Democrazia tra guelfi e ghibellini
La Stampa del 13 febbraio 2008, pag. 1
di Gian Enrico Rusconi
Il concetto di «laico» sta diventando sospetto e irritante. Tra un po’ sarà dichiarato obsoleto. Il «dialogo tra laici e cattolici» è già una finzione per spartirsi tempo e spazio nell’esposizione pubblica delle proprie idee. Intanto si moltiplicano i cattolici zittiti dalla grande strategia comunicativa della gerarchia ecclesiastica. È una strategia che trova sostegno non solo nelle vocalissime minoranze militanti, ma raccoglie crescente consenso presso intellettuali e commentatori di organi di stampa che un tempo si dichiaravano laici.
Di fronte a questa situazione, occorre riflettere radicalmente perché non si tratta più della «questione cattolica» tradizionale, ma della questione della democrazia italiana oggi.
Una decina di anni fa (quando non c’erano né teo-dem né teo-con) già si intuiva che la discriminante più importante in Italia stava diventando quella tra laici e cattolici e che la Chiesa stava assumendo il ruolo di supplenza di religione civile che avrebbe alterato i rapporti convenzionali tra società civile e politica. I fatti hanno confermato questa intuizione. Adesso occorre andare a fondo. Ma più che ragionare con le categorie grosse e globali di Stato e Chiesa, è bene spostare l’asse dell’analisi prendendo sul serio i principi della democrazia e della cittadinanza costituzionale.
In democrazia la discriminante fondamentale tra i cittadini non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi riconosce e garantisce la legittima pluralità delle visioni e degli stili morali di vita (come recita in linguaggio diverso l’art. 3 della Costituzione) e chi viceversa si sente investito della missione di orientare in modo autoritativo l’ethos pubblico, dichiarando come «non negoziabili» i propri valori - senza assumersi la responsabilità delle conseguenze che derivano alla qualità e funzionalità del sistema democratico. Il primo atteggiamento (quello che afferma positivamente il pluralismo) è laico, il secondo non lo è.
In democrazia «non negoziabile» è la pluralità dei valori, pubblicamente argomentata, non l’esigenza di imporre i propri valori (per altro soggettivamente legittimi). E laica è proprio la disponibilità a far funzionare in modo solidale le regole della convivenza, partendo dal presupposto che la molteplicità delle «visioni della vita», delle «concezioni del bene» o della «natura umana» non è una disgrazia pubblica (il famigerato «relativismo») cui non ci si deve rassegnare, ma l’essenza stessa della vita democratica.
La laicità insomma è un criterio e un valore pubblico, prima ancora che un atteggiamento privato, anche se si costruisce sulle virtù personali della tolleranza e della disponibilità al confronto di tutti i convincimenti.
La laicità italiana per decenni è stata una componente interna di costruzioni ideali-ideologiche di matrice liberale e/o socialista che avevano altrove il loro baricentro filosofico e politico. Dissolte queste sintesi, il pensiero laico deve oggi costruire da solo, senza pre-supposti ideologici, la sua linea di interpretazione e la sua linea d’azione. Senza volerlo, diventa il nuovo fondamento della democrazia.
Naturalmente le difficoltà che la laicità incontra oggi in Italia non dipendono semplicisticamente dalla determinazione con cui la gerarchia ecclesiastica sfrutta la congiuntura politica, la fragilità culturale e la ricattabilità della classe politica. Le difficoltà nascono oggettivamente dalle incertezze e dalle difficoltà di comportamento di milioni di donne e di uomini presi tra il bisogno di avere sicure indicazioni di orientamento morale e il desiderio di mantenere la propria autonomia. La gravità obiettiva delle questioni sul tappeto che investono l’idea delle unioni familiari, la problematica dell’aborto, l’espansione delle biotecnologie, in generale la problematica della «natura umana» sembra aver colto in contropiede il pensiero filosofico e scientifico più riflessivo.
Da qui il farsi avanti della Chiesa che non esita a mettere in scena pubblicamente la pretesa della sua verità. Contro di essa c’è soltanto la fragile ostinata esperienza di donne e di uomini che intendono seguire sommessamente le indicazioni della loro coscienza. Il loro unico punto di riferimento e di difesa è il principio costituzionale del pluralismo.
Conosco il sospetto e la supponenza morale di molti (non solo clericali) che in questo atteggiamento vedono soltanto libertinismo. E quindi considerano la Chiesa l’unica ancora di salvezza contro il nichilismo. Sbagliano. Ma non mi permetto di dare giudizi morali. Ciò che mi preme dire - senza evocare le antiche diatribe da Machiavelli a Croce o le ricorrenti tentazioni «neo-guelfe» nel nostro Paese - è che è semplicemente in gioco la nostra fragile e preziosa democrazia.
Sono sicuro che i molti cattolici della «Chiesa zittita» sono d’accordo.
La Stampa del 13 febbraio 2008, pag. 1
di Gian Enrico Rusconi
Il concetto di «laico» sta diventando sospetto e irritante. Tra un po’ sarà dichiarato obsoleto. Il «dialogo tra laici e cattolici» è già una finzione per spartirsi tempo e spazio nell’esposizione pubblica delle proprie idee. Intanto si moltiplicano i cattolici zittiti dalla grande strategia comunicativa della gerarchia ecclesiastica. È una strategia che trova sostegno non solo nelle vocalissime minoranze militanti, ma raccoglie crescente consenso presso intellettuali e commentatori di organi di stampa che un tempo si dichiaravano laici.
Di fronte a questa situazione, occorre riflettere radicalmente perché non si tratta più della «questione cattolica» tradizionale, ma della questione della democrazia italiana oggi.
Una decina di anni fa (quando non c’erano né teo-dem né teo-con) già si intuiva che la discriminante più importante in Italia stava diventando quella tra laici e cattolici e che la Chiesa stava assumendo il ruolo di supplenza di religione civile che avrebbe alterato i rapporti convenzionali tra società civile e politica. I fatti hanno confermato questa intuizione. Adesso occorre andare a fondo. Ma più che ragionare con le categorie grosse e globali di Stato e Chiesa, è bene spostare l’asse dell’analisi prendendo sul serio i principi della democrazia e della cittadinanza costituzionale.
In democrazia la discriminante fondamentale tra i cittadini non è tra chi crede e chi non crede, ma tra chi riconosce e garantisce la legittima pluralità delle visioni e degli stili morali di vita (come recita in linguaggio diverso l’art. 3 della Costituzione) e chi viceversa si sente investito della missione di orientare in modo autoritativo l’ethos pubblico, dichiarando come «non negoziabili» i propri valori - senza assumersi la responsabilità delle conseguenze che derivano alla qualità e funzionalità del sistema democratico. Il primo atteggiamento (quello che afferma positivamente il pluralismo) è laico, il secondo non lo è.
In democrazia «non negoziabile» è la pluralità dei valori, pubblicamente argomentata, non l’esigenza di imporre i propri valori (per altro soggettivamente legittimi). E laica è proprio la disponibilità a far funzionare in modo solidale le regole della convivenza, partendo dal presupposto che la molteplicità delle «visioni della vita», delle «concezioni del bene» o della «natura umana» non è una disgrazia pubblica (il famigerato «relativismo») cui non ci si deve rassegnare, ma l’essenza stessa della vita democratica.
La laicità insomma è un criterio e un valore pubblico, prima ancora che un atteggiamento privato, anche se si costruisce sulle virtù personali della tolleranza e della disponibilità al confronto di tutti i convincimenti.
La laicità italiana per decenni è stata una componente interna di costruzioni ideali-ideologiche di matrice liberale e/o socialista che avevano altrove il loro baricentro filosofico e politico. Dissolte queste sintesi, il pensiero laico deve oggi costruire da solo, senza pre-supposti ideologici, la sua linea di interpretazione e la sua linea d’azione. Senza volerlo, diventa il nuovo fondamento della democrazia.
Naturalmente le difficoltà che la laicità incontra oggi in Italia non dipendono semplicisticamente dalla determinazione con cui la gerarchia ecclesiastica sfrutta la congiuntura politica, la fragilità culturale e la ricattabilità della classe politica. Le difficoltà nascono oggettivamente dalle incertezze e dalle difficoltà di comportamento di milioni di donne e di uomini presi tra il bisogno di avere sicure indicazioni di orientamento morale e il desiderio di mantenere la propria autonomia. La gravità obiettiva delle questioni sul tappeto che investono l’idea delle unioni familiari, la problematica dell’aborto, l’espansione delle biotecnologie, in generale la problematica della «natura umana» sembra aver colto in contropiede il pensiero filosofico e scientifico più riflessivo.
Da qui il farsi avanti della Chiesa che non esita a mettere in scena pubblicamente la pretesa della sua verità. Contro di essa c’è soltanto la fragile ostinata esperienza di donne e di uomini che intendono seguire sommessamente le indicazioni della loro coscienza. Il loro unico punto di riferimento e di difesa è il principio costituzionale del pluralismo.
Conosco il sospetto e la supponenza morale di molti (non solo clericali) che in questo atteggiamento vedono soltanto libertinismo. E quindi considerano la Chiesa l’unica ancora di salvezza contro il nichilismo. Sbagliano. Ma non mi permetto di dare giudizi morali. Ciò che mi preme dire - senza evocare le antiche diatribe da Machiavelli a Croce o le ricorrenti tentazioni «neo-guelfe» nel nostro Paese - è che è semplicemente in gioco la nostra fragile e preziosa democrazia.
Sono sicuro che i molti cattolici della «Chiesa zittita» sono d’accordo.