lunedì 17 dicembre 2007

Aborto, via alla pillola che divide

Corriere della Sera 17.12.07
Le sperimentazioni Finita la fase preliminare, ora l'ultima parola spetta all'Aifa. La somministrazione solo in ospedale
Aborto, via alla pillola che divide
Partito l'iter per l'autorizzazione della Ru486 La protesta dei medici cattolici: è pericolosa
di Margherita De Bac

Il ministro. «Noi siamo tenuti a renderla disponibile, non è una scelta politica», dice il ministro della Salute Livia Turco

ROMA — Arriverà in Italia tra febbraio e marzo la pillola abortiva. Entrerà ufficialmente nel nostro prontuario terapeutico, dopo limitate esperienze a singhiozzo in alcuni centri ospedalieri. In due anni e mezzo l'hanno provata circa duemila donne, lo 0,9% di quelle che hanno interrotto volontariamente la gravidanza, secondo l'Istat. Nessun ostacolo dovrebbe ormai rallentare il percorso amministrativo che porterà al via libera definitivo. Resta nettamente contrario il mondo cattolico. C'è il timore che l'apertura possa condurre un domani alla vendita in farmacia e dunque favorire il ricorso all'aborto «facile». Invece l'Aifa chiarirà che la somministrazione delle due pasticche dovrà avvenire solo in ospedale, sotto controllo sanitario e nell'ambito della legge 194.
Il conto alla rovescia è scattato lunedì scorso, quando i tecnici dell'Agenzia del farmaco hanno cominciato ad esaminare la richiesta presentata dall'azienda francese Exelgyn. In realtà, c'è poco da verificare perché l'Ru486 (sigla attribuita dal suo scopritore) è stata provata in dieci anni da oltre un milione di cittadine europee che l'hanno preferita al metodo tradizionale, l'intervento chirurgico. Oltretutto il dossier inviato alle autorità italiane lo scorso novembre è soggetto al cosiddetto mutuo riconoscimento. Un Paese dell'Ue non può respingere un medicinale già commercializzato in un altro Stato comunitario. «Noi siamo tenuti a renderla disponibile, non è una scelta politica, ma un atto amministrativo», afferma Livia Turco, ministro della Salute, incalzata dalle polemiche riaccese nelle ultime settimane. Una società scientifica multidisciplinare, Promed Galileo, che riunisce associazioni e medici cattolici, ha presentato in questi giorni anche all'Aifa una documentazione sulla presunta pericolosità e scarsa efficacia del rimedio abortivo.
La ricerca, definita «indipendente», si basa su una diversa lettura degli studi internazionali. Secondo Nicola Natale, vicepresidente della società italiana di ginecologia e dell'associazione Medicina e Persona, «di aborto farmacologico si muore dieci volte di più rispetto a quello chirurgico. Le emorragie sono più numerose». Lo proverebbe, in particolare, un articolo pubblicato nel 2005 da New England Journal of Medicine, che fa riferimento a un precedente in Usa (shock settico e alcuni decessi per setticemia). Exelgyn, però, ribatte che «in nessun Paese la pillola ha determinato l'aumento del numero di interruzioni volontarie di gravidanza né di effetti collaterali o eventi mortali superiori in percentuale a quelli legati alla chirurgia».
Circostanze confermate, oltre che nel resto d'Europa, dai dati italiani. Il primo a proporre alle donne della 194 l'alternativa della doppia pillola (mifepristone e progesterone) è stato il Sant'Anna di Torino. Poi sono arrivate Toscana, Emilia Romagna, Santa Chiara di Trento, qualche esperienza isolata in Puglia. Il centro piemontese nel 2005 ha rotto gli indugi con una sperimentazione terminata tra sospensioni e inchieste a fine 2006: 272 casi.
In Toscana e Emilia Romagna l'Ru486 è stata autorizzata sulla base del decreto ministeriale che consente ai medici di richiedere per singole pazienti farmaci non registrati in Italia (ed esempio oncologici). Le scatole vengono ordinate direttamente alla Exelgyn e arrivano a destinazione nel giro di 5 giorni. L'ospedale di Empoli è stato il capofila nella Regione dell'assessore alla Sanità Enrico Rossi. Poi Siena, Livorno, Pistoia, Pescia. Traccia il bilancio il ginecologo Massimo Srebot: «Non ci risultano i fatti denunciati da Promed Galileo. Nessun problema serio né aumento di emorragie. In una minoranza di casi siamo intervenuti con un'aspirazione ambulatoriale perché il feto non è stato espulso. E' un'evenienza indicata nel foglietto illustrativo. Ambedue le metodiche hanno vantaggi e svantaggi». Secondo il protocollo regionale, la prima pillola di mifepristone, che interferisce con l'ormone della gravidanza, viene data in ospedale. La paziente rientra a casa e torna per ricevere la seconda a base di misoprostolo, che determina l'espulsione del feto. Per questo resta in osservazione. Ultimo appuntamento dopo 14 giorni, per il controllo.
Corrado Melega, al Maggiore di Bologna, parla di un fenomeno limitato e controllato: 60 le Ivg mediche nel 2006, quest'anno saranno 45 circa, addirittura in diminuzione: «Aumentano gli aborti su donne immigrate e a loro non proponiamo l'alternativa non chirurgica per questioni di chiarezza legate anche alla lingua. Dobbiamo essere certi della piena consapevolezza nel firmare il consenso».

Corriere della Sera 17.12.07
«Ho provato, meglio così che subire l'intervento»
Le testimonianze delle donne del Sant'Anna. Viale: soddisfazione per il 90 per cento delle pazienti
di Vera Schiavazzi

TORINO — A chiedere l'aborto senza chirurgia, e a poterlo effettivamente sperimentare nella sua breve e discussa prima applicazione in Italia, sono state 272 donne: dai 13 ai 49 anni, italiane e straniere di dodici diversi Paesi (il 25 per cento circa). Tra loro, molte infermiere e psicologhe, forse le meglio informate su questa tecnica. Le loro storie sono scritte nelle cartelle cliniche e, per cento donne, anche nei verbali della magistratura: la Procura di Torino ha aperto un'inchiesta, non ancora conclusa, per sapere come e perché non fu rispettata l'ordinanza dell'allora ministro Francesco Storace, che imponeva il ricovero per queste pazienti. Al Sant'Anna di Torino, primo ospedale italiano ad avviare, nel 2005 e dopo quattro anni di tentativi, una sperimentazione ampia sull'uso della Ru486 combinato con la prostaglandina, la bufera politica investì quasi subito medici, pazienti, l'intero ospedale. E soltanto ora, dopo che l'aborto farmacologico è stato definitivamente sospeso nell'agosto del 2006, è possibile tracciare un primo bilancio e cercare di misurare se questo metodo si è rivelato davvero migliore per le donne che volevano interrompere la loro gravidanza nelle prime settimane, come prevede la legge 194.
I primi 26 casi (dal 6 al 21 settembre del 2005) sono stati affrontati senza ricovero: dopo la richiesta e un'ecografia di controllo, le pazienti venivano in ambulatorio per la prima pastiglia, poi, al terzo giorno, per il secondo farmaco. In seguito, è stato previsto un ricovero di tre giorni, spesso aggirato con la formula dell'uscita in permesso. In un solo caso, la combinazione dei farmaci si è rivelata insufficiente ad interrompere la gravidanza e l'aborto è avvenuto poi chirurgicamente, mentre nel 6,4 per cento si è reso necessario un intervento di «revisione » dopo la prima emorragia. Osserva Silvio Viale, il ginecologo radicale che ha condotto la sperimentazione insieme al sessuologo Franco Mascherpa (scomparso in un incidente l'estate scorsa): «Quando iniziammo, c'erano state alcune donne in Italia morte in incidenti collegati all'anestesia, che viene praticata per l'aborto chirurgico. Questo spinse molte donne a chiedere l'interruzione farmacologica, non eravamo in grado di accoglierle tutte e accettammo soltanto la metà di quelle che lo chiedevano. Allo stesso modo, le polemiche su questo metodo fecero aumentare la percentuale di "revisione" dopo i farmaci: le donne avevano paura e non se la sentivano di aspettare. Ma nel 90 per cento dei casi i farmaci hanno funzionato come previsto, senza rischi e senza complicazioni».
Restano le domande sugli aspetti psicologici. Se è vero che l'aborto ottenuto con i farmaci evita l'anestesia e l'intervento, i detrattori di questo metodo sostengono che la solitudine delle pazienti, che attendono a casa propria l'emorragia e l'espulsione dell'embrione, può essere molto pesante, soprattutto quando i dolori che la accompagnano, simili a quelli mestruali, sono molto forti. E manca, per il caso di Torino, uno studio psicologico approfondito. Racconta E.M., 36 anni, impiegata: «Ho due figli, avrei voluto anche il terzo ma non me lo potevo permettere...
Quando ho saputo di questo metodo dal mio medico, ho subito chiamato l'ospedale, ho abortito in febbraio... Che cosa ricordo? La tristezza, i crampi, un po' di paura. Ma anche la grande umanità dei medici, che ho incontrato tre volte. Se dovesse capitare a una figlia, le consiglierei questo sistema ».
«I questionari dicono che il 90 per cento delle pazienti è soddisfatto, anche se soltanto un quarto di loro aveva già abortito in precedenza col metodo chirurgico e può dunque fare un paragone», spiega Viale.
Intanto, il quadro politico è cambiato, e la Regione Piemonte è governata da una giunta di centrosinistra che si augura la legalizzazione del farmaco: «Da molti anni ormai, l'aborto farmacologico viene praticato in tutta Europa, negli Stati Uniti e in molti altri Paesi del mondo, perché ritenuto, a parità di sicurezza per la salute della donna, un metodo di interruzione della gravidanza meno invasivo e traumatico dell'aborto chirurgico — dice Eleonora Artesio, assessore alla sanità —. Credo sia giusto che questa opzione venga finalmente offerta anche alle donne italiane e che queste ultime abbiano la possibilità, una volta correttamente informate, di scegliere cosa sia meglio per loro in un passaggio tanto difficile e sofferto della propria vita».