l’Unità 2.1.08
Sesso e metafisica nella Francia del Settecento
di Anna Tito
ARRIVA in edizione italiana Thérèse philosophe, capolavoro della letteratura erotica apparso nel 1748 e sequestrato per ben dodici volte. Attribuito a Denis Diderot, andò a ruba al mercato clandestino
Ecco infine proposto, in edizione italiana, grazie a Coniglio edizioni e alla cura dell’uomo di teatro e scrittore Riccardo Reim, Thérèse philosophe (pp. 140, euro 13), capolavoro della letteratura erotica del Settecento francese, apparso nel 1748, sequestrato per ben dodici volte, ristampato a sedici riprese, richiesto a migliaia di copie, e in cui gli argomenti filosofici in favore dell’ateismo e della sensualità vengono a intrecciarsi con la denuncia dei costumi del clero e le lezioni di contraccezione.
A conferma dell’intramontabile successo del libro libertino più venduto del XVIII secolo, nonché della sua incontestabile attualità, lo scorso aprile nel parigino Odéon-Théâtre de l’Europe, lo spettacolo della durata di 3 ore e 45 minuti messo in scena dal russo Anatoli Vassiliev, e dedicato a Thérèse, ha visto il tutto esaurito per la ventina e più di repliche proposte.
Primo in classifica, dunque, fra i best-seller «proibiti» dell’Illuminismo, venduti ovunque dagli ambulanti «sotto il mantello», Thérèse philosophe fu attribuito di volta in volta sia allo scrittore e filosofo fondatore dell’Encyclopédie Denis Diderot sia - come ebbe ad affermare il marchese Donatien-Alphonse-François de Sade nella sua Nouvelle Justine nel 1799 per indurre la propria eroina a «prosperare nel vizio» - a un altro «divino marchese», anch’esso libertino del Settecento, de Boyer marchese d’Argens. E lo pubblicava, così come altre opere censurate, la svizzera Société Typographique di Neuchâtel, fra le principali case editrici che fiorirono intorno ai confini francesi per soddisfare la domanda di edizioni pirata e di libri proibiti all’interno del Regno.
Come in molti classici della «tradizione pornografica», la narrazione di Thérèse consiste in una sequela di amplessi, ma in questo caso raccordati fra loro da dialoghi di argomento metafisico, che permettono ai partner di tirare il fiato e rimettersi in forze prima di rituffarsi nei loro piaceri, binomio tipico dello spirito libertino del Settecento, in cui Sesso e Metafisica andavano di pari passo.
La trama del romanzo appare semplice: ispirandosi a un clamoroso fatto di cronaca realmente accaduto alcuni anni addietro, l’anonimo autore narra di un padre gesuita, Girard, anagrammato in Dirrag, direttore di un istituto femminile di penitenza, che corrompe Caterina Cadière, fanciulla pia e innocente, figlia di un agiato commerciante di provincia e il cui cognome diviene, anch’esso anagrammato, Eradice; quando la ragazza rimane incinta a seguito dei frequenti «rapimenti mistici», per dirla con Thérèse, il religioso la induce all’aborto.
Al processo, nonostante l’indignazione generale, Girard viene assolto e Caterina condannata per diffamazione.
A questa vicenda il supposto Diderot o marchese d’Argens attinge per attaccare in maniera feroce il clero, la sua ipocrisia e la religione, tracciando un quadro senza veli della società e della Chiesa sotto il regno di Luigi XV: la protagonista, la filosofa Thérèse, compare come voce narrante che viene a renderci una descrizione quanto mai viva delle «avventure» più o meno mirabolanti e «sconvenienti» delle quali essa è sempre la segreta e attenta testimone, pronta a trarne sagge conclusioni «per amore della verità e del bene pubblico» e, in quanto a sé, graziosamente disposta a ricavarne «un’onesta contropartita», respingendo tutti i conformismi del suo tempo. E giunge alla conclusione che «non vi è bene e male che in rapporto agli uomini, non in rapporto a Dio». Delizioso e ben scritto - dal linguaggio estremamente garbato pur trattandosi di un’opera «pornografica» - il libello Thérèse philosophe presenta delle conversazioni sulla religione naturale «molto forti e pericolose».
Il 24 luglio del 1749 Diderot fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Vincennes, sospettato di essere autore dello «scandaloso» opuscolo, al quale però mai accennò in seguito, neppure per rinnegarlo.
Erano quegli gli anni in cui si andava in prigione, e molto facilmente, sostenendo tesi volte a scalfire il dogma religioso, sia con la satira sia con dissertazioni scientifiche e filosofiche. Ma era stato davvero lui a dar vita alle «piccole avventure» che la giovane Thérèse narra, senza troppe censure e senza soverchie ipocrisie, al suo «caro benefattore» Père Girard, e che ci fa partecipi delle vicende che costituiscono il suo «tirocinio» sulla via del piacere? Schedato come «cattivo soggetto» anche in quanto autore di I gioielli indiscreti e dell’empia Lettre sur les aveugles, si volle attribuire al fondatore dell’Encyclopédie anche la paternità di Thérèse philosophe.
Va riconosciuto che Diderot e Thérèse appartengono allo stesso mondo, libertino, insolente e spregiudicato del primo Illuminismo, per il quale non vi era nulla di intoccabile e nulla di sacro. L’autore di Thérèse attinge al serbatoio delle tesi libertine per attaccare il Cristianesimo sul piano filosofico e difenderlo come strumento politico e sociale.
Thérèse era una libertina, ma anche e soprattutto, philosophe, come sottolinea il titolo: ogni aneddoto diviene il pretesto per una dissertazione sull’esistenza, l’amore, la religione o le leggi, un esemplare trionfo dei sensi e dell’Illuminismo, a scapito, in particolare, del clero. E proprio questo spedì Diderot, autore o meno di Thérèse philosophe, a Vincennes: l’irriverenza nei confronti della religione e dei suoi ministri, nonché il costante riferimento alle vicende del suo tempo.
Sesso e metafisica nella Francia del Settecento
di Anna Tito
ARRIVA in edizione italiana Thérèse philosophe, capolavoro della letteratura erotica apparso nel 1748 e sequestrato per ben dodici volte. Attribuito a Denis Diderot, andò a ruba al mercato clandestino
Ecco infine proposto, in edizione italiana, grazie a Coniglio edizioni e alla cura dell’uomo di teatro e scrittore Riccardo Reim, Thérèse philosophe (pp. 140, euro 13), capolavoro della letteratura erotica del Settecento francese, apparso nel 1748, sequestrato per ben dodici volte, ristampato a sedici riprese, richiesto a migliaia di copie, e in cui gli argomenti filosofici in favore dell’ateismo e della sensualità vengono a intrecciarsi con la denuncia dei costumi del clero e le lezioni di contraccezione.
A conferma dell’intramontabile successo del libro libertino più venduto del XVIII secolo, nonché della sua incontestabile attualità, lo scorso aprile nel parigino Odéon-Théâtre de l’Europe, lo spettacolo della durata di 3 ore e 45 minuti messo in scena dal russo Anatoli Vassiliev, e dedicato a Thérèse, ha visto il tutto esaurito per la ventina e più di repliche proposte.
Primo in classifica, dunque, fra i best-seller «proibiti» dell’Illuminismo, venduti ovunque dagli ambulanti «sotto il mantello», Thérèse philosophe fu attribuito di volta in volta sia allo scrittore e filosofo fondatore dell’Encyclopédie Denis Diderot sia - come ebbe ad affermare il marchese Donatien-Alphonse-François de Sade nella sua Nouvelle Justine nel 1799 per indurre la propria eroina a «prosperare nel vizio» - a un altro «divino marchese», anch’esso libertino del Settecento, de Boyer marchese d’Argens. E lo pubblicava, così come altre opere censurate, la svizzera Société Typographique di Neuchâtel, fra le principali case editrici che fiorirono intorno ai confini francesi per soddisfare la domanda di edizioni pirata e di libri proibiti all’interno del Regno.
Come in molti classici della «tradizione pornografica», la narrazione di Thérèse consiste in una sequela di amplessi, ma in questo caso raccordati fra loro da dialoghi di argomento metafisico, che permettono ai partner di tirare il fiato e rimettersi in forze prima di rituffarsi nei loro piaceri, binomio tipico dello spirito libertino del Settecento, in cui Sesso e Metafisica andavano di pari passo.
La trama del romanzo appare semplice: ispirandosi a un clamoroso fatto di cronaca realmente accaduto alcuni anni addietro, l’anonimo autore narra di un padre gesuita, Girard, anagrammato in Dirrag, direttore di un istituto femminile di penitenza, che corrompe Caterina Cadière, fanciulla pia e innocente, figlia di un agiato commerciante di provincia e il cui cognome diviene, anch’esso anagrammato, Eradice; quando la ragazza rimane incinta a seguito dei frequenti «rapimenti mistici», per dirla con Thérèse, il religioso la induce all’aborto.
Al processo, nonostante l’indignazione generale, Girard viene assolto e Caterina condannata per diffamazione.
A questa vicenda il supposto Diderot o marchese d’Argens attinge per attaccare in maniera feroce il clero, la sua ipocrisia e la religione, tracciando un quadro senza veli della società e della Chiesa sotto il regno di Luigi XV: la protagonista, la filosofa Thérèse, compare come voce narrante che viene a renderci una descrizione quanto mai viva delle «avventure» più o meno mirabolanti e «sconvenienti» delle quali essa è sempre la segreta e attenta testimone, pronta a trarne sagge conclusioni «per amore della verità e del bene pubblico» e, in quanto a sé, graziosamente disposta a ricavarne «un’onesta contropartita», respingendo tutti i conformismi del suo tempo. E giunge alla conclusione che «non vi è bene e male che in rapporto agli uomini, non in rapporto a Dio». Delizioso e ben scritto - dal linguaggio estremamente garbato pur trattandosi di un’opera «pornografica» - il libello Thérèse philosophe presenta delle conversazioni sulla religione naturale «molto forti e pericolose».
Il 24 luglio del 1749 Diderot fu arrestato e rinchiuso nel carcere di Vincennes, sospettato di essere autore dello «scandaloso» opuscolo, al quale però mai accennò in seguito, neppure per rinnegarlo.
Erano quegli gli anni in cui si andava in prigione, e molto facilmente, sostenendo tesi volte a scalfire il dogma religioso, sia con la satira sia con dissertazioni scientifiche e filosofiche. Ma era stato davvero lui a dar vita alle «piccole avventure» che la giovane Thérèse narra, senza troppe censure e senza soverchie ipocrisie, al suo «caro benefattore» Père Girard, e che ci fa partecipi delle vicende che costituiscono il suo «tirocinio» sulla via del piacere? Schedato come «cattivo soggetto» anche in quanto autore di I gioielli indiscreti e dell’empia Lettre sur les aveugles, si volle attribuire al fondatore dell’Encyclopédie anche la paternità di Thérèse philosophe.
Va riconosciuto che Diderot e Thérèse appartengono allo stesso mondo, libertino, insolente e spregiudicato del primo Illuminismo, per il quale non vi era nulla di intoccabile e nulla di sacro. L’autore di Thérèse attinge al serbatoio delle tesi libertine per attaccare il Cristianesimo sul piano filosofico e difenderlo come strumento politico e sociale.
Thérèse era una libertina, ma anche e soprattutto, philosophe, come sottolinea il titolo: ogni aneddoto diviene il pretesto per una dissertazione sull’esistenza, l’amore, la religione o le leggi, un esemplare trionfo dei sensi e dell’Illuminismo, a scapito, in particolare, del clero. E proprio questo spedì Diderot, autore o meno di Thérèse philosophe, a Vincennes: l’irriverenza nei confronti della religione e dei suoi ministri, nonché il costante riferimento alle vicende del suo tempo.