sabato 15 dicembre 2007

Aborto, aboliamo l'obiezione per i medici

Aborto, aboliamo l'obiezione per i medici

Liberazione del 31 ottobre 2007, pag. 1

di Paolo Flores d'Arcais

Di diktat in diktat, prosegue la crociata con cui papa Ratzinger sta tentando di smantellare le regole laiche della convivenza democratica, per sostituirle con la volontà confessionale della Chiesa cat­tolica gerarchica. Ora è la volta dell'obie­zione di coscienza, che andrebbe garan­tita ai farmacisti, liberi dunque di sceglie­re quali medicine fornire ai pazienti e quali no, in ottemperanza alle prescrizio­ni del catechismo anziché alla prescrizio­ne del medico. Quanto al cittadino non credente, che si arrangi. In effetti, la disciplina dell'obiezione di coscienza nell'ambito della sanità va cambiata, e radicalmente. Ma in direzio­ne esattamente opposta alla deriva cleri­cale caldeggiata dal supremo Pastore tedesco. Non solo non è ammissibile che un farmacista possa discriminare i diritti dei pazienti, frustrando quelli di chi non vuole vivere secondo la morale (sessuofoba, oltretutto) di Santa Romana Chiesa. Ma va ormai modificata la legge che tale discriminazione consente ai me­dici, nei confronti di donne che vogliano valersi del diritto ad abortire (nei limiti previsti, ovviamente). La clausola dell'obiezione era giustifica­ta quando la legge entrò in vigore. Chi fi­no ad allora aveva intrapreso la missione medica (nella specializzazione di gine­cologia) lo aveva fatto sapendo che tra i diritti della paziente (e dunque i doveri del medico) non vi era quello all'aborto, in nessun caso. Ma dal momento che un tale diritto viene legalmente in essere, il dovere del medico a non frustrarlo di­venta l'altra faccia, ineludibile, di quel diritto, che altrimenti può finire in flatus vocis. Da quel momento, insomma, il di­ritto all'obiezione di coscienza avrebbe dovuto valere solo come norma transito­ria, per quanti fossero già medici nei re­parti di ginecologia o per i laureati già specializzandi in tale ambito. Chi avesse scelto successivamente la spe­cializzazione in ginecologia non doveva più avere diritto all'obiezione, poiché la pratica di quel diritto può vanificare od ostacolare (come spesso avvenuto) il dirit­to della paziente. In altri termini: chi trova ripugnante per la propria coscienza l'a­borto, scelga una diversa professione (nel­l'ambito della missione medica, del resto, vi sono infinite altre specializzazioni). Sarebbe accettabile un magistrato che, ripugnando ciò alla sua coscienza, obiet­tasse rispetto a reati che prevedono l'erga­stolo? Considerare l'ergastolo una puni­zione da abrogare può essere una convin­zione più che nobile, ma fino a che tale pe­na è prevista nel nostro ordinamento, chi la vive come perentoria ha una sola strada: rinunciare a fare il magistrato. Sarebbe accettabile che un giornalaio decida quali pubblicazioni vendere e quali invece negare a chi le chiede, sulla base dei suoi criteri di moralità (o morali­smo)? Se non se la sente di guadagnare vendendo giornali che la sua coscienza ritiene indecenti, faccia un altro mestie­re, perché la libera circolazione di tutte le pubblicazioni garantite dalla legge è un diritto primario dei cittadini.



Sarebbe accettabile che un tabaccaio rifiutasse di fornire a chi la richiede la schedi­na del lotto o di qualsiasi altra scommessa legale, perché "in coscienza" considera il gioco d'azzardo un peccato mortale (o sociale)? Potremmo magari simpatizzare con il suo rigore, e trovare indecente che lo Sta­to si faccia biscazziere, ma chiederemmo che ne dia pro­va cambiando mestiere. Per­ché il cliente ha diritto a gioca­re la sua schedina. Ho utilizzato esempi diversi, che hanno un diversissimo impatto etico e sociale, dun­que una importanza non assimilabile. Ma la logica è sem­pre la stessa. Chi trova da obiettare in coscienza contro i doveri legati ad una professio­ne (che sono l'altra faccia dei diritti garantiti dalla legge ai pazienti, clienti, consumato­ri, insomma ai cittadini) non intraprenda quella professio­ne. Punto e basta. La tradizione dell'obiezione di coscienza ha infatti una lunga e nobile storia di lotte, che riu­scì alla fine ad affermare un principio civilissimo. Ma quel principio e quelle lotte nasco­no, come è noto, contro una misura che era costrittiva: la leva militare obbligatoria. In quel caso non si trattava del­la scelta di una professione, ma di un obbligo. Il renitente alla leva, perché la sua co­scienza non gli consentiva di portare armi, finiva in carcere. Il diritto all'obiezione di coscienza - diritto civilissimo, ri­peto - e conquistato a costo di enormi sacrifici, voleva garan­tire la possibilità di "dire No" a un obbligo (quello del servizio militare e conseguente uso delle armi). Ma l'obiezione di coscienza di chi scelga la carriera militare come professio­ne, o decida di fare il poliziotto o la guardia giurata, sarebbe una contraddizione in termi­ni. A portare le armi non lo ob­bliga nessuno. Se la coscienza glielo vieta, non scelga quelle professioni.



Avrebbe senso fare il prete cattolico, e poi pretendere obie­zione alla celebrazione del matrimonio, perché "in coscienza" non si crede più alla indissolubilità dello stesso? E un testimone di Geova, infer­miere o medico, ha diritto ad obiettare alle trasfusioni di sangue, per lui peccato mor­tale esattamente come per Ratzinger sono peccato mor­tale l'aborto o l'eutanasia? E un medico di fede musulma­na potrà obiettare, e non visi­tare o curare un paziente, per­ché di sesso opposto? In In­ghilterra a questa aberrazione siamo già arrivati. E un ebreo fondamentalista, che abbia intrapreso la professione del medico anatomo-patologo, potrà rifiutarsi di avvicinare cadaveri perché lo rendono "impuro"?



Potremmo continuare a moltiplicare gli esempi. Spesso drammatici, in generale seri, talvolta frivoli o perfino comi­ci. Ma la risposta non può che essere sempre la stessa: di fronte a un diritto garantito al cittadino, chi in coscienza non può soddisfarlo scelga una professione diversa, che non lo metta in conflitto con la propria coscienza. Altri­menti, avremo tante leggi quante le opinioni morali, cioè l'arbitrio di ciascuno di calpestare i diritti altrui, con l'alibi della "coscienza". Infine: colpisce, in questo en­nesimo conato di sopraffazio­ne clericale, la postura difensi­va dei "laici". Bene che vada si reagisce, con toni più o meno "misurati", quando un Ratzin­ger, un Ruini, un Bertone, un Bagnasco, architettano l'ennesima incursione contro la laicità democratica. Mai che si prenda l'iniziativa, che si provi a determinare l'«agenda», sul diritto all'eutanasia, sulla Ru486, sulle staminali e la ri­cerca, sull'abrogazione del Concordato. Mai che si dica: o così o non vi votiamo.