Le divisioni del papa
di Angelo d'Orsi
Il Manifesto del 15/02/2008
Il signor Magdi Allam, personaggio che ormai appartiene alla storia della teratologia comparata, turbato dal successo dell'appello dal sottoscritto lanciato a favore dei 67 colleghi della «Sapienza», e in generale dalle manifestazioni di solidarietà che quei docenti stanno ricevendo, non ha trovato di meglio che lanciare un suo appello, dal sapore di scomunica e dal tono di crociata. Dopo aver pochi giorni fa tuonato contro i matrimoni misti, Magdi, chiede agli italiani di dichiararsi senza esitazione dalla parte del papa.
Il testo dell'appello è una chiamata alle armi, vero proclama per operare una nuova limpieza de sangre: stavolta non sono soltanto gli islamici, ma tutti gli anticristiani e in specie nemici del Vaticano, anche quando battezzati e italiani. Nella perorazione di Allam, il tono bellicoso, da monaco che grida ai crociati «Dio lo vuole!» (ma, beninteso, contro la «predicazione d'intolleranza laicista da parte di un manipolo di docenti e dell'intimidazione violenta da parte di una banda di studenti») si mescola talora al belato in difesa del Santo Padre e la sua «inaudita e sofferta decisione» di annullare la visita alla Sapienza. Allam, però, va ben oltre, e evocando toni e argomenti alla Cesare Maria De Vecchi, indimenticato ministro dell'Educazione nazionale ai tempi belli in cui i treni arrivavano in orario, specie quando traducevano i Gramsci, i Terracini, i Foa e i Pajetta, in galera, o tanti italiani in amene località di «villeggiatura», per citare la celebre battuta del simpatico cavalier Berlusconi, che di vacanze se ne intende. Quel De Vecchi che invocava una «bonifica fascista della cultura». Il confronto testuale è illuminante: chi parla di «evidente marciume ideologico diffuso nel mondo accademico e culturale italiano»? Allam 2008, o De Vecchi 1937? Allam 2008. Risposta esatta. Tra le prime adesioni, quella di Giorgio Israel, che negli ultimi tempi si è messo reiteratamente in luce, per begli esempi di argomentare comprensivo e tollerante, su testate ben note, dal Giornale al Foglio. E certo l'adesione a un testo che invoca la bonifica della cultura dovrebbe inquietar lui più di quanto inquieti altri, forse. Ma, ormai, tutte le confusioni sono lecite, tutte le contaminazioni, e tutte le menzogne, e i più indebiti slittamenti logici e le più improponibili analogie storiche. Sicché, un Allam è oggi l'avanguardia di un esercito sanfedista, che con approccio rovescista, tuona contro lo stato italiano trasformato «in un bordello dove si svendono i valori e si calpestano le regole». E quali sono le regole e i valori? Che il papa vada a inaugurare l'anno accademico del più grande ateneo d'Europa; e che comunque avendo rinunciato - perché a lui interessava dare il verbo, nel silenzio compunto e deferente dell'uditorio, come appunto in una funzione religiosa - la colpa è dei «laicisti», che quello stato hanno difeso, sbandierando non Lenin o Bin Laden, ma Cavour, o Galileo. Allam, forse diventato portavoce ufficioso della Santa Sede, forse suscitando l'invidia di altri in lizza per lo stesso ruolo, non si vergogna a scrivere che «oggi l'università e più in generale il mondo dell'Istruzione, i docenti e più in generale il mondo della Cultura, sono profondamente ammalati di relativismo cognitivo, etico e culturale; sono totalmente accecati dall'ideologia del laicismo che li porta a odiare e a infierire contro la propria civiltà che ha il suo radicamento storico e scientifico nella fede e nella tradizione giudaico-cristiana»... Essi, sono anzi «a tal punto spregiudicati e immorali da non avere remore a schierarsi e a favorire chi è dedito a combattere e a annientare la nostra civiltà occidentale» e in particolare, ovviamente, i «predicatori d'odio» e gli «apologeti del terrorismo islamico». Ebbene, la rinuncia del papa, e la protesta di tanta parte di questo odioso culturame (ah, il buon Mario Scelba!), segna la «cocente sconfitta dello Stato di diritto» e il «trionfo dell'estremismo e dell'oscurantismo». Come si combattono tali virus? Risposta: «quantomeno» con «una sanzione disciplinare e morale nei confronti di educatori che diseducano». E se ciò non dovesse avvenire, si avrebbe la conferma «che è l'insieme dell'università italiana da bonificare». Siamo appunto, di nuovo a De Vecchi, e alla sua «Bonifica fascista della cultura», edito da Mondadori nel 1937 L'ultima sortita di Allam, e dei suoi sodali vecchi e nuovi, deve indurre a riflettere su di una situazione che mostra forse il punto d'arrivo della «crisi dell'intellettuale», che tale Julien Benda, ottant'anni fa, bollò come «tradimento dei chierici». Si confondono cose che nulla hanno a che fare, stabilendo inesistenti catene causali: l'appello dei 67, da manifestazione civile e legittima, oltre che giusta, di difesa della sacralità della scienza e dei suoi luoghi (esiste questa sacralità!), diviene la prova di un vetero «laicismo», parola lanciata come se fosse un'accusa: chi lo fa ignora ovviamente che il laicismo non è altro che l'idea della (necessaria) laicità della scienza e della politica in uno stato e in una società moderni. Altro esempio inquietante rimescolamento scorretto delle carte, è la reazione isterica alla proposta (personalmente da me non condivisa, ma legittima) di boicottaggio della Fiera del Libro di Torino, per protesta contro l'invito a Israele come stato ospite d'onore, nel 60° della sua fondazione: una data importante per gli israeliani, ma certo un lutto (la Nakba) per gli arabi, e in specie per i palestinesi espulsi dalle loro terre, espropriati delle loro case, a cui (ai loro eredi, ormai), a dispetto delle reiterate risoluzioni Onu, mai è stato concesso il rientro. Troppi commentatori «indipendenti» hanno fatto a gara nel porre sotto accusa anche chi si è limitato a osservare il rischio di un invito (politico) a Israele, in quanto stato, in questo anno; a chi ha proposto di invitare anche i palestinesi, dando corpo all'utopia di uno stato con due popoli (e molte religioni). Puntuale è scattata l'accusa di antisemitismo, o, nell'ipotesi più benevola, stabilendo strabilianti connessioni anche con l'episodio della Sapienza (il primo a farlo è stato, furbescamente, il rettore Guarino), si è gridato alla mala pianta dell'intolleranza. E, improvvisamente, spunta lo schifoso elenco con i nomi dei firmatari di un documento del 2005 contro il boicottaggio deciso nelle università inglesi... Ecco dunque il boicottaggio a Israele (presentato come rifiuto del confronto con i libri e gli autori), non come sanzione di una politica, viene coniugato con la black list: dunque ancora, «antisemitismo». E così, per tornare alla protesta contro lo sciagurato invito del rettore al papa in quella precisa circostanza, ecco che partono le accuse non solo di laicismo anticristiano, di anticlericalismo ottocentesco, ma ancora, di intolleranza. Tragicomico segno dei tempi di confusione i cartelli dei fascisti davanti all'ingresso della Sapienza, che invocano Voltaire, per giunta in nome di papa Ratzinger...Mentre Giuliano Ferrara, che chiama «asini», i 67, si vanta di non essersi laureato. Benito Mussolini si vantò di non aver mai letto una pagina di Benedetto Croce.
di Angelo d'Orsi
Il Manifesto del 15/02/2008
Il signor Magdi Allam, personaggio che ormai appartiene alla storia della teratologia comparata, turbato dal successo dell'appello dal sottoscritto lanciato a favore dei 67 colleghi della «Sapienza», e in generale dalle manifestazioni di solidarietà che quei docenti stanno ricevendo, non ha trovato di meglio che lanciare un suo appello, dal sapore di scomunica e dal tono di crociata. Dopo aver pochi giorni fa tuonato contro i matrimoni misti, Magdi, chiede agli italiani di dichiararsi senza esitazione dalla parte del papa.
Il testo dell'appello è una chiamata alle armi, vero proclama per operare una nuova limpieza de sangre: stavolta non sono soltanto gli islamici, ma tutti gli anticristiani e in specie nemici del Vaticano, anche quando battezzati e italiani. Nella perorazione di Allam, il tono bellicoso, da monaco che grida ai crociati «Dio lo vuole!» (ma, beninteso, contro la «predicazione d'intolleranza laicista da parte di un manipolo di docenti e dell'intimidazione violenta da parte di una banda di studenti») si mescola talora al belato in difesa del Santo Padre e la sua «inaudita e sofferta decisione» di annullare la visita alla Sapienza. Allam, però, va ben oltre, e evocando toni e argomenti alla Cesare Maria De Vecchi, indimenticato ministro dell'Educazione nazionale ai tempi belli in cui i treni arrivavano in orario, specie quando traducevano i Gramsci, i Terracini, i Foa e i Pajetta, in galera, o tanti italiani in amene località di «villeggiatura», per citare la celebre battuta del simpatico cavalier Berlusconi, che di vacanze se ne intende. Quel De Vecchi che invocava una «bonifica fascista della cultura». Il confronto testuale è illuminante: chi parla di «evidente marciume ideologico diffuso nel mondo accademico e culturale italiano»? Allam 2008, o De Vecchi 1937? Allam 2008. Risposta esatta. Tra le prime adesioni, quella di Giorgio Israel, che negli ultimi tempi si è messo reiteratamente in luce, per begli esempi di argomentare comprensivo e tollerante, su testate ben note, dal Giornale al Foglio. E certo l'adesione a un testo che invoca la bonifica della cultura dovrebbe inquietar lui più di quanto inquieti altri, forse. Ma, ormai, tutte le confusioni sono lecite, tutte le contaminazioni, e tutte le menzogne, e i più indebiti slittamenti logici e le più improponibili analogie storiche. Sicché, un Allam è oggi l'avanguardia di un esercito sanfedista, che con approccio rovescista, tuona contro lo stato italiano trasformato «in un bordello dove si svendono i valori e si calpestano le regole». E quali sono le regole e i valori? Che il papa vada a inaugurare l'anno accademico del più grande ateneo d'Europa; e che comunque avendo rinunciato - perché a lui interessava dare il verbo, nel silenzio compunto e deferente dell'uditorio, come appunto in una funzione religiosa - la colpa è dei «laicisti», che quello stato hanno difeso, sbandierando non Lenin o Bin Laden, ma Cavour, o Galileo. Allam, forse diventato portavoce ufficioso della Santa Sede, forse suscitando l'invidia di altri in lizza per lo stesso ruolo, non si vergogna a scrivere che «oggi l'università e più in generale il mondo dell'Istruzione, i docenti e più in generale il mondo della Cultura, sono profondamente ammalati di relativismo cognitivo, etico e culturale; sono totalmente accecati dall'ideologia del laicismo che li porta a odiare e a infierire contro la propria civiltà che ha il suo radicamento storico e scientifico nella fede e nella tradizione giudaico-cristiana»... Essi, sono anzi «a tal punto spregiudicati e immorali da non avere remore a schierarsi e a favorire chi è dedito a combattere e a annientare la nostra civiltà occidentale» e in particolare, ovviamente, i «predicatori d'odio» e gli «apologeti del terrorismo islamico». Ebbene, la rinuncia del papa, e la protesta di tanta parte di questo odioso culturame (ah, il buon Mario Scelba!), segna la «cocente sconfitta dello Stato di diritto» e il «trionfo dell'estremismo e dell'oscurantismo». Come si combattono tali virus? Risposta: «quantomeno» con «una sanzione disciplinare e morale nei confronti di educatori che diseducano». E se ciò non dovesse avvenire, si avrebbe la conferma «che è l'insieme dell'università italiana da bonificare». Siamo appunto, di nuovo a De Vecchi, e alla sua «Bonifica fascista della cultura», edito da Mondadori nel 1937 L'ultima sortita di Allam, e dei suoi sodali vecchi e nuovi, deve indurre a riflettere su di una situazione che mostra forse il punto d'arrivo della «crisi dell'intellettuale», che tale Julien Benda, ottant'anni fa, bollò come «tradimento dei chierici». Si confondono cose che nulla hanno a che fare, stabilendo inesistenti catene causali: l'appello dei 67, da manifestazione civile e legittima, oltre che giusta, di difesa della sacralità della scienza e dei suoi luoghi (esiste questa sacralità!), diviene la prova di un vetero «laicismo», parola lanciata come se fosse un'accusa: chi lo fa ignora ovviamente che il laicismo non è altro che l'idea della (necessaria) laicità della scienza e della politica in uno stato e in una società moderni. Altro esempio inquietante rimescolamento scorretto delle carte, è la reazione isterica alla proposta (personalmente da me non condivisa, ma legittima) di boicottaggio della Fiera del Libro di Torino, per protesta contro l'invito a Israele come stato ospite d'onore, nel 60° della sua fondazione: una data importante per gli israeliani, ma certo un lutto (la Nakba) per gli arabi, e in specie per i palestinesi espulsi dalle loro terre, espropriati delle loro case, a cui (ai loro eredi, ormai), a dispetto delle reiterate risoluzioni Onu, mai è stato concesso il rientro. Troppi commentatori «indipendenti» hanno fatto a gara nel porre sotto accusa anche chi si è limitato a osservare il rischio di un invito (politico) a Israele, in quanto stato, in questo anno; a chi ha proposto di invitare anche i palestinesi, dando corpo all'utopia di uno stato con due popoli (e molte religioni). Puntuale è scattata l'accusa di antisemitismo, o, nell'ipotesi più benevola, stabilendo strabilianti connessioni anche con l'episodio della Sapienza (il primo a farlo è stato, furbescamente, il rettore Guarino), si è gridato alla mala pianta dell'intolleranza. E, improvvisamente, spunta lo schifoso elenco con i nomi dei firmatari di un documento del 2005 contro il boicottaggio deciso nelle università inglesi... Ecco dunque il boicottaggio a Israele (presentato come rifiuto del confronto con i libri e gli autori), non come sanzione di una politica, viene coniugato con la black list: dunque ancora, «antisemitismo». E così, per tornare alla protesta contro lo sciagurato invito del rettore al papa in quella precisa circostanza, ecco che partono le accuse non solo di laicismo anticristiano, di anticlericalismo ottocentesco, ma ancora, di intolleranza. Tragicomico segno dei tempi di confusione i cartelli dei fascisti davanti all'ingresso della Sapienza, che invocano Voltaire, per giunta in nome di papa Ratzinger...Mentre Giuliano Ferrara, che chiama «asini», i 67, si vanta di non essersi laureato. Benito Mussolini si vantò di non aver mai letto una pagina di Benedetto Croce.