Spagna, lo sciopero degli abortisti
Il Riformista del 9 gennaio 2008, pag. 1
di Sonia Oranges
Mentre in Italia si pensa a rivedere i limiti temporali previsti dalla legge per l'interruzione di gravidanza (la 194 li fissa entro le prime 12 settimane di gestazione, così com'è in Germania, Francia, Belgio e Olanda), altrove si cercano modi e tempi per adottare quegli stessi limiti che qui si vorrebbero messi in discussione. È il caso della Spagna, dove la normativa vigente considera l'aborto un crimine penalmente perseguibile, fatta esclusione per i casi di stupro (ma entro le prime 12 settimane), di gravi tare fisiche o psichiche del nascituro (entro la 22ma settimana e con il parere di un medico), e di grave pericolo per la vita o la salute psichica della madre (in questo caso, non ci sono limiti temporali ma è sempre indispensabile il parere di un medico). Una legge, quella spagnola, entrata in vigore nel 1985 e mai riformata, anche a causa delle forti pressioni della chiesa iberica, ma le cui maglie assai larghe hanno permesso, in qualche maniera, la scelta delle donne che, per motivi che attengono solamente alla loro coscienza, intendevano interrompere la gravidanza. Almeno finora. Perché, al pari, l'indeterminatezza delle condizioni fissate per l'aborto e la discrezionalità concessa ai medici, si rivela ora un'arma a doppio taglio.
Un'arma che i movimenti antiabortisti e il conservatorismo di stampo cattolico stanno brandendo come strumento elettoralistico contro il governo socialista guidato da Josè Luis Rodriguez Zapatero. Ma a dire no, stavolta, sono state le stesse cliniche (quasi tutte private) dove si pratica l'aborto, con una settimana di sciopero, per denunciare le «pressioni», alle volte affini alle aggressioni, e le «accuse sistematiche» dei movimenti per la vita, ma soprattutto per chiedere l'interruzione delle «ispezioni abusive» nelle strutture sanitarie (gli operatori parlano di controlli quadruplicati nell'ultimo anno), per garantire «il diritto all'aborto e la sicurezza per i professionisti che lo praticano».
La protesta delle strutture spagnole che fanno capo all'associazione delle cliniche accreditate per l'interruzione di gravidanza è l'ultimo atto di una guerra di posizione che, nei mesi scorsi, ha portato la guardia civil in una serie di cliniche del paese. Due le strutture chiuse a Barcellona, una a Madrid, dove sette persone sono finite dietro le sbarre con l'accusa di aver fatto aborti illegali. E proprio all'indomani di quest'ultimo episodio, a metà dicembre, il premier Zapatero sollevò la questione in seno al Psoe, chiedendo di inserire nel programma elettorale socialista una riforma della legge che depenalizzasse l'aborto entro i primi tre mesi di gravidanza e al contempo inasprisse i controlli delle prescrizioni mediche in caso di interruzione oltre le prime 12 settimane di gestazione. Un progetto peraltro già in nuce nel programma dell'attuale legislatura. Il dibattito sulla richiesta del premier, però, non ha trovato una sintesi favorevole, visto che la maggioranza del partito non se l'è sentita, a un paio di mesi dalle elezioni, di gettare altra benzina sul fuoco dei già difficili rapporti con la chiesa spagnola che ha dovuto ingoiare bocconi amarissimi come la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e l'esclusione della religione dalle materie curriculari delle scuole pubbliche.
Di certo, il dibattito non è stato aiutato dalla mozione parlamentare presentata in proposito dalla sinistra comunista e verde, la cui bocciatura ha mostrato le divisioni interne al Psoe su questo tema. Ma, soprattutto, il no di Izquierda Unida e verdi catalani a un emendamento più moderato (che non trasformasse la questione in un casus belli), ha tristemente dimostrato che a sinistra del Psoe più che riformare la legge, si intendeva recuperare un po' di consenso. E non certo ai danni del Partito popolare. Così, a Zapatero non è restato altro che ammantarsi di autorevolezza e dire che no, la scelta di escludere la riforma della legge sull'aborto dal suo programma elettorale non è stata influenzata dalla chiesa cattolica, e che una tale ipotesi «non sembra credibile, non dopo il varo di una serie di leggi di modernizzazione ed estensione dei diritti approvate dal governo». Anche se, leggendo tra le righe, la porta del rinnovato socialismo alla Zapatero resta aperta al progetto, anche se solamente in forma di «riflessione». E per paradosso anche il "family day" in salsa spagnola di fine anno ha finito per dare una mano al premier consentendogli di ribadire l'assoluta autonomia dello stato dalla chiesa: «Nessuno può imporre la fede, né la morale, né i costumi: soltanto il rispetto delle leggi, che è il Dna della democrazia».
Il Riformista del 9 gennaio 2008, pag. 1
di Sonia Oranges
Mentre in Italia si pensa a rivedere i limiti temporali previsti dalla legge per l'interruzione di gravidanza (la 194 li fissa entro le prime 12 settimane di gestazione, così com'è in Germania, Francia, Belgio e Olanda), altrove si cercano modi e tempi per adottare quegli stessi limiti che qui si vorrebbero messi in discussione. È il caso della Spagna, dove la normativa vigente considera l'aborto un crimine penalmente perseguibile, fatta esclusione per i casi di stupro (ma entro le prime 12 settimane), di gravi tare fisiche o psichiche del nascituro (entro la 22ma settimana e con il parere di un medico), e di grave pericolo per la vita o la salute psichica della madre (in questo caso, non ci sono limiti temporali ma è sempre indispensabile il parere di un medico). Una legge, quella spagnola, entrata in vigore nel 1985 e mai riformata, anche a causa delle forti pressioni della chiesa iberica, ma le cui maglie assai larghe hanno permesso, in qualche maniera, la scelta delle donne che, per motivi che attengono solamente alla loro coscienza, intendevano interrompere la gravidanza. Almeno finora. Perché, al pari, l'indeterminatezza delle condizioni fissate per l'aborto e la discrezionalità concessa ai medici, si rivela ora un'arma a doppio taglio.
Un'arma che i movimenti antiabortisti e il conservatorismo di stampo cattolico stanno brandendo come strumento elettoralistico contro il governo socialista guidato da Josè Luis Rodriguez Zapatero. Ma a dire no, stavolta, sono state le stesse cliniche (quasi tutte private) dove si pratica l'aborto, con una settimana di sciopero, per denunciare le «pressioni», alle volte affini alle aggressioni, e le «accuse sistematiche» dei movimenti per la vita, ma soprattutto per chiedere l'interruzione delle «ispezioni abusive» nelle strutture sanitarie (gli operatori parlano di controlli quadruplicati nell'ultimo anno), per garantire «il diritto all'aborto e la sicurezza per i professionisti che lo praticano».
La protesta delle strutture spagnole che fanno capo all'associazione delle cliniche accreditate per l'interruzione di gravidanza è l'ultimo atto di una guerra di posizione che, nei mesi scorsi, ha portato la guardia civil in una serie di cliniche del paese. Due le strutture chiuse a Barcellona, una a Madrid, dove sette persone sono finite dietro le sbarre con l'accusa di aver fatto aborti illegali. E proprio all'indomani di quest'ultimo episodio, a metà dicembre, il premier Zapatero sollevò la questione in seno al Psoe, chiedendo di inserire nel programma elettorale socialista una riforma della legge che depenalizzasse l'aborto entro i primi tre mesi di gravidanza e al contempo inasprisse i controlli delle prescrizioni mediche in caso di interruzione oltre le prime 12 settimane di gestazione. Un progetto peraltro già in nuce nel programma dell'attuale legislatura. Il dibattito sulla richiesta del premier, però, non ha trovato una sintesi favorevole, visto che la maggioranza del partito non se l'è sentita, a un paio di mesi dalle elezioni, di gettare altra benzina sul fuoco dei già difficili rapporti con la chiesa spagnola che ha dovuto ingoiare bocconi amarissimi come la legalizzazione dei matrimoni omosessuali e l'esclusione della religione dalle materie curriculari delle scuole pubbliche.
Di certo, il dibattito non è stato aiutato dalla mozione parlamentare presentata in proposito dalla sinistra comunista e verde, la cui bocciatura ha mostrato le divisioni interne al Psoe su questo tema. Ma, soprattutto, il no di Izquierda Unida e verdi catalani a un emendamento più moderato (che non trasformasse la questione in un casus belli), ha tristemente dimostrato che a sinistra del Psoe più che riformare la legge, si intendeva recuperare un po' di consenso. E non certo ai danni del Partito popolare. Così, a Zapatero non è restato altro che ammantarsi di autorevolezza e dire che no, la scelta di escludere la riforma della legge sull'aborto dal suo programma elettorale non è stata influenzata dalla chiesa cattolica, e che una tale ipotesi «non sembra credibile, non dopo il varo di una serie di leggi di modernizzazione ed estensione dei diritti approvate dal governo». Anche se, leggendo tra le righe, la porta del rinnovato socialismo alla Zapatero resta aperta al progetto, anche se solamente in forma di «riflessione». E per paradosso anche il "family day" in salsa spagnola di fine anno ha finito per dare una mano al premier consentendogli di ribadire l'assoluta autonomia dello stato dalla chiesa: «Nessuno può imporre la fede, né la morale, né i costumi: soltanto il rispetto delle leggi, che è il Dna della democrazia».