L'errore della teopolitica
La Repubblica del 27 febbraio 2008, pag. 31
di Roberta Da Monticelli
A chi gli domandava in che modo si potesse sconfiggere la violenza del Male, Francesco d'Assisi un giorno rispose: "Perché aggredire le tenebre? Basta accendere una luce, e le tenebre fuggono spaventate". E' "l'aggressione delle tenebre", ciò con cui bisogna farla finita, in tutti i campi. Di aggressioni, crociate e controcrociate, non ne possiamo più. Non è con l'aggressione che si combatte il male o ciò che sembra tale. E' con la conoscenza: un certo modo della conoscenza che oggi soprattutto è compito del pensiero chiarire, e che oggi potrebbe illuminare di luce nuova tutti i mondi in cui allignano ed esplodono conflitti. Dalle relazioni internazionali alla vita politica, economica, civile di una comunità. Nel secolo scorso è prevalso un modo di pensare che in realtà lasciava pochissimo spazio in questi campi alla "conoscenza che illumina", come possiamo chiamare la luce di cui parla Francesco, e di cui anche l'Illuminismo, checché se ne dica, si è candidamente nutrito. Come Socrate, invece, questo Francesco—che appartiene a tutta l'umanità e non a questa o quella sua parte — ben più che della volontà, della conoscenza faceva un grandissimo conto, negli affari umani. Ma il suo genio ampliò l'orizzonte della conoscenza, e vi incluse i valori delle cose, e ampliò l'organo dell'intelligenza, annettendovi il cuore. Il Cantico delle creature va ben oltre il sentimento di fratellanza con l'intera natura. Oggi possiamo leggervi una felice e fiduciosa ammirazione per tutto il visibile, e per ciò che il visibile annuncia. Ma non per la visibilità della vita pubblica, della piazza, della polis. Non in questo visibile traduce l'Invisibile: crederlo fu l'immenso errore che portò nel mondo la teocrazia, e in Italia l'ideologia neoguelfa. E che nel secolo scorso nutrì le forme veramente ateo-devote della teopolitica: un nichilismo decisionista che tutto riduce a brutali o raffinati rapporti di potere, e che addirittura ha finito per ridurre le categorie del politico a una barbarica semplificazione, venata di una punta mafiosa: amico-nemico.
Altro è il visibile che Francesco glorifica, quello dell'umile vita di ciascuna creatura. La conoscenza che illumina è un sapere che apprezza. Non che proietta qualità di valore positive o negative nelle cose: che le riconosce, semplicemente. Ne prende atto. Prende atto della preziosità di ciò che è prezioso, della bruttezza di ciò che è laido, anche quando nessuno l'aveva vista prima. I valori sono sempre da scoprire. Questo è un realismo tutto diverso da quello che si intende con "realismo politico". E' quello che possiamo chiamare un realismo assiologico, un realismo dei valori. L'Italia e il mondo debbono questa scoperta alla sensibilità francescana. Francesco rese a tutti visibile quello che era fino allora invisibile: vide il valore segreto, la bellezza, il gratuito — cioè il divino — dell'acqua, del fuoco, del paesaggio. Proseguì l'opera dell'incarnazione. E inventò, in fondo, l'Italia: il suo paesaggio, la sua dolcezza, la sua umiltà, il suo splendore. La sola Italia che ci resta da amare, ancora visibile — se con sciagurate demolizioni di regole, sciagurati condoni, sciagurate svendite di beni pubblici, non finiremo di distruggerla.
E' strano quanto ancora, anche con le migliori intenzioni, i cattolici italiani di tutti gli orientamenti politici ancora insistano nell'idea che i partiti in cui militano debbano soprattutto tutelare la loro identità cattolica, cioè renderla visibile e affermarla. Ci sono virtuosissime eccezioni: e c'è il grande tentativo di molti uomini di buona volontà, che hanno dato vita al Partito Democratico, di fare in modo che questa sia idea finalmente accantonata. Infatti, non è conseguenza, anche questa idea, del terribile equivoco relativo al visibile e all'invisibile, al divino — la sostanza — e ai fenomeni — l'apparenza? "Fede è sostanza di cose sperate / ed argomento delle non parventi" (ovvero prova delle cose che non si vedono), scrive Dante parafrasando San Paolo. Questa è la formula di una vita di ricerca, dove sentire e capire, che sono per noi l'essenziale del vivere, diventano appunto "prova", nel senso di esperienza, di quell'invisibile in cui proseguono le cose di questo mondo, che è poi il loro fragile senso d'essere, il loro nascosto valore (le cose dell'altro mondo, invece, nessuno le ha mai viste davvero). Se questo invisibile non ci fosse, nessuna opera d'arte potrebbe mai profondamente colpirci come rivelazione di qualcosa che non avevamo visto prima, nessun pensiero potrebbe parerci illuminante e vero benché non inteso prima, nessuna azione parerci rivelatrice di una possibilità nuova, di una via non battuta. Francesco lesse in cuore al Lupo. Dunque l'invisibile non gli restava tale...
C'è un equivoco profondo anche nel modo in cui ci siamo abituati a leggere le differenza fra cattolici e protestanti. E' legata a questo errore sul visibile e l'invisibile, l'interiorità e la vita comune, radice purtroppo della suprema blasfemia: non solo tentare di possedere il divino in formule umane (" noli me tangere": questo chiede il Risorto!) ma addirittura farne bandiera di una parte politica. Questo errore ha legato troppi cattolici professi alla peggiore fra le due possibilità di intendere l'importanza del visibile, del sensibile, del temporale. Non l'acqua, il fuoco, il lupo e la sorella morte di Francesco, ma il campo di battaglia e la pubblica piazza. Non lo splendore del visibile ma l'infinita disputa televisibile. Non l'oblio di sé perfetto che è necessario a capire il cuore dei lupi, ma la rivendicazione della propria identità e dei propri valori. Ma non dovevamo saperlo, che chi vorrà avere salva la sua vita la perderà? Frutti così dolci, in questo paese popolato di monasteri ormai quasi vuoti, ha dato l'altra, la davvero universale fiducia nel visibile, il respiro ampio e tranquillo di chi confida nella sostanza e nel valore ancora invisibili di ogni cosa, e non in sé. Frutti carichi di intelligenza e di bellezza, architetture del divino, campi dei miracoli, biblioteche di tesori inesplorati, la quiete ontologica che il ritmo dello studio e del lavoro onora quotidianamente. Questa è l'Italia che è impossibile non amare.
La Repubblica del 27 febbraio 2008, pag. 31
di Roberta Da Monticelli
A chi gli domandava in che modo si potesse sconfiggere la violenza del Male, Francesco d'Assisi un giorno rispose: "Perché aggredire le tenebre? Basta accendere una luce, e le tenebre fuggono spaventate". E' "l'aggressione delle tenebre", ciò con cui bisogna farla finita, in tutti i campi. Di aggressioni, crociate e controcrociate, non ne possiamo più. Non è con l'aggressione che si combatte il male o ciò che sembra tale. E' con la conoscenza: un certo modo della conoscenza che oggi soprattutto è compito del pensiero chiarire, e che oggi potrebbe illuminare di luce nuova tutti i mondi in cui allignano ed esplodono conflitti. Dalle relazioni internazionali alla vita politica, economica, civile di una comunità. Nel secolo scorso è prevalso un modo di pensare che in realtà lasciava pochissimo spazio in questi campi alla "conoscenza che illumina", come possiamo chiamare la luce di cui parla Francesco, e di cui anche l'Illuminismo, checché se ne dica, si è candidamente nutrito. Come Socrate, invece, questo Francesco—che appartiene a tutta l'umanità e non a questa o quella sua parte — ben più che della volontà, della conoscenza faceva un grandissimo conto, negli affari umani. Ma il suo genio ampliò l'orizzonte della conoscenza, e vi incluse i valori delle cose, e ampliò l'organo dell'intelligenza, annettendovi il cuore. Il Cantico delle creature va ben oltre il sentimento di fratellanza con l'intera natura. Oggi possiamo leggervi una felice e fiduciosa ammirazione per tutto il visibile, e per ciò che il visibile annuncia. Ma non per la visibilità della vita pubblica, della piazza, della polis. Non in questo visibile traduce l'Invisibile: crederlo fu l'immenso errore che portò nel mondo la teocrazia, e in Italia l'ideologia neoguelfa. E che nel secolo scorso nutrì le forme veramente ateo-devote della teopolitica: un nichilismo decisionista che tutto riduce a brutali o raffinati rapporti di potere, e che addirittura ha finito per ridurre le categorie del politico a una barbarica semplificazione, venata di una punta mafiosa: amico-nemico.
Altro è il visibile che Francesco glorifica, quello dell'umile vita di ciascuna creatura. La conoscenza che illumina è un sapere che apprezza. Non che proietta qualità di valore positive o negative nelle cose: che le riconosce, semplicemente. Ne prende atto. Prende atto della preziosità di ciò che è prezioso, della bruttezza di ciò che è laido, anche quando nessuno l'aveva vista prima. I valori sono sempre da scoprire. Questo è un realismo tutto diverso da quello che si intende con "realismo politico". E' quello che possiamo chiamare un realismo assiologico, un realismo dei valori. L'Italia e il mondo debbono questa scoperta alla sensibilità francescana. Francesco rese a tutti visibile quello che era fino allora invisibile: vide il valore segreto, la bellezza, il gratuito — cioè il divino — dell'acqua, del fuoco, del paesaggio. Proseguì l'opera dell'incarnazione. E inventò, in fondo, l'Italia: il suo paesaggio, la sua dolcezza, la sua umiltà, il suo splendore. La sola Italia che ci resta da amare, ancora visibile — se con sciagurate demolizioni di regole, sciagurati condoni, sciagurate svendite di beni pubblici, non finiremo di distruggerla.
E' strano quanto ancora, anche con le migliori intenzioni, i cattolici italiani di tutti gli orientamenti politici ancora insistano nell'idea che i partiti in cui militano debbano soprattutto tutelare la loro identità cattolica, cioè renderla visibile e affermarla. Ci sono virtuosissime eccezioni: e c'è il grande tentativo di molti uomini di buona volontà, che hanno dato vita al Partito Democratico, di fare in modo che questa sia idea finalmente accantonata. Infatti, non è conseguenza, anche questa idea, del terribile equivoco relativo al visibile e all'invisibile, al divino — la sostanza — e ai fenomeni — l'apparenza? "Fede è sostanza di cose sperate / ed argomento delle non parventi" (ovvero prova delle cose che non si vedono), scrive Dante parafrasando San Paolo. Questa è la formula di una vita di ricerca, dove sentire e capire, che sono per noi l'essenziale del vivere, diventano appunto "prova", nel senso di esperienza, di quell'invisibile in cui proseguono le cose di questo mondo, che è poi il loro fragile senso d'essere, il loro nascosto valore (le cose dell'altro mondo, invece, nessuno le ha mai viste davvero). Se questo invisibile non ci fosse, nessuna opera d'arte potrebbe mai profondamente colpirci come rivelazione di qualcosa che non avevamo visto prima, nessun pensiero potrebbe parerci illuminante e vero benché non inteso prima, nessuna azione parerci rivelatrice di una possibilità nuova, di una via non battuta. Francesco lesse in cuore al Lupo. Dunque l'invisibile non gli restava tale...
C'è un equivoco profondo anche nel modo in cui ci siamo abituati a leggere le differenza fra cattolici e protestanti. E' legata a questo errore sul visibile e l'invisibile, l'interiorità e la vita comune, radice purtroppo della suprema blasfemia: non solo tentare di possedere il divino in formule umane (" noli me tangere": questo chiede il Risorto!) ma addirittura farne bandiera di una parte politica. Questo errore ha legato troppi cattolici professi alla peggiore fra le due possibilità di intendere l'importanza del visibile, del sensibile, del temporale. Non l'acqua, il fuoco, il lupo e la sorella morte di Francesco, ma il campo di battaglia e la pubblica piazza. Non lo splendore del visibile ma l'infinita disputa televisibile. Non l'oblio di sé perfetto che è necessario a capire il cuore dei lupi, ma la rivendicazione della propria identità e dei propri valori. Ma non dovevamo saperlo, che chi vorrà avere salva la sua vita la perderà? Frutti così dolci, in questo paese popolato di monasteri ormai quasi vuoti, ha dato l'altra, la davvero universale fiducia nel visibile, il respiro ampio e tranquillo di chi confida nella sostanza e nel valore ancora invisibili di ogni cosa, e non in sé. Frutti carichi di intelligenza e di bellezza, architetture del divino, campi dei miracoli, biblioteche di tesori inesplorati, la quiete ontologica che il ritmo dello studio e del lavoro onora quotidianamente. Questa è l'Italia che è impossibile non amare.