l’Unità 15.1.08
L’aborto, la libertà, i diritti
di Gianna Granati Tamburrano
Puntualmente si torna a parlare della 194. Come sempre scendono in campo le gerarchie cattoliche le quali protestano prima di tutto per la risposta secca degli abortisti: «La legge non si tocca». È vero, la risposta è intollerante. Non vorrei sembrare intollerante e perciò parliamone. Espongo qui le ragioni per le quali, secondo me, le gerarchie ecclesiastiche hanno torto. Esse sostengono - vedi da ultimo il cardinal Bagnasco sul Corriere della Sera del 4 gennaio 2008 - che l’evoluzione tecnica e scientifica e dello spirito pubblico inducono a rivedere la legge. Io non capisco perchè la evoluzione tecnica e scientifica invocata dagli antiabortisti va in quella direzione. Ritengo che vada nella direzione opposta perché essa ha reso più facile la contraccezione la quale previene l’aborto, contraccezione che la chiesa, però, respinge in tutte le sue forme, compreso l’innocente profilattico. Per quanto riguarda lo spirito pubblico per i sondaggi gli antiabortisti sono meno del 30%, all’incirca la stessa percentuale del referendum del 1981.
Insomma vi è una minoranza alla quale nessuno impone l’aborto e la quale, invece, almeno attraverso il magistero della chiesa, vorrebbe impedire alla maggioranza di esercitare un diritto che è, non ci sarebbe bisogno di dirlo, nella stragrande maggioranza dei casi una decisione dolorosissima che lascia cicatrici indelebili nell’animo e nella psiche della donna. E questo è, nella maniera più evidente, un comportamento antidemocratico. Essi dicono che lo fanno per la tutela del nascituro. Ma non pensano che un figlio non accettato provocherà l’infelicità della madre e sua? O meglio che la madre ricorrerà all’aborto clandestino o all’abbandono? E non dicono nulla le statistiche che rivelano che i casi di aborto si sono dimezzati?
Su un punto concordo con il cardinal Bagnasco: quello di dare applicazione piena alla legge 194.
In conclusione la chiesa ha il diritto di far valere le ragioni del suo magistero, ma lo stato ha il dovere di proteggere i diritti e le libertà di tutti. Mi preme ricordare quanto scrisse Pietro Nenni ad Aldo Moro a proposito di un intervento di Paolo VI sui lavori parlamentari relativi alla legge sul divorzio: «La Costituzione ha voluto che Stato e Chiesa cattolica siano, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. La Chiesa è nel suo diritto quando ravvisa nel matrimonio un sacramento indissolubile davanti a Dio ed ai suoi rappresentanti in terra. Lo Stato è nel suo diritto se regola, o propone di regolare come meglio crede, gli effetti civili del matrimonio, ispirandosi al criterio che l’uomo può dividere ciò che l’uomo unisce. Sono convinto che non è nell’interesse di nessuno, né dello Stato né della Santa Sede, sollevare questioni inerenti alla sovranità dei due poteri. Va da sé che come ministro tengo per lo Stato».
L’aborto, la libertà, i diritti
di Gianna Granati Tamburrano
Puntualmente si torna a parlare della 194. Come sempre scendono in campo le gerarchie cattoliche le quali protestano prima di tutto per la risposta secca degli abortisti: «La legge non si tocca». È vero, la risposta è intollerante. Non vorrei sembrare intollerante e perciò parliamone. Espongo qui le ragioni per le quali, secondo me, le gerarchie ecclesiastiche hanno torto. Esse sostengono - vedi da ultimo il cardinal Bagnasco sul Corriere della Sera del 4 gennaio 2008 - che l’evoluzione tecnica e scientifica e dello spirito pubblico inducono a rivedere la legge. Io non capisco perchè la evoluzione tecnica e scientifica invocata dagli antiabortisti va in quella direzione. Ritengo che vada nella direzione opposta perché essa ha reso più facile la contraccezione la quale previene l’aborto, contraccezione che la chiesa, però, respinge in tutte le sue forme, compreso l’innocente profilattico. Per quanto riguarda lo spirito pubblico per i sondaggi gli antiabortisti sono meno del 30%, all’incirca la stessa percentuale del referendum del 1981.
Insomma vi è una minoranza alla quale nessuno impone l’aborto e la quale, invece, almeno attraverso il magistero della chiesa, vorrebbe impedire alla maggioranza di esercitare un diritto che è, non ci sarebbe bisogno di dirlo, nella stragrande maggioranza dei casi una decisione dolorosissima che lascia cicatrici indelebili nell’animo e nella psiche della donna. E questo è, nella maniera più evidente, un comportamento antidemocratico. Essi dicono che lo fanno per la tutela del nascituro. Ma non pensano che un figlio non accettato provocherà l’infelicità della madre e sua? O meglio che la madre ricorrerà all’aborto clandestino o all’abbandono? E non dicono nulla le statistiche che rivelano che i casi di aborto si sono dimezzati?
Su un punto concordo con il cardinal Bagnasco: quello di dare applicazione piena alla legge 194.
In conclusione la chiesa ha il diritto di far valere le ragioni del suo magistero, ma lo stato ha il dovere di proteggere i diritti e le libertà di tutti. Mi preme ricordare quanto scrisse Pietro Nenni ad Aldo Moro a proposito di un intervento di Paolo VI sui lavori parlamentari relativi alla legge sul divorzio: «La Costituzione ha voluto che Stato e Chiesa cattolica siano, ciascuno nel proprio ordine, indipendenti e sovrani. La Chiesa è nel suo diritto quando ravvisa nel matrimonio un sacramento indissolubile davanti a Dio ed ai suoi rappresentanti in terra. Lo Stato è nel suo diritto se regola, o propone di regolare come meglio crede, gli effetti civili del matrimonio, ispirandosi al criterio che l’uomo può dividere ciò che l’uomo unisce. Sono convinto che non è nell’interesse di nessuno, né dello Stato né della Santa Sede, sollevare questioni inerenti alla sovranità dei due poteri. Va da sé che come ministro tengo per lo Stato».