Ruanda, condannato a 15 anni di carcere un prete cattolico complico nel genocidio
Corriere della Sera del 14 dicembre 2006, pag. 19
di M. A. A.
Genocidio, crimini contro l'umanità, sterminio. Per questi reati il prete cattolico ruandese Athanase Seromba è stato condannato ieri a 15 anni di reclusione dal tribunale penale internazionale di Arusha. Il sostituto procuratore del tribunale, l'italiana Silvana Ardia, aveva chiesto l'ergastolo. «La pena inflitta è ridicola», dice al Corriere. La sua colpa: aver attirato almeno 2000 tutsi nella sua cattedrale col pretesto di salvarli dai massacri dell'aprile 1994, quando gli estremisti hutu fecero a pezzi a colpi dì machete un milione di tutsi e hutu moderati. Seromba chiuse a chiave le porte della chiesa e ordinò all'autista di un bulldozer di abbattere l'edificio mentre gli assassini sparavano e lanciavano granate dalle finestre. Poi scappò, prima in Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo) e nel 1997 a Firenze dove visse sotto falso nome (Anastasio Sumbabura) fino al 2002. Aveva una lettera di raccomandazione del vescovo di Nyundo, che lodava le sue doti di religioso. Grazie alla diocesi fiorentina, continuò ad officiare messa. Ma il suo nome saltò fuori nel 1995. Un libro dell'organizzazione African Rights lo descriveva come uno spietato killer. Lo scovarono i giornalisti. Il governo italiano tergiversò, ma poi cedette alle pressioni della Del Ponte, che ottenne l'estradizione nel febbraio 2002. Le prove erano schiaccianti e la difesa non è riuscita a farlo assolvere nonostante — sostengono sottovoce alla procura del tribunale —le pesanti pressioni del Vaticano sui magistrati.
Corriere della Sera del 14 dicembre 2006, pag. 19
di M. A. A.
Genocidio, crimini contro l'umanità, sterminio. Per questi reati il prete cattolico ruandese Athanase Seromba è stato condannato ieri a 15 anni di reclusione dal tribunale penale internazionale di Arusha. Il sostituto procuratore del tribunale, l'italiana Silvana Ardia, aveva chiesto l'ergastolo. «La pena inflitta è ridicola», dice al Corriere. La sua colpa: aver attirato almeno 2000 tutsi nella sua cattedrale col pretesto di salvarli dai massacri dell'aprile 1994, quando gli estremisti hutu fecero a pezzi a colpi dì machete un milione di tutsi e hutu moderati. Seromba chiuse a chiave le porte della chiesa e ordinò all'autista di un bulldozer di abbattere l'edificio mentre gli assassini sparavano e lanciavano granate dalle finestre. Poi scappò, prima in Zaire (ora Repubblica Democratica del Congo) e nel 1997 a Firenze dove visse sotto falso nome (Anastasio Sumbabura) fino al 2002. Aveva una lettera di raccomandazione del vescovo di Nyundo, che lodava le sue doti di religioso. Grazie alla diocesi fiorentina, continuò ad officiare messa. Ma il suo nome saltò fuori nel 1995. Un libro dell'organizzazione African Rights lo descriveva come uno spietato killer. Lo scovarono i giornalisti. Il governo italiano tergiversò, ma poi cedette alle pressioni della Del Ponte, che ottenne l'estradizione nel febbraio 2002. Le prove erano schiaccianti e la difesa non è riuscita a farlo assolvere nonostante — sostengono sottovoce alla procura del tribunale —le pesanti pressioni del Vaticano sui magistrati.