preferirà un aborto medicalmente assistito a un feto strappato a cucchiaiate dal ventre materno. Insomma, il laico materialista sceglierà il male minore per un bene possibile invece di aborrire il male assoluto in nome di un bene impossibile.

Il sì alla vita del laico materialista benedirà la creatura in carne e ossa, anche a costo di dire di no al brivido misticheggiante per ciò che rimarrà increato. La carne, le ossa, le lacrime, il sangue sono l’unica cosa che ci riguarda in quanto cittadini membri di una comunità politica. Messe tutte assieme fanno ben più di una poltiglia di materia cieca, fanno l’unica misura comune a un’umanità magari disperata ma ancora appassionata di se stessa. Essere laici e materialisti, oggi più che mai, significa dover fare i conti con lo spettro del nichilismo, ma significa anche prendere sul serio l’esistenza e la sofferenza degli uomini.