Un percorso a ostacoli tra obiettori e malasanità
La Repubblica del 15 febbraio 2008
di Paola Coppola
L'aborto come un percorso a ostacoli. Come un pellegrinaggio alla ricerca di un centro che faccia interruzioni di gravidanza o di un medico di turno disposto a fare quello che viene persino stigmatizzato come "un lavoro minore". L'aborto come una lista d'attesa fino ai limiti consentiti dalla legge, un "guaio" da risolvere in clandestinità come è accaduto l'altro giorno a Salerno. O come un dolore da sopportare in un piano interrato di un ospedale: ore di travaglio fino al parto di un feto malato, come ha raccontato una giovane donna romana.
La legge 194, in trent'anni di vita, non è mai riuscita a garantire il diritto all'aborto in modo uguale a tutte le italiane, se ancora oggi viene applicata alla lettera in regioni come la Toscana, ma non in Basilicata, dove le donne sono costrette a emigrare per interrompere una gravidanza. L'obiezione di coscienza è diffusa soprattutto al sud, ma in Italia l'80% dei ginecologi, il 46% degli anestesisti e il 39% del personale non medico non praticano aborti. E a Roma l'Ivg si fa solo in pochi centri come il San Filippo Neri e il San Camillo.
Da quando poi il tema è entrato nell'agenda politica o è stato ridotto allo scontro tra chi difende il diritto alla vita e chi no molti avvertono che la situazione potrebbe peggiorare. L'avvocato Alessandro Gerardi, dell'associazione Luca Coscioni, ha raccolto le denunce di due donne che si sono viste rifiutare la pillola del giorno dopo in nome dell'obiezione di coscienza, con una "libera interpretazione" della 194.
Mentre Mirella Parachini, ginecologa al San Filippo Neri e vicepresidente della Fiapac (Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione), denuncia il rischio di una criminalizzazione della legge: "Fino all'irruzione della polizia al policlinico di Napoli, pensavo che il dibattito fosse ideologico e strumentale e toccasse poco la realtà quotidiana. Ma quello che è successo è la spia di qualcosa che potrebbe ripetersi".
La Repubblica del 15 febbraio 2008
di Paola Coppola
L'aborto come un percorso a ostacoli. Come un pellegrinaggio alla ricerca di un centro che faccia interruzioni di gravidanza o di un medico di turno disposto a fare quello che viene persino stigmatizzato come "un lavoro minore". L'aborto come una lista d'attesa fino ai limiti consentiti dalla legge, un "guaio" da risolvere in clandestinità come è accaduto l'altro giorno a Salerno. O come un dolore da sopportare in un piano interrato di un ospedale: ore di travaglio fino al parto di un feto malato, come ha raccontato una giovane donna romana.
La legge 194, in trent'anni di vita, non è mai riuscita a garantire il diritto all'aborto in modo uguale a tutte le italiane, se ancora oggi viene applicata alla lettera in regioni come la Toscana, ma non in Basilicata, dove le donne sono costrette a emigrare per interrompere una gravidanza. L'obiezione di coscienza è diffusa soprattutto al sud, ma in Italia l'80% dei ginecologi, il 46% degli anestesisti e il 39% del personale non medico non praticano aborti. E a Roma l'Ivg si fa solo in pochi centri come il San Filippo Neri e il San Camillo.
Da quando poi il tema è entrato nell'agenda politica o è stato ridotto allo scontro tra chi difende il diritto alla vita e chi no molti avvertono che la situazione potrebbe peggiorare. L'avvocato Alessandro Gerardi, dell'associazione Luca Coscioni, ha raccolto le denunce di due donne che si sono viste rifiutare la pillola del giorno dopo in nome dell'obiezione di coscienza, con una "libera interpretazione" della 194.
Mentre Mirella Parachini, ginecologa al San Filippo Neri e vicepresidente della Fiapac (Federazione internazionale degli operatori di aborto e contraccezione), denuncia il rischio di una criminalizzazione della legge: "Fino all'irruzione della polizia al policlinico di Napoli, pensavo che il dibattito fosse ideologico e strumentale e toccasse poco la realtà quotidiana. Ma quello che è successo è la spia di qualcosa che potrebbe ripetersi".