l’Unità 13.2.08
Blitz per interrogare la donna che abortisce
Napoli: una chiamata al 113 fa scattare gli agenti in ospedale. «194 rispettata». Turco: caccia alle streghe
di Anna Tarquini
IMMAGINATEVI la scena: sette poliziotti che irrompono in una corsia d’ospedale liberi di entrare nella stanza dove una donna ha appena finito di partorire un feto morto per aborto terapeutico alla ventunesima settimana (cioè perché gravemente malforma-
to). La interrogano, le mettono sotto il naso quel corpicino domandando «È suo figlio?», poi si rivolgono alla vicina di letto: «Lei cosa sa? O parla con noi o lo farà in tribunale», infine sequestrano insieme cartella clinica e «aborto» e formulano un capo d’imputazione: feticidio, articolo 578 del codice penale. È l’effetto Ferrara, l’effetto della moratoria sull’aborto, della lettera-denuncia dei medici che diceva «il feto abortito deve essere rianimato» e del clima che si sta creando in campagna elettorale intorno alle questioni etiche. Ma è anche la storia, vera, accaduta lunedì pomeriggio a una donna di 39 anni ricoverata all’ospedale Federico II di Napoli. E non ha precedenti. Tanto che il ministro della salute Turco dice: «È una caccia alle streghe».
Tutto inizia, e questo forse è l’aspetto più grave della vicenda perché rappresenta bene il clima, tutto nasce dicevamo da una telefonata al 113 mentre la donna stava abortendo. Qualcuno che dall’altro capo del filo avvisava la polizia: «Correte, in quell’ospedale si sta eseguendo un aborto illegale, si sta praticando un infanticidio». Non sappiamo se il denunciante sia rimasto anonimo, ma sappiamo dalla questura di Napoli che subito dopo la telefonata al 113 arrivata nel tardo pomeriggio è stato avvisato il magistrato e due pattuglie sono state inviate al Policlinico. Poi è arrivata la denuncia dell’Udi. S.S., la donna, era stata appena portata in sala operatoria per un raschiamento dopo aver espulso il feto come si fa in questi casi, cioè per parto indotto. Primo figlio, desiderato. Ma quando S.S. lo scorso 31 gennaio è andata a ritirare i risultati dell’amniocentesi: l’analisi diceva sindrome di Klinefelter. Un cromosoma in più, 6 neonati affetti ogni mille nati vivi. Il quadro clinico dice: insufficiente virilizzazione, testicoli piccoli, sterilità, elevata statura, ritardo mentale, difficoltà verbali. S.S non se l’è sentita. E così, nel rispetto e nei limiti della legge 194 come affermano gli stessi medici, è ricorsa all’aborto terapeutico. «Il feto presentava un’alterazione cromosomica - spiega ora il professor Nappi direttore di Ostetricia - . Se la gravidanza fosse stata portata a termine ci sarebbe stato il 40% di possibilità di un deficit mentale. La donna ha presentato un certificato psichiatrico della stessa struttura universitaria sul rischio di grave danno alla salute psichica, che ha autorizzato l’intervento».
Nei limiti della 194. Ma la procura di Napoli ha aperto un’inchiesta e soprattutto la polizia ha fatto irruzione in un reparto. «Capisco che gli agenti fossero lì per fare il proprio lavoro - spiega il dottor Leone, il medico che ha in cura la donna - , ma in un momento tanto delicato e doloroso per una donna era necessario avere un po’ più di riguardo per la mia paziente. Era appena uscita dalla sala parto per un aborto». Parla S.S.: «Mi è stato chiesto se per abortire avevo pagato ed ho spiegato che non era stato così. I risultati dell’amniocentesi avevano accertato che il feto soffriva di un’anomalia cromosomica. Ero alla ventesima settimana, inizio della ventunesima». Dal punto di vista della legge - spiega Silvio Viale, ginecologo all’Ospedale S.Anna di Torino ed esponente Radicale - non vi è stata alcuna violazione e la procedura è stata applicata correttamente. «Per il cosiddetto aborto terapeutico è previsto l’utilizzo di farmaci, le prostaglandine, che hanno la funzione di indurre il travaglio. Se tali farmaci non hanno l’effetto previsto dopo la somministrazione di cinque candelette la procedura prevede un periodo di sospensione del trattamento, trascorso il quale si comincia un nuovo ciclo. Proprio ciò che hanno fatto i medici in questo caso. Questione diversa è invece quella relativa alla malformazione da cui era affetto il feto abortito, ovvero la sindrome di Klinefelter. Secondo alcuni - spiega detto Viale - non si tratterebbe di una malformazione tanto grave da meritare un aborto terapeutico. Tuttavia la 194 non prevede la possibilità di aborto oltre i 90 giorni per la malformazione del feto, ma solo per gli eventuali, gravi effetti psicologici che tale situazione può avere sulla madre». Ed è quello che è successo come spiega ancora il dottore Leone: «Nonostante 5 candelette di prostaglandina venerdì non c’è stata alcuna espulsione del feto. Abbiamo ripreso la stimolazione lunedì mattina, ed alle 12 il feto era già morto. La paziente è scesa in sala parto verso le 18 e quando è risalita intorno alle 20 ha trovato gli agenti ad aspettarla».
Blitz per interrogare la donna che abortisce
Napoli: una chiamata al 113 fa scattare gli agenti in ospedale. «194 rispettata». Turco: caccia alle streghe
di Anna Tarquini
IMMAGINATEVI la scena: sette poliziotti che irrompono in una corsia d’ospedale liberi di entrare nella stanza dove una donna ha appena finito di partorire un feto morto per aborto terapeutico alla ventunesima settimana (cioè perché gravemente malforma-
to). La interrogano, le mettono sotto il naso quel corpicino domandando «È suo figlio?», poi si rivolgono alla vicina di letto: «Lei cosa sa? O parla con noi o lo farà in tribunale», infine sequestrano insieme cartella clinica e «aborto» e formulano un capo d’imputazione: feticidio, articolo 578 del codice penale. È l’effetto Ferrara, l’effetto della moratoria sull’aborto, della lettera-denuncia dei medici che diceva «il feto abortito deve essere rianimato» e del clima che si sta creando in campagna elettorale intorno alle questioni etiche. Ma è anche la storia, vera, accaduta lunedì pomeriggio a una donna di 39 anni ricoverata all’ospedale Federico II di Napoli. E non ha precedenti. Tanto che il ministro della salute Turco dice: «È una caccia alle streghe».
Tutto inizia, e questo forse è l’aspetto più grave della vicenda perché rappresenta bene il clima, tutto nasce dicevamo da una telefonata al 113 mentre la donna stava abortendo. Qualcuno che dall’altro capo del filo avvisava la polizia: «Correte, in quell’ospedale si sta eseguendo un aborto illegale, si sta praticando un infanticidio». Non sappiamo se il denunciante sia rimasto anonimo, ma sappiamo dalla questura di Napoli che subito dopo la telefonata al 113 arrivata nel tardo pomeriggio è stato avvisato il magistrato e due pattuglie sono state inviate al Policlinico. Poi è arrivata la denuncia dell’Udi. S.S., la donna, era stata appena portata in sala operatoria per un raschiamento dopo aver espulso il feto come si fa in questi casi, cioè per parto indotto. Primo figlio, desiderato. Ma quando S.S. lo scorso 31 gennaio è andata a ritirare i risultati dell’amniocentesi: l’analisi diceva sindrome di Klinefelter. Un cromosoma in più, 6 neonati affetti ogni mille nati vivi. Il quadro clinico dice: insufficiente virilizzazione, testicoli piccoli, sterilità, elevata statura, ritardo mentale, difficoltà verbali. S.S non se l’è sentita. E così, nel rispetto e nei limiti della legge 194 come affermano gli stessi medici, è ricorsa all’aborto terapeutico. «Il feto presentava un’alterazione cromosomica - spiega ora il professor Nappi direttore di Ostetricia - . Se la gravidanza fosse stata portata a termine ci sarebbe stato il 40% di possibilità di un deficit mentale. La donna ha presentato un certificato psichiatrico della stessa struttura universitaria sul rischio di grave danno alla salute psichica, che ha autorizzato l’intervento».
Nei limiti della 194. Ma la procura di Napoli ha aperto un’inchiesta e soprattutto la polizia ha fatto irruzione in un reparto. «Capisco che gli agenti fossero lì per fare il proprio lavoro - spiega il dottor Leone, il medico che ha in cura la donna - , ma in un momento tanto delicato e doloroso per una donna era necessario avere un po’ più di riguardo per la mia paziente. Era appena uscita dalla sala parto per un aborto». Parla S.S.: «Mi è stato chiesto se per abortire avevo pagato ed ho spiegato che non era stato così. I risultati dell’amniocentesi avevano accertato che il feto soffriva di un’anomalia cromosomica. Ero alla ventesima settimana, inizio della ventunesima». Dal punto di vista della legge - spiega Silvio Viale, ginecologo all’Ospedale S.Anna di Torino ed esponente Radicale - non vi è stata alcuna violazione e la procedura è stata applicata correttamente. «Per il cosiddetto aborto terapeutico è previsto l’utilizzo di farmaci, le prostaglandine, che hanno la funzione di indurre il travaglio. Se tali farmaci non hanno l’effetto previsto dopo la somministrazione di cinque candelette la procedura prevede un periodo di sospensione del trattamento, trascorso il quale si comincia un nuovo ciclo. Proprio ciò che hanno fatto i medici in questo caso. Questione diversa è invece quella relativa alla malformazione da cui era affetto il feto abortito, ovvero la sindrome di Klinefelter. Secondo alcuni - spiega detto Viale - non si tratterebbe di una malformazione tanto grave da meritare un aborto terapeutico. Tuttavia la 194 non prevede la possibilità di aborto oltre i 90 giorni per la malformazione del feto, ma solo per gli eventuali, gravi effetti psicologici che tale situazione può avere sulla madre». Ed è quello che è successo come spiega ancora il dottore Leone: «Nonostante 5 candelette di prostaglandina venerdì non c’è stata alcuna espulsione del feto. Abbiamo ripreso la stimolazione lunedì mattina, ed alle 12 il feto era già morto. La paziente è scesa in sala parto verso le 18 e quando è risalita intorno alle 20 ha trovato gli agenti ad aspettarla».