La Costituzione dà ragione a Welby
L'Unità del 11 dicembre 2006, pag. 25
di Gilberto Corbellini
È incredibile l'inadeguatezza di alcuni ragionamenti che stanno alimentando la discussione pubblica, e creano una vera e propria Babele di punti di vista intorno e sulla richiesta di Piergiorgio Welby di interrompere l'assistenza artificiale alla respirazione ed essere lasciato morire senza soffrire. L'ultimo riguarda l'investitura da parte della ministra Turco del Consiglio Superiore della Sanità, chiamato a stabilire se si tratta di accanimento terapeutico. Il ministro e i consiglieri, che sembra stiano davvero istruendo l'improbabile parere, non sanno o fingono di non sapere la questione è già risolta.
Esiste una Costituzione vigente e delle sentenze passate in Cassazione. Queste, in soldoni, dicono, come dice persino il Codice di Deontologia Medica, che il medico nulla può fare senza il consenso del paziente. Addirittura sembra che tutti si siano dimenticati che quando era ministro della sanità un medico peraltro abbastanza all'antica e quindi con un'impostazione etico-giuridica paternalistica come Girolamo Sirchia, questi riconobbe che nel caso di una signora che rifiutava di farsi amputare una gamba e che di conseguenza sceglieva di morire, non poteva fare nulla. Questo significa che esiste la dottrina del consenso informato, che nei paesi più civili viene insegnata agli studenti di medicina dal primo anno. Ma che in Italia sembra cosa ancora esoterica, nonostante consegua logicamente dal diritto vigente. Talmente esoterica, che, per quanto abbia letto nella stampa in questi giorni, mi pare che nessuno l'ha tirata in ballo.
Si preferisce, perché tocca accenti emotivi e consente di lanciare anatemi a chi ha il riflesso condizionato dell'intolleranza, chiamare in causa l'eutanasia. Che in questo caso non c'entra niente. Come, se si analizza bene la questione, non c'entra l'accanimento terapeutico. Mi correggo. Si cerca di far passare l'idea che spetti al medico, o alla ministra o a un giudice di stabilire se Welby è vittima di un accanimento terapeutico.
Signori, guardate che Welby non è ancora privo di coscienza. Né qualcuno ha chiesto una perizia per stabilire se è capace o meno di intendere. Quindi, se si tratta o meno di accanimento spetta solo a lui di deciderlo! Che cosa potrà mai dire il Consiglio Superiore della Sanità? Al massimo può stabilire se il medico curante segue le linee di trattamento efficaci per quel caso clinico. Che sono standardizzate in base a criteri di buona pratica clinica. E la buona pratica clinica prevede che un giudizio medico di accanimento terapeutico entri in gioco solo se e quando il paziente non è cosciente. Per caso, il Consiglio Superiore se la sentirebbe di giudicare accanimenti gli interventi che Welby non vuole, ma che un altro paziente nelle sue stesse condizioni richiede? Allora che parere medico potrà mai dare?
Welby sta semplicemente chiedendo di interrompere un trattamento medico. E questo è un diritto costituzionalmente garantito! Nessuno «deve staccare qualche spina» - espressione retorica e priva di senso. È lui che dice basta! E il medico ha l'obbligo morale e legale di alleviare ogni sofferenza che possa conseguire da questa sua decisione libera e consapevole. Cioè di sedarlo. Quindi, si deve semplicemente stabilire se è logicamente, in base alle norme del diritto, e moralmente, in base a un'etica del rispetto della persona, ammissibile che Welby possa chiedere l'interruzione di un trattamento - la respirazione artificiale - che avrebbe potuto non farsi applicare se avesse esplicitamente ordinato al suo medico di non farlo nell'occasione della crisi respiratoria che portò alla trachesotomia. Perché, come è stato nel caso di Luca Coscioni, che non ha accettato di farsi trecheostomizzare, Welby avrebbe potuto evitare di trovarsi in questa condizione, se vi fosse stata una normativa decente sul testamento biologico. Ha senso l'asimmetria creata solo da un'incertezza del diritto, e che la logica o persino il banale buon senso riconoscono assurda? Ha senso, cioè è moralmente giusto, che Welby debba aspettare il momento in cui non potrà più deglutire, per impedire l'intervento di gastrostomia necessario per alimentarlo artificialmente, e che quindi sia costretto ad avere l'opportunità di lasciarsi morire di fame per affermare la sua libertà di scelta?
Questo sta chiedendo il radicale e co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni, Welby, alle istituzioni di questo paese. Dando per scontata, perché Welby ne sa di più in materia di tanti che si fanno passare per esperti, la risposta. Come la considerano scontata quasi due italiani su tre. La sua domanda e la risposta che verrà data sollevano ulteriori riflessioni e implicano di affrontare tutti i problemi etico-giuridici creati dalla scelte mediche nella fasi finali della vita del paziente. È evidente che se chi deve rispondere a Welby non capisce di cosa si sta parlando, o fa finta di non capire, è inimmaginabile che si possa andare molto lontano nella discussione. Almeno, però, si abbia rispetto per Piergiorgio. E si diano risposte pertinenti. Soprattutto non si cerchi di aggirare il problema o di perder tempo. Nella manifesta speranza che nel frattempo il problema di estingua da solo.
NOTE
Co-presidente (insieme a Piergiorgio Welby) dell´Associazione Coscioni e Professore ordinariodi Storia della medicina all´Università La Sapienza
L'Unità del 11 dicembre 2006, pag. 25
di Gilberto Corbellini
È incredibile l'inadeguatezza di alcuni ragionamenti che stanno alimentando la discussione pubblica, e creano una vera e propria Babele di punti di vista intorno e sulla richiesta di Piergiorgio Welby di interrompere l'assistenza artificiale alla respirazione ed essere lasciato morire senza soffrire. L'ultimo riguarda l'investitura da parte della ministra Turco del Consiglio Superiore della Sanità, chiamato a stabilire se si tratta di accanimento terapeutico. Il ministro e i consiglieri, che sembra stiano davvero istruendo l'improbabile parere, non sanno o fingono di non sapere la questione è già risolta.
Esiste una Costituzione vigente e delle sentenze passate in Cassazione. Queste, in soldoni, dicono, come dice persino il Codice di Deontologia Medica, che il medico nulla può fare senza il consenso del paziente. Addirittura sembra che tutti si siano dimenticati che quando era ministro della sanità un medico peraltro abbastanza all'antica e quindi con un'impostazione etico-giuridica paternalistica come Girolamo Sirchia, questi riconobbe che nel caso di una signora che rifiutava di farsi amputare una gamba e che di conseguenza sceglieva di morire, non poteva fare nulla. Questo significa che esiste la dottrina del consenso informato, che nei paesi più civili viene insegnata agli studenti di medicina dal primo anno. Ma che in Italia sembra cosa ancora esoterica, nonostante consegua logicamente dal diritto vigente. Talmente esoterica, che, per quanto abbia letto nella stampa in questi giorni, mi pare che nessuno l'ha tirata in ballo.
Si preferisce, perché tocca accenti emotivi e consente di lanciare anatemi a chi ha il riflesso condizionato dell'intolleranza, chiamare in causa l'eutanasia. Che in questo caso non c'entra niente. Come, se si analizza bene la questione, non c'entra l'accanimento terapeutico. Mi correggo. Si cerca di far passare l'idea che spetti al medico, o alla ministra o a un giudice di stabilire se Welby è vittima di un accanimento terapeutico.
Signori, guardate che Welby non è ancora privo di coscienza. Né qualcuno ha chiesto una perizia per stabilire se è capace o meno di intendere. Quindi, se si tratta o meno di accanimento spetta solo a lui di deciderlo! Che cosa potrà mai dire il Consiglio Superiore della Sanità? Al massimo può stabilire se il medico curante segue le linee di trattamento efficaci per quel caso clinico. Che sono standardizzate in base a criteri di buona pratica clinica. E la buona pratica clinica prevede che un giudizio medico di accanimento terapeutico entri in gioco solo se e quando il paziente non è cosciente. Per caso, il Consiglio Superiore se la sentirebbe di giudicare accanimenti gli interventi che Welby non vuole, ma che un altro paziente nelle sue stesse condizioni richiede? Allora che parere medico potrà mai dare?
Welby sta semplicemente chiedendo di interrompere un trattamento medico. E questo è un diritto costituzionalmente garantito! Nessuno «deve staccare qualche spina» - espressione retorica e priva di senso. È lui che dice basta! E il medico ha l'obbligo morale e legale di alleviare ogni sofferenza che possa conseguire da questa sua decisione libera e consapevole. Cioè di sedarlo. Quindi, si deve semplicemente stabilire se è logicamente, in base alle norme del diritto, e moralmente, in base a un'etica del rispetto della persona, ammissibile che Welby possa chiedere l'interruzione di un trattamento - la respirazione artificiale - che avrebbe potuto non farsi applicare se avesse esplicitamente ordinato al suo medico di non farlo nell'occasione della crisi respiratoria che portò alla trachesotomia. Perché, come è stato nel caso di Luca Coscioni, che non ha accettato di farsi trecheostomizzare, Welby avrebbe potuto evitare di trovarsi in questa condizione, se vi fosse stata una normativa decente sul testamento biologico. Ha senso l'asimmetria creata solo da un'incertezza del diritto, e che la logica o persino il banale buon senso riconoscono assurda? Ha senso, cioè è moralmente giusto, che Welby debba aspettare il momento in cui non potrà più deglutire, per impedire l'intervento di gastrostomia necessario per alimentarlo artificialmente, e che quindi sia costretto ad avere l'opportunità di lasciarsi morire di fame per affermare la sua libertà di scelta?
Questo sta chiedendo il radicale e co-presidente dell'Associazione Luca Coscioni, Welby, alle istituzioni di questo paese. Dando per scontata, perché Welby ne sa di più in materia di tanti che si fanno passare per esperti, la risposta. Come la considerano scontata quasi due italiani su tre. La sua domanda e la risposta che verrà data sollevano ulteriori riflessioni e implicano di affrontare tutti i problemi etico-giuridici creati dalla scelte mediche nella fasi finali della vita del paziente. È evidente che se chi deve rispondere a Welby non capisce di cosa si sta parlando, o fa finta di non capire, è inimmaginabile che si possa andare molto lontano nella discussione. Almeno, però, si abbia rispetto per Piergiorgio. E si diano risposte pertinenti. Soprattutto non si cerchi di aggirare il problema o di perder tempo. Nella manifesta speranza che nel frattempo il problema di estingua da solo.
NOTE
Co-presidente (insieme a Piergiorgio Welby) dell´Associazione Coscioni e Professore ordinariodi Storia della medicina all´Università La Sapienza