Le ragazze del consultorio
La Repubblica del 15 febbraio 2008, pag. 1
di Silvana Mazzocchi
Nel giorno della piazza che difende il diritto all'aborto, nel consultorio di via Domenico Silveri, uno a caso tra i tanti di Roma, si presenta una sola donna. Test positivo alla mano, chiede di interrompere la gravidanza. Affronta la visita, il colloquio con l'assistente sociale, e infine riceve il certificato. Potrà usufruire della legge 194 e le verrà fissato un appuntamento per l'intervento. Ci vorranno almeno sette giorni, probabilmente qualcuno in più.
«L'aborto è sempre una scelta sofferta. Ogni donna che decide di compiere questo passo, è convinta di non avere alternative. Da noi ne vengono quattro, forse cinque alla settimana ed è sempre stato così. Il loro numero è rimasto costante, piuttosto sono cambiate le donne: prima si trattava in prevalenza di italiane, adesso sono per la maggior parte straniere, extracomunitarie».
Monica Russo, ginecologa, di donne e ragazze che chiedono di non diventare madri, negli anni ne ha incontrate a centinaia. Ha ascoltato le loro storie e le loro ragioni. E molte le ha fatte abortire. Per quindici anni ha lavorato all'ospedale San Camillo, quello dove si concentra il maggior numero di interruzioni di gravidanza. «E per dieci di quegli anni ho messo insieme una ventina di aborti alla settimana, si fa presto il conto. Poi un giorno ho detto basta e sono diventata una obietti! -ce. So però che questa è una buona legge e la difendo. Come so che gli obiettori, in continuo aumento, determinano il ricorso a medici esterni vincolati ad accettare l'incarico. Io conosco bene il disastro di quando non c'era: prima del '78, al San Camillo ero una volontaria e, ogni notte, vedevo arrivare almeno un paio di donne sanguinanti, vittime dell'aborto clandestino. Quindi va bene la legge; anche se io ho dovuto smettere perché non ce la facevo più. Adesso mi dedico soprattutto alla contraccezione; è l'unica ricetta per migliorare le cose».
Nel giorno delle manifestazioni pro 194, nel consultorio si svolge un corso di educazione sessuale per adolescenti. «Collaboriamo con quattro licei della città; andiamo in équipe nelle prime due classi, facciamo prevenzione. E' un lavoro importante, l'unico modo efficace per scongiurare le interruzioni di gravidanza». Monica Rossi ammette che le ragazzine sono il problema più grande. Il più complicato. Capita fin troppo spesso che vengano a chiedere di abortire. E lo fanno all'insaputa dei genitori che, in teoria, dovrebbero dare il loro assenso scritto. Ambedue, perché la firma di uno solo non è ritenuta sufficiente.
«Loro però neanche glielo dicono a mamma e papà. Arrivano sole, magari accompagnate da un'amica o dal fidanzatino. Hanno 16,17anni; la ragazza viene visitata e l'assistente sociale fa una relazione sul suo stato, fisico e psicologico. Il giorno successivo l'adolescente può consegnare di persona il documento all'ufficio del giudice tutelare che emette un'ordinanza specifica con la quale emancipa, (vuoi dire che viene superata l'incapacità di intendere e di volere attribuita ai minori), la ragazza per il periodo necessario, che va dalle analisi cliniche di routine all'intervento».
Prevenzione e pillola del giorno dopo. «Noi consideriamo questo tipo di pillola un metodo contraccettivo, come è in realtà. Tanto che, nel consultorio, la distribuisco anch'io che sono obiettrice. C'è molta ignoranza intorno a questo tipo di farmaco; qualche giorno fa è venuta da noi una ragazzina che era stata respinta da ben sei ospedali. Nessuno aveva voluto darle la pillola; tutti la ritenevano abortiva. Un'assurdità. Casomai c'è da dire che, dalla richiesta di questo tipo di rimedio, emerge quanto grande sia ancora il lavoro da fare sul piano della contraccezione. E che i consultori dovrebbero essere potenziati, nel numero e nelle risorse».
Tra le donne che ricorrono all'aborto, almeno il 50% non hanno figli e non ne vogliono, male altre sono già madri. «C'è sempre una buona ragione per affrontare una simile sofferenza. Si sentono sole, disperate, oppure non in grado di farcela. Noi le ascoltiamo; insieme agli assistenti sociali, allo psicologo. E, per fortuna, non sempre vanno tutte fino in fondo. Sono persone combattute, noi ci parliamo e, quando serve, mettiamo a loro disposizione una casa famiglia, dove la futura mamma può rimanere fino al primo anno di età del bambino. Ricordiamo, spesso a donne immigrate che non hanno mezzi o sostegni affettivi, che si può dare il bambino in adozione nel completo anonimato. Facciamo tutto il possibile. E a volte ci riusciamo; i bambini che nascono gli chiamiamo "figli del consultorio". Ma se, infine, nonostante i nostri sforzi, la donna decide di andare avanti e di abortire, è nel suo diritto. E noi l'aiutiamo. Nei tempi necessari e rispettando le urgenze. Quando viene da noi una donna che si trova al limite dei tre mesi di gravidanza (il termine consentito), noi inoltriamo subito il suo caso al centro di coordinamento per la 194 che, a Roma, ha sede al San Camillo. E quella donna ottiene la precedenza, in sette giorni verrà dirottata in un ospedale della provincia».
La Repubblica del 15 febbraio 2008, pag. 1
di Silvana Mazzocchi
Nel giorno della piazza che difende il diritto all'aborto, nel consultorio di via Domenico Silveri, uno a caso tra i tanti di Roma, si presenta una sola donna. Test positivo alla mano, chiede di interrompere la gravidanza. Affronta la visita, il colloquio con l'assistente sociale, e infine riceve il certificato. Potrà usufruire della legge 194 e le verrà fissato un appuntamento per l'intervento. Ci vorranno almeno sette giorni, probabilmente qualcuno in più.
«L'aborto è sempre una scelta sofferta. Ogni donna che decide di compiere questo passo, è convinta di non avere alternative. Da noi ne vengono quattro, forse cinque alla settimana ed è sempre stato così. Il loro numero è rimasto costante, piuttosto sono cambiate le donne: prima si trattava in prevalenza di italiane, adesso sono per la maggior parte straniere, extracomunitarie».
Monica Russo, ginecologa, di donne e ragazze che chiedono di non diventare madri, negli anni ne ha incontrate a centinaia. Ha ascoltato le loro storie e le loro ragioni. E molte le ha fatte abortire. Per quindici anni ha lavorato all'ospedale San Camillo, quello dove si concentra il maggior numero di interruzioni di gravidanza. «E per dieci di quegli anni ho messo insieme una ventina di aborti alla settimana, si fa presto il conto. Poi un giorno ho detto basta e sono diventata una obietti! -ce. So però che questa è una buona legge e la difendo. Come so che gli obiettori, in continuo aumento, determinano il ricorso a medici esterni vincolati ad accettare l'incarico. Io conosco bene il disastro di quando non c'era: prima del '78, al San Camillo ero una volontaria e, ogni notte, vedevo arrivare almeno un paio di donne sanguinanti, vittime dell'aborto clandestino. Quindi va bene la legge; anche se io ho dovuto smettere perché non ce la facevo più. Adesso mi dedico soprattutto alla contraccezione; è l'unica ricetta per migliorare le cose».
Nel giorno delle manifestazioni pro 194, nel consultorio si svolge un corso di educazione sessuale per adolescenti. «Collaboriamo con quattro licei della città; andiamo in équipe nelle prime due classi, facciamo prevenzione. E' un lavoro importante, l'unico modo efficace per scongiurare le interruzioni di gravidanza». Monica Rossi ammette che le ragazzine sono il problema più grande. Il più complicato. Capita fin troppo spesso che vengano a chiedere di abortire. E lo fanno all'insaputa dei genitori che, in teoria, dovrebbero dare il loro assenso scritto. Ambedue, perché la firma di uno solo non è ritenuta sufficiente.
«Loro però neanche glielo dicono a mamma e papà. Arrivano sole, magari accompagnate da un'amica o dal fidanzatino. Hanno 16,17anni; la ragazza viene visitata e l'assistente sociale fa una relazione sul suo stato, fisico e psicologico. Il giorno successivo l'adolescente può consegnare di persona il documento all'ufficio del giudice tutelare che emette un'ordinanza specifica con la quale emancipa, (vuoi dire che viene superata l'incapacità di intendere e di volere attribuita ai minori), la ragazza per il periodo necessario, che va dalle analisi cliniche di routine all'intervento».
Prevenzione e pillola del giorno dopo. «Noi consideriamo questo tipo di pillola un metodo contraccettivo, come è in realtà. Tanto che, nel consultorio, la distribuisco anch'io che sono obiettrice. C'è molta ignoranza intorno a questo tipo di farmaco; qualche giorno fa è venuta da noi una ragazzina che era stata respinta da ben sei ospedali. Nessuno aveva voluto darle la pillola; tutti la ritenevano abortiva. Un'assurdità. Casomai c'è da dire che, dalla richiesta di questo tipo di rimedio, emerge quanto grande sia ancora il lavoro da fare sul piano della contraccezione. E che i consultori dovrebbero essere potenziati, nel numero e nelle risorse».
Tra le donne che ricorrono all'aborto, almeno il 50% non hanno figli e non ne vogliono, male altre sono già madri. «C'è sempre una buona ragione per affrontare una simile sofferenza. Si sentono sole, disperate, oppure non in grado di farcela. Noi le ascoltiamo; insieme agli assistenti sociali, allo psicologo. E, per fortuna, non sempre vanno tutte fino in fondo. Sono persone combattute, noi ci parliamo e, quando serve, mettiamo a loro disposizione una casa famiglia, dove la futura mamma può rimanere fino al primo anno di età del bambino. Ricordiamo, spesso a donne immigrate che non hanno mezzi o sostegni affettivi, che si può dare il bambino in adozione nel completo anonimato. Facciamo tutto il possibile. E a volte ci riusciamo; i bambini che nascono gli chiamiamo "figli del consultorio". Ma se, infine, nonostante i nostri sforzi, la donna decide di andare avanti e di abortire, è nel suo diritto. E noi l'aiutiamo. Nei tempi necessari e rispettando le urgenze. Quando viene da noi una donna che si trova al limite dei tre mesi di gravidanza (il termine consentito), noi inoltriamo subito il suo caso al centro di coordinamento per la 194 che, a Roma, ha sede al San Camillo. E quella donna ottiene la precedenza, in sette giorni verrà dirottata in un ospedale della provincia».