Quanto tifiamo (e invidiamo) la Spagna di Zapatero
Il Riformista del 6 febbraio 2008, pag. 2
Vogliamo dirlo apertamente. La deriva zapaterista, quella in cui tanta parte dell'ex centrosinistra virtuosamente giurava che non sarebbe mai incappata, a noi del Riformista piace assai. Anzi, diciamolo più chiaramente ancora. Questo giornale fa un tifo sfacciato per Zapatero e per il Partito socialista e operaio spagnolo, e in questo spirito seguirà la campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni in Spagna. Nella speranza (ragionevole e fondata) che il 9 di marzo sia un giorno di vittoria. Per loro, e anche un po' per noi, che abbiamo un po' perso l'abitudine al sapore delle vittorie, e anche delle posizioni nette, che qui sono considerate sinonimo di settarismo, massimalismo, manicheismo e altri terribili ismi.
Ecco l'ultimo esempio. L'altro giorno avevamo riferito della nota con cui i vescovi spagnoli mettevano i piedi nel piatto della campagna elettorale, prendendosela (seppure senza nominarlo mai) con il governo Zapatero non solo per il matrimonio gay, l'aborto, il divorzio breve, l'educazione civica, ma anche per aver "negoziato" con l'Eta: un'accusa grave quanto infondata. La replica della direzione del Psoe non si è fatta attendere: «Se ci sarà un'altra intromissione "partitista" nella battaglia politica, avrà una risposta». Vaghezze? Mica tanto, a giudicare dalle dichiarazioni del responsabile organizzativo del partito, José Bianco, secondo il quale è arrivato il momento in cui la Chiesa deve fare dei passi avanti «sulla strada dell'autofinanziamento»: un'affermazione significativa, se appena si ricorda che (nella Spagna di Zapatero, non in quella di Aznar) la Chiesa riceve ogni anno dallo Stato più di cinque miliardi di euro. Qualcuno dirà, ne siamo sicuri, che si tratta di una minaccia o, peggio, di un inammissibile ricatto. A noi, figuratevi, sembrano parole chiare. Il nostro tifo aumenta. Ma anche la nostra invidia.
Il Riformista del 6 febbraio 2008, pag. 2
Vogliamo dirlo apertamente. La deriva zapaterista, quella in cui tanta parte dell'ex centrosinistra virtuosamente giurava che non sarebbe mai incappata, a noi del Riformista piace assai. Anzi, diciamolo più chiaramente ancora. Questo giornale fa un tifo sfacciato per Zapatero e per il Partito socialista e operaio spagnolo, e in questo spirito seguirà la campagna elettorale in vista delle imminenti elezioni in Spagna. Nella speranza (ragionevole e fondata) che il 9 di marzo sia un giorno di vittoria. Per loro, e anche un po' per noi, che abbiamo un po' perso l'abitudine al sapore delle vittorie, e anche delle posizioni nette, che qui sono considerate sinonimo di settarismo, massimalismo, manicheismo e altri terribili ismi.
Ecco l'ultimo esempio. L'altro giorno avevamo riferito della nota con cui i vescovi spagnoli mettevano i piedi nel piatto della campagna elettorale, prendendosela (seppure senza nominarlo mai) con il governo Zapatero non solo per il matrimonio gay, l'aborto, il divorzio breve, l'educazione civica, ma anche per aver "negoziato" con l'Eta: un'accusa grave quanto infondata. La replica della direzione del Psoe non si è fatta attendere: «Se ci sarà un'altra intromissione "partitista" nella battaglia politica, avrà una risposta». Vaghezze? Mica tanto, a giudicare dalle dichiarazioni del responsabile organizzativo del partito, José Bianco, secondo il quale è arrivato il momento in cui la Chiesa deve fare dei passi avanti «sulla strada dell'autofinanziamento»: un'affermazione significativa, se appena si ricorda che (nella Spagna di Zapatero, non in quella di Aznar) la Chiesa riceve ogni anno dallo Stato più di cinque miliardi di euro. Qualcuno dirà, ne siamo sicuri, che si tratta di una minaccia o, peggio, di un inammissibile ricatto. A noi, figuratevi, sembrano parole chiare. Il nostro tifo aumenta. Ma anche la nostra invidia.