«Censori noi? è la Chiesa che ci attacca»
Il Riformista.it del 16 gennaio 2008
di Stefano Cappellini
Se la facoltà di Fisica è il cuore della rivolta anti-Ratzinger, lo studio del professor Andrea Frova, al terzo piano dell’istituto, con vista sulla città universitaria La Sapienza, è il cuore del cuore. Frova non è solo uno dei circa 60 docenti che in novembre hanno scritto al rettore Renato Guarini per chiedere di annullare l’invito a Joseph Ratzinger in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, ma è anche il più galileiano tra i fisici firmatari, autore di un testo di fama mondiale, Parola di Galileo, distrattamente poggiato sulla sua scrivania. Alla porta di Frova bussano docenti che chiedono fuori tempo massimo di sottoscrivere il documento. Lui li liquida un po’ brusco: «Non è un appello, è una lettera di due mesi fa. Se volete, scrivete direttamente al rettore». Il telefono squilla ogni minuto esatto. «Il Los Angeles Times che chiede un’intervista», spiega lui. Nuovo squillo. Un collega spagnolo. «Quanto gli invidio Zapatero. Quando sento i politici di centrosinistra dire che non bisogna rischiare lo zapaterismo, mi sento male». Ma Frova non accetta letture politiche della vicenda che sta agitando i palazzi della politica come poche altre negli ultimi mesi: «Sia chiaro, noi siamo tutti moderatissimi e questa storia è finita sui giornali per ragioni strumentali. Il nostro non era un appello pubblico, ma una lettera privata al rettore. Abbiamo diritto o no di dire la nostra al rettore su questioni che riguardano le linee guida della nostra comunità?». Ma ora che la vicenda ha assunto contorni giganteschi il prof non si tira indietro: «Siamo sommersi di mail di solidarietà, di gente che dice che finalmente qualcuno si è eretto dal tappeto sul quale tutti, politici in testa, sono distesi».
Al secondo e terzo piano dell’edificio intitolato a Guglielmo Marconi, dove ci sono gli studi dei docenti, la preoccupazione generale è ricostruire la dinamica dei fatti. Che secondo i fisici è la seguente: in novembre Marcello Cini pubblica un intervento sul manifesto per contestare l’affidamento della lectio magistralis inaugurale dell’anno accademico a Benedetto XVI. A stretto giro, sessanta docenti, quasi tutti fisici, scrivono una lettera al rettore per sostenere Cini e contestare l’«incongrua» presenza. Il rettore si convince che qualcosa va cambiato (e tutti i prof si dicono convinti che Fabio Mussi ci metta del suo a “sconsigliare” Guarini). La lectio magistralis del papa diventa un discorso successivo alla cerimonia ufficiale, anche se per Guarini, addirittura, non è mai esistita l’ipotesi contestata. In ogni caso, per i fisici la sostanza è la stessa e il problema resta. Poi la lettera arriva ai giornali. E scoppia il «caso Galileo». «Ma quello di Galileo è un riferimento quasi aneddotico. La questione è l’inopportunità della presenza di un pontefice che ha rotto l’armistizio tra scienza e fede e ha intrapreso una battaglia contro il metodo scientifico», dice Giorgio Parisi, cattedra di Fisica teorica, compagno di stanza di Cini. Parisi pare la caricatura dello scienziato: scapigliato, sciatto il giusto nel suo loden verde bottiglia: «Nessuno di noi - dice Parisi - ha protestato per la laurea honoris causa a Giovanni Paolo II, né lo avremmo fatto se Ratzinger fosse stato invitato per una lezione di teologia alla facoltà di Filosofia. Ma l’inaugurazione dell’anno accademico è un momento particolare, che coinvolge e rappresenta tutta l’università, e deve essere coerente con le linee guida della nostra attività didattica». Vuol dire anche che con il precedente papa tutto questo non sarebbe successo? «Penso di no», risponde Parisi.
Per i viali della Sapienza l’aria è elettrica. In tutte le facoltà ci sono manifesti e inviti alla mobilitazione. In mattinata un centinaio di studenti della Rete per l’autoformazione, la filiazione universitaria dei Disobbedienti, occupa il rettorato. Ma sono i professionisti del picchetto: per loro il papa, Berlusconi, Prodi o Bush farebbe lo stesso. Se si vuole respirare l’aria tutta particolare di questa storia bisogna restare all’istituto di Fisica, all’angolo del piazzale della Minerva che tante ne ha viste. Ma non è il 1968 che viene a mente, e tantomeno il 1977, affacciandosi nell’atrio dell’edificio dove troneggia la scultura di Galileo e Milton. Certo, all’ingresso ci sono i tazebao del collettivo studentesco che ha organizzato la «settimana anticlericale», gli striscioni delle femministe («194 motivi per cacciarti»). Nelle aule si tengono riunioni nelle quali sfilano i vecchi arnesi che arringano e blandiscono gli studenti: il cinquantenne dei Cobas che fa demagogia («Dovevano invitare gli operai della Thyssen»), il quarantenne trotzkista che ce l’ha più «col silenzio del Pd e della Cosa rossa» che con Benedetto XVI. Gli astanti - un cruogiolo di post-autonomi, femministe, collettivi gay lesbo trans eccetera - ascoltano svogliatamente. No, niente ’68. Saranno le suggestioni letterarie, sarà che sembrano riaperte ferite secolari, il cardinal Bellarmino e l’Inquisizione, vecchie abiure e dispute dottrinarie del Medioevo, ma la cittadella dei fisici, nelle parole dei suoi abitanti, evoca il fortino della Repubblica romana o - se ci si passa lo slittamento - le città anabattiste assediate dalle truppe luterane. I prof sono convinti di aver sfidato un potere ingiusto e invasivo.
In tarda mattinata, quando ancora la presenza del Papa sembra confermata, arriva in facoltà Luciano Maiani, nuovo presidente del Cnr, che sui giornali del mattino ha ammorbidito i toni e sdoganato la visita papale. «Ma il mio non è stato un dietrofront», giura Maiani. E aggiunge: «Certo, se due mesi fa fossi stato già designato alla guida del Cnr, mi sarei astenuto dal firmare la lettera. Se invece le polemiche sul mio conto stanno a significare che si vuole un presidente del Cnr che consideri superato il limite tra scienza e fede, allora ne cerchino un altro».
C’è orgoglio nella cittadella dei fisici, e anche a parlare con dozzine di prof non se ne trova uno pentito di essersi esposto. Ma c’è anche un po’ di paura, di essere additati come i fomentatori di possibili contestazioni violente, quindi di passare come censori e intolleranti. «Censori noi? Mi pare la storia del lupo e dell’agnello», ribatte Enzo Marinari. Il quale è mezzo indignato mezzo divertito dall’accusa secondo cui gli scienziati avrebbero travisato il senso della citazione di Feyerabend («All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto») utilizzata da Ratzinger tre lustri fa e oggi incriminata: «Il metodo - dice Marinari - è il medesimo del discorso di Ratisbona. Ratzinger usa una citazione, non la fa sua apertamente, ma di fatto la utilizza per sposarne la tesi».
In facoltà si aggira anche Carlo Bernardini, decano della comunità: «Mi pare che di questa storia si sia parlato fin troppo», butta lì. Che sia il primo pentito? «Tutt’altro - spiega Bernardini, ex senatore indipendente del Pci - non mi fa piacere che il papa metta piede all’università e non mi piace l’idea che i giovani possano essere influenzati da chi chiede alla scienza di arrestarsi davanti ai dogmi e alle dottrine». Il professor Calogero ne fa anche una questione di par condicio: «Se oggi tocca al papa, il prossimo anno chi invitiamo, il rabbino?».
Nel pomeriggio arriva la notizia che il pontefice rinuncia. I collettivi esultano, ma confermano le mobilitazioni di giovedì. Il ministro Mussi si dice «rammaricato». Il rettore pure. Da centrodestra e centrosinistra è un coro di accuse: censura e intolleranza verso Benedetto XVI. Un illustre fisico, Antonio Zichichi, si dissocia dai colleghi: «Questi signori della Sapienza contestano e travisano il pensiero del papa perché hanno una paura matta di Benedetto XVI, del suo gigantismo culturale». Ma al terzo piano Frova la pensa sempre all’opposto: «Ratzinger dice che la scienza è in crisi con se stessa. Ma questa è la condizione naturale della scienza: procedere per errore e per sperimentazione. Il fatto è che questo è un papa mal consigliato, spesso costretto a ritrattare, del quale solo in Italia si sopravvaluta la caratura intellettuale».
Il Riformista.it del 16 gennaio 2008
di Stefano Cappellini
Se la facoltà di Fisica è il cuore della rivolta anti-Ratzinger, lo studio del professor Andrea Frova, al terzo piano dell’istituto, con vista sulla città universitaria La Sapienza, è il cuore del cuore. Frova non è solo uno dei circa 60 docenti che in novembre hanno scritto al rettore Renato Guarini per chiedere di annullare l’invito a Joseph Ratzinger in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico, ma è anche il più galileiano tra i fisici firmatari, autore di un testo di fama mondiale, Parola di Galileo, distrattamente poggiato sulla sua scrivania. Alla porta di Frova bussano docenti che chiedono fuori tempo massimo di sottoscrivere il documento. Lui li liquida un po’ brusco: «Non è un appello, è una lettera di due mesi fa. Se volete, scrivete direttamente al rettore». Il telefono squilla ogni minuto esatto. «Il Los Angeles Times che chiede un’intervista», spiega lui. Nuovo squillo. Un collega spagnolo. «Quanto gli invidio Zapatero. Quando sento i politici di centrosinistra dire che non bisogna rischiare lo zapaterismo, mi sento male». Ma Frova non accetta letture politiche della vicenda che sta agitando i palazzi della politica come poche altre negli ultimi mesi: «Sia chiaro, noi siamo tutti moderatissimi e questa storia è finita sui giornali per ragioni strumentali. Il nostro non era un appello pubblico, ma una lettera privata al rettore. Abbiamo diritto o no di dire la nostra al rettore su questioni che riguardano le linee guida della nostra comunità?». Ma ora che la vicenda ha assunto contorni giganteschi il prof non si tira indietro: «Siamo sommersi di mail di solidarietà, di gente che dice che finalmente qualcuno si è eretto dal tappeto sul quale tutti, politici in testa, sono distesi».
Al secondo e terzo piano dell’edificio intitolato a Guglielmo Marconi, dove ci sono gli studi dei docenti, la preoccupazione generale è ricostruire la dinamica dei fatti. Che secondo i fisici è la seguente: in novembre Marcello Cini pubblica un intervento sul manifesto per contestare l’affidamento della lectio magistralis inaugurale dell’anno accademico a Benedetto XVI. A stretto giro, sessanta docenti, quasi tutti fisici, scrivono una lettera al rettore per sostenere Cini e contestare l’«incongrua» presenza. Il rettore si convince che qualcosa va cambiato (e tutti i prof si dicono convinti che Fabio Mussi ci metta del suo a “sconsigliare” Guarini). La lectio magistralis del papa diventa un discorso successivo alla cerimonia ufficiale, anche se per Guarini, addirittura, non è mai esistita l’ipotesi contestata. In ogni caso, per i fisici la sostanza è la stessa e il problema resta. Poi la lettera arriva ai giornali. E scoppia il «caso Galileo». «Ma quello di Galileo è un riferimento quasi aneddotico. La questione è l’inopportunità della presenza di un pontefice che ha rotto l’armistizio tra scienza e fede e ha intrapreso una battaglia contro il metodo scientifico», dice Giorgio Parisi, cattedra di Fisica teorica, compagno di stanza di Cini. Parisi pare la caricatura dello scienziato: scapigliato, sciatto il giusto nel suo loden verde bottiglia: «Nessuno di noi - dice Parisi - ha protestato per la laurea honoris causa a Giovanni Paolo II, né lo avremmo fatto se Ratzinger fosse stato invitato per una lezione di teologia alla facoltà di Filosofia. Ma l’inaugurazione dell’anno accademico è un momento particolare, che coinvolge e rappresenta tutta l’università, e deve essere coerente con le linee guida della nostra attività didattica». Vuol dire anche che con il precedente papa tutto questo non sarebbe successo? «Penso di no», risponde Parisi.
Per i viali della Sapienza l’aria è elettrica. In tutte le facoltà ci sono manifesti e inviti alla mobilitazione. In mattinata un centinaio di studenti della Rete per l’autoformazione, la filiazione universitaria dei Disobbedienti, occupa il rettorato. Ma sono i professionisti del picchetto: per loro il papa, Berlusconi, Prodi o Bush farebbe lo stesso. Se si vuole respirare l’aria tutta particolare di questa storia bisogna restare all’istituto di Fisica, all’angolo del piazzale della Minerva che tante ne ha viste. Ma non è il 1968 che viene a mente, e tantomeno il 1977, affacciandosi nell’atrio dell’edificio dove troneggia la scultura di Galileo e Milton. Certo, all’ingresso ci sono i tazebao del collettivo studentesco che ha organizzato la «settimana anticlericale», gli striscioni delle femministe («194 motivi per cacciarti»). Nelle aule si tengono riunioni nelle quali sfilano i vecchi arnesi che arringano e blandiscono gli studenti: il cinquantenne dei Cobas che fa demagogia («Dovevano invitare gli operai della Thyssen»), il quarantenne trotzkista che ce l’ha più «col silenzio del Pd e della Cosa rossa» che con Benedetto XVI. Gli astanti - un cruogiolo di post-autonomi, femministe, collettivi gay lesbo trans eccetera - ascoltano svogliatamente. No, niente ’68. Saranno le suggestioni letterarie, sarà che sembrano riaperte ferite secolari, il cardinal Bellarmino e l’Inquisizione, vecchie abiure e dispute dottrinarie del Medioevo, ma la cittadella dei fisici, nelle parole dei suoi abitanti, evoca il fortino della Repubblica romana o - se ci si passa lo slittamento - le città anabattiste assediate dalle truppe luterane. I prof sono convinti di aver sfidato un potere ingiusto e invasivo.
In tarda mattinata, quando ancora la presenza del Papa sembra confermata, arriva in facoltà Luciano Maiani, nuovo presidente del Cnr, che sui giornali del mattino ha ammorbidito i toni e sdoganato la visita papale. «Ma il mio non è stato un dietrofront», giura Maiani. E aggiunge: «Certo, se due mesi fa fossi stato già designato alla guida del Cnr, mi sarei astenuto dal firmare la lettera. Se invece le polemiche sul mio conto stanno a significare che si vuole un presidente del Cnr che consideri superato il limite tra scienza e fede, allora ne cerchino un altro».
C’è orgoglio nella cittadella dei fisici, e anche a parlare con dozzine di prof non se ne trova uno pentito di essersi esposto. Ma c’è anche un po’ di paura, di essere additati come i fomentatori di possibili contestazioni violente, quindi di passare come censori e intolleranti. «Censori noi? Mi pare la storia del lupo e dell’agnello», ribatte Enzo Marinari. Il quale è mezzo indignato mezzo divertito dall’accusa secondo cui gli scienziati avrebbero travisato il senso della citazione di Feyerabend («All’epoca di Galileo la Chiesa rimase molto più fedele alla ragione dello stesso Galileo. Il processo contro Galileo fu ragionevole e giusto») utilizzata da Ratzinger tre lustri fa e oggi incriminata: «Il metodo - dice Marinari - è il medesimo del discorso di Ratisbona. Ratzinger usa una citazione, non la fa sua apertamente, ma di fatto la utilizza per sposarne la tesi».
In facoltà si aggira anche Carlo Bernardini, decano della comunità: «Mi pare che di questa storia si sia parlato fin troppo», butta lì. Che sia il primo pentito? «Tutt’altro - spiega Bernardini, ex senatore indipendente del Pci - non mi fa piacere che il papa metta piede all’università e non mi piace l’idea che i giovani possano essere influenzati da chi chiede alla scienza di arrestarsi davanti ai dogmi e alle dottrine». Il professor Calogero ne fa anche una questione di par condicio: «Se oggi tocca al papa, il prossimo anno chi invitiamo, il rabbino?».
Nel pomeriggio arriva la notizia che il pontefice rinuncia. I collettivi esultano, ma confermano le mobilitazioni di giovedì. Il ministro Mussi si dice «rammaricato». Il rettore pure. Da centrodestra e centrosinistra è un coro di accuse: censura e intolleranza verso Benedetto XVI. Un illustre fisico, Antonio Zichichi, si dissocia dai colleghi: «Questi signori della Sapienza contestano e travisano il pensiero del papa perché hanno una paura matta di Benedetto XVI, del suo gigantismo culturale». Ma al terzo piano Frova la pensa sempre all’opposto: «Ratzinger dice che la scienza è in crisi con se stessa. Ma questa è la condizione naturale della scienza: procedere per errore e per sperimentazione. Il fatto è che questo è un papa mal consigliato, spesso costretto a ritrattare, del quale solo in Italia si sopravvaluta la caratura intellettuale».