giovedì 21 febbraio 2008

La moratoria non è un affare solo italiano

La moratoria non è un affare solo italiano

Il Riformista del 21 febbraio 2008, pag. 3

di Franca Bimbi

Quanto peserà la campagna sul­la moratoria nella campagna elet­torale? Molto, nell'intenzione di Ferrara e dei suoi sostenitori: adep­ti del Movimento per la vita, alti prelati, medici pronti a rianimare i grandi prematuri anche contro la volontà dei genitori, carabinieri pronti ad irrompere negli ospedali per requisire feti abortiti. Poco, se il Pd evita tre errori: spostare la pole­mica al suo interno; pensare che la moratoria e la sua strategia siano legate esclusivamente alla presen­za del Vaticano in Italia; adottare una strategia difensiva del tipo «la 194 non si tocca». Tralascio il primo rischio: non accettiamo le provoca­zioni apparentemente spirituali dei "nostri" teodem. Per il resto, occor­re guardare lontano, verso l'oriz­zonte mondiale.



La moratoria di Ferrara nasce dall'interno della riorganizzazione della chiesa cattolica di fronte alla globalizzazione, che nel mondo la espone ad una forte concorrenza religiosa e, specialmente in Occi­dente, in Europa, in Italia, all'esplosione del multiculturalismo. La chiesa, molto saggiamente, ristrut­tura i modi e gli stili del suo mes­saggio, ridefinendo persino il suo modello di universalismo. Essa ri­disegna i confini tra se stessa e il mondo, predicando un'investiga­zione razionale, una concettualizzazione delle leggi della natura, un'antropologia del femminile e del maschile, un diritto positivo, validati esclusivamente dal riconosci­mento della sua verità religiosa. E la verità religiosa viene fissata nell'interpretazione della Tradizione interna alla sola cultura occidenta­le (è il richiamo della lezione di Ratisbona), e riferita a un'antropo­logia del femminile e del maschile dipendenti esclusivamente dalle differenze biologiche tra i sessi e dalle regole del matrimonio cristia­no, indissolubile e monogamico.



Quanto al diritto positivo, esso non può nascere da convenzioni sociali, scambi tra culture e creden­ze diverse che non riposino, alla fi­ne, sulla dottrina della chiesa nelle interpretazioni specifiche e pun­tuali della sola gerarchia. L'autono­mia della persona, la libertà della scienza, la variabilità delle culture, devono tutte potersi iscrivere in questo quadro. In esso i diritti uma­ni di genere, così come si sono svi­luppati, contraddittoriamente ma decisamente a livello mondiale, contrastano con il disegno odierno del cattolicesimo. Infatti i diritti femminili alla salute riproduttiva ed alle scelte di procreazione com­portano mutamenti profondissimi, che coinvolgono la ricerca scientifi­ca, la vita quotidiana, le regole ma­trimoniali e i costumi sessuali; im­pongono l'esercizio di una respon­sabilità centrata sull'autonomia della persona e sulla sua capacità di discutere anche i valori fondativi della comunità familiare e religio­sa: una dinamica che dalla chiesa è paventata come relativismo morale e disgregazione sociale.



Quando il Papa all'Onu pro­nuncerà il suo discorso, e poi la rappresentanza vaticana al Palazzo di vetro lo tradurrà in richieste spe­cifiche, si capirà lo spessore della sfida. La chiesa si rivolgerà alle donne e agli uomini del nostro tempo, offrendo la soluzione del paradosso della libertà e della ne­cessità dei suoi limiti, dall'interno di una ragione unica, esplicitamente occiden­tale, che declina un con­flitto aperto tra cattoli­cesimo e modernità, attaccando le definizioni correnti dei diritti delle donne. Perciò sarebbe un errore considerare la moratoria una sfida solo italiana.



Sono in gioco punti nodali della libertà femminile: l'educazione alla contraccezione e la sua liceità, la sessualità prematrimoniale, l'auto­determinazione nella gravidanza, la responsabilità giuridica dei geni­tori nel trattamento dei prematuri, la liceità dell'aborto terapeutico. Questi nodi vengono presentati al­l'opinione pubblica come errori morali, disordini sociali, delitti pe­nali, causati dall'estensione dei di­ritti umani di genere. È un percor­so messo a punto durante le Confe­renze dell'Orni sulle donne: ce lo ricordano le pubblicazioni ufficiali del Pontificio Consiglio per la fa­miglia. La chiesa oggi (e la campa­gna di Ferrara) mette sullo stesso piano i «peccati» della libertà di genere e alcune odiose aggressioni alla vita delle donne, dei bambini e delle famiglie. All'Onu il Papa e il Vaticano proporranno indirizzi di politiche concrete: impedire ogni ulteriore apertura a favore della le­galizzazione dei diritti riproduttivi (dalla contraccezione all'aborto) o almeno restringere ciò che si è ac­quisito nei vari Paesi; bloccare le campagne nazionali e degli organi­smi internazionali per la salute riproduttiva e la pianificazione fami­liare; contrastare le politiche o le legislazioni che impongono alle donne ed alle famiglie una limitazione della fecondità, anche attra­verso l'offerta di incentivi econo­mici; contrastare ogni ricerca e spe­rimentazione sulla vita nascente in qualsiasi fase del suo sviluppo.



Come si può capire la chiesa è dalla parte delle donne quando ri­fiuta la sterilizzazione forzata, le politiche eugenetiche, l'aborto costretto dalla miseria o dalla decisione altrui, la selezione dei fe­ti femminili, l'uccisione delle neonate, le speri­mentazioni scientifiche azzardate, la mancanza di politiche a sostegno della maternità. Al contrario, altre proposte produrrebbero un aumento degli aborti, e delle stragi di donne e bambini. Mettere tutto sullo stesso piano serve a far crede­re che l'errore e gli orrori dipenda­no dalle libertà femminili: perciò l'aborto deve esser considerato un omicidio, e l'ovulo fecondato deve imporre sempre i suoi diritti sulla volontà e sulla vita della madre.



Per evitare di esser trascinati in un dibattito ideologizzato, prendia­mo sul serio la provocazione: la globalizzazione e il multiculturali­smo richiedono un nuovo modello di universalismo, centrato sui dirit­ti umani di genere, capace di discu­tere anche i limiti della 194, le deci­sioni sui grandi prematuri, la qua­lità dei consultori, gli azzardi delle sperimentazioni procreative. Le donne, in particolare nel Pd, devo­no riaprire l'agenda di genere di­fendendo anche la libertà dell'a­borto come scelta morale consape­vole e ragionando a favore di un sano relativismo culturale che non significa affatto piegarsi al relativi­smo etico.

NOTE

deputata del Pd, presidente della commissione Politiche dell'Unione europea