La Repubblica 5.2.08
I medici sacerdoti ai confini della vita
di Adriano Prosperi
«Nell´ora della nostra morte»: la preghiera antica dei cristiani si chiude ancora con queste parole. In quell´ora di tutti, una persona era chiamata al capezzale del morente: il prete. A lui spettava confortare la famiglia sbigottita e assistere le persone nel momento del trapasso. Oggi un´altra figura lo ha sostituito: il medico. Ma la sua non è più – salvo eccezioni sempre possibili – la presenza sollecita e soccorrevole del medico di famiglia, amico e depositario dei segreti e della fiducia delle persone al pari del (e per lo più insieme al) prete della parrocchia.
Egli è l´emissario impersonale di una macchina della salute che si impadronisce del morente e lo porta nella struttura sanitaria che potrà forse prolungargli provvisoriamente la vita ma dove comunque un giorno dovrà morire. L´esperienza di cui era depositario il prete, testimone di tutte le morti, gli serviva per portare speranza: quella di un´altra vita, certo, perché il suo compito di «onesto mercante del Cielo» (così lo definì un generale dei Gesuiti nel ´600) era pur sempre fissato dalla Chiesa nel dovere di guadagnare un´anima al Paradiso. Ma intanto quell´assoluzione da ogni peccato che la religione riservava ai morenti aveva il potere di alleggerire l´angoscia estrema. E per i non credenti che resistevano all´ultimo tentativo di convertirli restava il conforto recato comunque al morente dalla persona amica, capace di ascoltare e di restare vicino nel momento estremo.
Il mondo cambia velocemente. Tutto questo appartiene a un passato che è diventato improvvisamente remotissimo. Oggi quella preghiera deve essere cambiata: l´assistenza religiosa si è trasferita all´altro capo dell´esistenza. Bisognerà dire: «Nell´ora della nostra nascita». È qui che si è spostato il fronte della guerra per salvare non più le anime ma le vite terrene. E i medici, che nella nostra tradizione cattolica hanno imparato presto a nascondere o a cancellare del tutto l´abito dello scienziato positivista, scettico e irridente verso la fede, sono mobilitati anche qui al posto delle presenze sacerdotali. Spossessati della morte, lo saremo adesso anche della nascita? così pare. E ci prende un sentimento di nostalgia per l´antica religione dei parroci di campagna che benedicevano le nascite e assistevano alle morti come fatto di natura, da vivere dove si viveva normalmente, nel proprio letto, accanto alle persone amate e alle cose d´ogni giorno. È difficile adattarsi a questa nuova religione predicata da teologi «laici» e da consorzi medici attraverso gli schermi televisivi: una religione che ha i suoi rappresentanti non più nei parroci ma nei medici. Sono questi gli specialisti che decidono della nascita e della morte.
Ma vorremmo sommessamente osservare una cosa che forse non tutti hanno notato: quello che la Chiesa chiede ai medici di fare essi lo stanno già facendo da tempo. La novità, se c´è, è la proposta di una alleanza tendente a colorare religiosamente l´obbligo che l´intera società contemporanea, i suoi poteri politici e i suoi più corposi interessi economici hanno delegato alla corporazione dei medici: farci nascere a ogni costo e farci vivere il più a lungo possibile, allontanare la morte o almeno nasconderla come un rifiuto imbarazzante. E questo compito i medici lo stanno svolgendo con risultati sotto gli occhi di tutti. Un solo esempio: la durata media della vita si è allungata. Non importa molto se la vita più lunga che ci regalano qualche volta la vorremmo ridare indietro. Si leggano le testimonianze raccolte dalla dottoressa inglese Iona Heath in un piccolo libro delicato e amaro di cui ha parlato su questo giornale Umberto Galimberti e forse altri ancora parleranno: un libro che prova a insegnare ai medici quel che dovrebbero fare per riprendere un ruolo antico e prezioso, per imparare insomma che il loro mestiere non è far vivere a ogni costo ma rispettare i viventi e aiutarli a chiudere la loro esistenza in modo umano.
Bisognerà comunque rassegnarsi. Non è il primo esperimento che si fa di un controllo del potere sulla nuda vita. Non molto tempo fa –più o meno tre secoli – medici e giudici controllavano le gravidanze di donne sole (vedove, prostitute, mogli di emigranti) per prevenire il rischio di aborti procurati o di infanticidi: allora si trattava di salvare l´anima delle creature perché rischiavano di morire senza battesimo e dunque di andare all´Inferno o al massimo a quell´inferno mitigato che era il Limbo. E per salvare quelle anime fu praticato – con la benedizione delle autorità ecclesiastiche e di alcune autorità politiche – il cesareo su donna vivente: si apriva chirurgicamente il ventre delle gestanti quando il parto minacciava di finire male, per estrarne il feto e battezzarlo, seppellendolo poi insieme alla madre. Inutilmente le donne gridavano la loro disperazione quando vedevano avanzarsi il chirurgo insieme al prete. La vita eterna dell´anima umana era un bene incomparabilmente superiore a quello della loro esistenza. Già allora, dunque, i medici avevano invaso con delega ecclesiastica il momento della nascita: ma si trattava della salvezza eterna dell´anima. Intanto nel segreto delle famiglie la pratica degli aborti e degli infanticidi continuava senza soste: uno studio di uno storico inglese, Gregory Hanlon, sulla demografia seicentesca di un paese dell´Italia centrale – Torrita di Siena – ha dimostrato che la percentuale dei maschi battezzati alla metà del ´600 era più che doppia rispetto a quella delle femmine. Lo squilibrio tra maschi e femmine aveva dimensioni che oggi si trovano solo in Cina o in India.
Vogliamo tornare a quel mondo? Anche se volessimo – e non lo vogliamo – sappiamo bene che non è possibile. E l´argine legale eretto a fatica contro l´aborto clandestino avrà dei difetti ma ha avuto anche in Italia il merito di ridurre quella che era la vera e propria «sindrome cinese» del controllo nascosto delle nascite. Però è lecito almeno sperare in un´alleanza di tipo diverso tra una religione che ha imparato a rispettare la vita terrena e le coscienze individuali e una scienza medica che sta invece provando l´ebbrezza faustiana di un patto col diavolo. Perché che altro è quello che si fa nei suoi santuari se non garantire vita più lunga, corpo più giovane, capelli fluenti e rinnovati piaceri amorosi a chi vi entra con le rughe, calvo e con istinti cancellati dalla vecchiaia? Cose del genere nella Chiesa di un tempo erano condannate con asprezza e potevano portare sul rogo. Ma non ci scandalizziamo dell´attuale benevola tolleranza; e comunque non è certo alla Chiesa che vogliamo dare consigli. Invece a questi medici vorremmo ricordare che non sono loro i padroni della vita e della morte. Ne sono, nei casi migliori e se ci riescono, i servitori: in scienza e coscienza.
I medici sacerdoti ai confini della vita
di Adriano Prosperi
«Nell´ora della nostra morte»: la preghiera antica dei cristiani si chiude ancora con queste parole. In quell´ora di tutti, una persona era chiamata al capezzale del morente: il prete. A lui spettava confortare la famiglia sbigottita e assistere le persone nel momento del trapasso. Oggi un´altra figura lo ha sostituito: il medico. Ma la sua non è più – salvo eccezioni sempre possibili – la presenza sollecita e soccorrevole del medico di famiglia, amico e depositario dei segreti e della fiducia delle persone al pari del (e per lo più insieme al) prete della parrocchia.
Egli è l´emissario impersonale di una macchina della salute che si impadronisce del morente e lo porta nella struttura sanitaria che potrà forse prolungargli provvisoriamente la vita ma dove comunque un giorno dovrà morire. L´esperienza di cui era depositario il prete, testimone di tutte le morti, gli serviva per portare speranza: quella di un´altra vita, certo, perché il suo compito di «onesto mercante del Cielo» (così lo definì un generale dei Gesuiti nel ´600) era pur sempre fissato dalla Chiesa nel dovere di guadagnare un´anima al Paradiso. Ma intanto quell´assoluzione da ogni peccato che la religione riservava ai morenti aveva il potere di alleggerire l´angoscia estrema. E per i non credenti che resistevano all´ultimo tentativo di convertirli restava il conforto recato comunque al morente dalla persona amica, capace di ascoltare e di restare vicino nel momento estremo.
Il mondo cambia velocemente. Tutto questo appartiene a un passato che è diventato improvvisamente remotissimo. Oggi quella preghiera deve essere cambiata: l´assistenza religiosa si è trasferita all´altro capo dell´esistenza. Bisognerà dire: «Nell´ora della nostra nascita». È qui che si è spostato il fronte della guerra per salvare non più le anime ma le vite terrene. E i medici, che nella nostra tradizione cattolica hanno imparato presto a nascondere o a cancellare del tutto l´abito dello scienziato positivista, scettico e irridente verso la fede, sono mobilitati anche qui al posto delle presenze sacerdotali. Spossessati della morte, lo saremo adesso anche della nascita? così pare. E ci prende un sentimento di nostalgia per l´antica religione dei parroci di campagna che benedicevano le nascite e assistevano alle morti come fatto di natura, da vivere dove si viveva normalmente, nel proprio letto, accanto alle persone amate e alle cose d´ogni giorno. È difficile adattarsi a questa nuova religione predicata da teologi «laici» e da consorzi medici attraverso gli schermi televisivi: una religione che ha i suoi rappresentanti non più nei parroci ma nei medici. Sono questi gli specialisti che decidono della nascita e della morte.
Ma vorremmo sommessamente osservare una cosa che forse non tutti hanno notato: quello che la Chiesa chiede ai medici di fare essi lo stanno già facendo da tempo. La novità, se c´è, è la proposta di una alleanza tendente a colorare religiosamente l´obbligo che l´intera società contemporanea, i suoi poteri politici e i suoi più corposi interessi economici hanno delegato alla corporazione dei medici: farci nascere a ogni costo e farci vivere il più a lungo possibile, allontanare la morte o almeno nasconderla come un rifiuto imbarazzante. E questo compito i medici lo stanno svolgendo con risultati sotto gli occhi di tutti. Un solo esempio: la durata media della vita si è allungata. Non importa molto se la vita più lunga che ci regalano qualche volta la vorremmo ridare indietro. Si leggano le testimonianze raccolte dalla dottoressa inglese Iona Heath in un piccolo libro delicato e amaro di cui ha parlato su questo giornale Umberto Galimberti e forse altri ancora parleranno: un libro che prova a insegnare ai medici quel che dovrebbero fare per riprendere un ruolo antico e prezioso, per imparare insomma che il loro mestiere non è far vivere a ogni costo ma rispettare i viventi e aiutarli a chiudere la loro esistenza in modo umano.
Bisognerà comunque rassegnarsi. Non è il primo esperimento che si fa di un controllo del potere sulla nuda vita. Non molto tempo fa –più o meno tre secoli – medici e giudici controllavano le gravidanze di donne sole (vedove, prostitute, mogli di emigranti) per prevenire il rischio di aborti procurati o di infanticidi: allora si trattava di salvare l´anima delle creature perché rischiavano di morire senza battesimo e dunque di andare all´Inferno o al massimo a quell´inferno mitigato che era il Limbo. E per salvare quelle anime fu praticato – con la benedizione delle autorità ecclesiastiche e di alcune autorità politiche – il cesareo su donna vivente: si apriva chirurgicamente il ventre delle gestanti quando il parto minacciava di finire male, per estrarne il feto e battezzarlo, seppellendolo poi insieme alla madre. Inutilmente le donne gridavano la loro disperazione quando vedevano avanzarsi il chirurgo insieme al prete. La vita eterna dell´anima umana era un bene incomparabilmente superiore a quello della loro esistenza. Già allora, dunque, i medici avevano invaso con delega ecclesiastica il momento della nascita: ma si trattava della salvezza eterna dell´anima. Intanto nel segreto delle famiglie la pratica degli aborti e degli infanticidi continuava senza soste: uno studio di uno storico inglese, Gregory Hanlon, sulla demografia seicentesca di un paese dell´Italia centrale – Torrita di Siena – ha dimostrato che la percentuale dei maschi battezzati alla metà del ´600 era più che doppia rispetto a quella delle femmine. Lo squilibrio tra maschi e femmine aveva dimensioni che oggi si trovano solo in Cina o in India.
Vogliamo tornare a quel mondo? Anche se volessimo – e non lo vogliamo – sappiamo bene che non è possibile. E l´argine legale eretto a fatica contro l´aborto clandestino avrà dei difetti ma ha avuto anche in Italia il merito di ridurre quella che era la vera e propria «sindrome cinese» del controllo nascosto delle nascite. Però è lecito almeno sperare in un´alleanza di tipo diverso tra una religione che ha imparato a rispettare la vita terrena e le coscienze individuali e una scienza medica che sta invece provando l´ebbrezza faustiana di un patto col diavolo. Perché che altro è quello che si fa nei suoi santuari se non garantire vita più lunga, corpo più giovane, capelli fluenti e rinnovati piaceri amorosi a chi vi entra con le rughe, calvo e con istinti cancellati dalla vecchiaia? Cose del genere nella Chiesa di un tempo erano condannate con asprezza e potevano portare sul rogo. Ma non ci scandalizziamo dell´attuale benevola tolleranza; e comunque non è certo alla Chiesa che vogliamo dare consigli. Invece a questi medici vorremmo ricordare che non sono loro i padroni della vita e della morte. Ne sono, nei casi migliori e se ci riescono, i servitori: in scienza e coscienza.