Umberto Galimberti: Babbo Natale o Gesù Bambino?
Tratto da “D, la Repubblica delle donne”, 17 dicembre 2005
Babbo Natale, quell’anziano e rubicondo gigante in ottima salute che incontriamo per le strade o vediamo nelle vetrine dei negozi durante il periodo natalizio, proviene dagli Stati Uniti. Non è però nato in America: vi giunse, come un emigrante, il giorno del suo onomastico. Il 6 dicembre 1492, Cristoforo Colombo entrò nel porto di Bohio, a Haiti. e lo ribattezzò con il nome cristiano di San Nicola. A partire da quel giorno, Nicola fece una brillante carriera, diventando quel Santa Claus o Babbo Natale che è poi il simbolo della festa nel mondo.
Un simbolo contestato, perché i doni, la ricchezza, l'opulenza, il consumismo, lo spreco che alla sua figura si accompagnano contrastano con la povertà del Bambin Gesù, nato in una grotta, riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello. Come si conciliano questi miti così diversi nel giorno di Natale? Non si conciliano, eppure convivono. Tutto sta nel scoprirne la chiave. Santa Claus, o Babbo Natale, è San Nicola di Mira (oggi Dembre), in Turchia. Da qui, nel 1087 marinai baresi prelevarono le reliquie e le portarono in Puglia. Rispetto all’ascetico santo originario, oggi Santa Claus o Babbo Natale è ingrassato e arricchito, per ben rappresentare la potenza e l'opulenza che caratterizzano la società occidentale. Questa trasformazione non è dell’ultima ora: precede il Piano Marshall e la diffusione dell’american style. Il passaggio da San Nicola a Santa Claus è stato lungo e lento, e soprattutto caratterizzato da quell’antichissima tradizione che vuole il ritomo dei morti, cioè degli antenati. La tradizione indica la successione generazionale, per cui chi si appresta ad abbandonare questa terra lascia i suoi beni a chi viene dopo, per la sua prosperità. Forse per questo Plutone. dio dellAde, era anche il dio della ricchezza. Così come il Bambino della grotta si sacrificherà per donare la vera vita agli uomini.
Gli scenari sono radicalmente diversi, ma identica è l'idea che la prosperità di chi viene al mondo è un dono di chi se ne va.
Eppure, nonostante questa apparente identità di significati, Babbo Natale e il Bambin Gesù restano tra loro incompatibili, e non tanto perché uno è vecchio e l'altro è neonato, ma perché il primo incarna l’idea del “tempo ciclico”, che ripete se stesso nella rassicurante successione delle stagioni (non solo meteorologiche, ma anche della vita). Invece la nascita di Gesù inaugura un “tempo lineare” che ha una finalità: la redenzione degli uomini e l'avvento del Regno di Dio. Nel tempo ciclico non c'è rimpianto e non c'è attesa, non esiste futuro diverso dalla pura e semplice ripresa del passato, che il presente ribadisce.
Non c'è nulla da attendere se non ciò che deve ritornare. Incarnando Questo tipo di temporalità, Babbo Natale è rassicurante. I doni che offre ai bambini sono per la loro crescita, affinche il ciclo si compia nella successione delle generazioni.
Nel tempo lineare che Gesù Bambino inaugura, il primato non appartiene al passato della tradizione, che ripete se stessa, ma al futuro. che promette "nuovi cieli e nuove terre”. E anche quando i processi di secoiarizzazione sbiadiranno la promessa cristiana, verrà mantenuta la visione del tempo dove il passato è male, il presente redenzione, il futuro salvezza. La scienza si incaricherà di segnalarlo nel progresso: l'utopia e la rivoluzione, nel rovesciamento del dominio del male nel dominio del bene. Forse per Questo le rivoluzioni danno vita a nuovi calendari, a nuove misurazioni del tempo, perché, a differenza dell'utopia che ha bisogno di tanto futuro, la rivoluzione prende fuoco per un “altro” futuro. Queste due diverse visioni del tempo - l'una colloca la speranza nella ripresa del passato, l'altra nell'attesa del futuro - indussero Paolo VI, nel febbraio del 1969, a trasformare la festività di San Nicola da obbligatoria a facoltativa. Così, i culti agropastorali a sfondo pagano, che la festa riprendeva ed esprimeva nel suo omaggio alla tradizione, non avrebbero oscurato il messaggio cristiano, che è attesa del futuro. Oggi , che viviamo un neopaganesimo di ritorno, non necessariamente anticristiano - il Bambin Gesù può convivere con Babbo Natale e, di conseguenza, concorrere alla celebrazione del valore della famiglia, dove i doni del padre, materiali e valoriali, figurano come condizioni per la buona crescita dei figli. La famiglia, questo nucleo portante della società, che diventa sempre più importante quanto meno la società è protettiva, compone le due tradizioni. Quella pagana che guarda al passato, al tempo in cui i padri hanno accumulato la ricchezza che saranno destinati a cedere, e quella cristiana che guarda al futuro, al tempo dei figli destinatari di quella ricchezza di cui in ogni ricorrenza natalizia si porge un simbolico anticipo sotto la forma del dono della gratuità, dell'aiuto al di fuori di ogni logica di mercato, che non conosce il dono ma solamente lo scambio.
Con il loro dono agli esseri più deboli e indifesi, ovvero i bambini, sia Babbo Natale sia il Bambin Gesù attivano, in una società mercantile e contrattuale in ogni suo aspetto, il tema della gratuità, quasi a voler ribadire che, senza gesto gratuito e senza dono, i padri muoiono privi della consolazione di un futuro, e ai bambini manca la prospettiva di un avvenire. Il tema resta sempre il tempo che abbraccia le generazioni, le quali possono succedere l'una all’altra perché, al di là dei nostri calcoli economici, un gesto gratuito le genera e le alimenta. Sarà per Questo che il Natale è una festa così importante: accomuna riti pagani e speranze cristiane e, al di là di tutti gli steccati, parla di pace in quell'unica forma credibile - perché non contrattuale - che è il dono che un padre porge a suo figlio. Perché così vuole la legge di natura, al di là delle macchinazioni degli uomini di cui è gravida la storia.
Tratto da “D, la Repubblica delle donne”, 17 dicembre 2005
Babbo Natale, quell’anziano e rubicondo gigante in ottima salute che incontriamo per le strade o vediamo nelle vetrine dei negozi durante il periodo natalizio, proviene dagli Stati Uniti. Non è però nato in America: vi giunse, come un emigrante, il giorno del suo onomastico. Il 6 dicembre 1492, Cristoforo Colombo entrò nel porto di Bohio, a Haiti. e lo ribattezzò con il nome cristiano di San Nicola. A partire da quel giorno, Nicola fece una brillante carriera, diventando quel Santa Claus o Babbo Natale che è poi il simbolo della festa nel mondo.
Un simbolo contestato, perché i doni, la ricchezza, l'opulenza, il consumismo, lo spreco che alla sua figura si accompagnano contrastano con la povertà del Bambin Gesù, nato in una grotta, riscaldato dal fiato di un bue e di un asinello. Come si conciliano questi miti così diversi nel giorno di Natale? Non si conciliano, eppure convivono. Tutto sta nel scoprirne la chiave. Santa Claus, o Babbo Natale, è San Nicola di Mira (oggi Dembre), in Turchia. Da qui, nel 1087 marinai baresi prelevarono le reliquie e le portarono in Puglia. Rispetto all’ascetico santo originario, oggi Santa Claus o Babbo Natale è ingrassato e arricchito, per ben rappresentare la potenza e l'opulenza che caratterizzano la società occidentale. Questa trasformazione non è dell’ultima ora: precede il Piano Marshall e la diffusione dell’american style. Il passaggio da San Nicola a Santa Claus è stato lungo e lento, e soprattutto caratterizzato da quell’antichissima tradizione che vuole il ritomo dei morti, cioè degli antenati. La tradizione indica la successione generazionale, per cui chi si appresta ad abbandonare questa terra lascia i suoi beni a chi viene dopo, per la sua prosperità. Forse per questo Plutone. dio dellAde, era anche il dio della ricchezza. Così come il Bambino della grotta si sacrificherà per donare la vera vita agli uomini.
Gli scenari sono radicalmente diversi, ma identica è l'idea che la prosperità di chi viene al mondo è un dono di chi se ne va.
Eppure, nonostante questa apparente identità di significati, Babbo Natale e il Bambin Gesù restano tra loro incompatibili, e non tanto perché uno è vecchio e l'altro è neonato, ma perché il primo incarna l’idea del “tempo ciclico”, che ripete se stesso nella rassicurante successione delle stagioni (non solo meteorologiche, ma anche della vita). Invece la nascita di Gesù inaugura un “tempo lineare” che ha una finalità: la redenzione degli uomini e l'avvento del Regno di Dio. Nel tempo ciclico non c'è rimpianto e non c'è attesa, non esiste futuro diverso dalla pura e semplice ripresa del passato, che il presente ribadisce.
Non c'è nulla da attendere se non ciò che deve ritornare. Incarnando Questo tipo di temporalità, Babbo Natale è rassicurante. I doni che offre ai bambini sono per la loro crescita, affinche il ciclo si compia nella successione delle generazioni.
Nel tempo lineare che Gesù Bambino inaugura, il primato non appartiene al passato della tradizione, che ripete se stessa, ma al futuro. che promette "nuovi cieli e nuove terre”. E anche quando i processi di secoiarizzazione sbiadiranno la promessa cristiana, verrà mantenuta la visione del tempo dove il passato è male, il presente redenzione, il futuro salvezza. La scienza si incaricherà di segnalarlo nel progresso: l'utopia e la rivoluzione, nel rovesciamento del dominio del male nel dominio del bene. Forse per Questo le rivoluzioni danno vita a nuovi calendari, a nuove misurazioni del tempo, perché, a differenza dell'utopia che ha bisogno di tanto futuro, la rivoluzione prende fuoco per un “altro” futuro. Queste due diverse visioni del tempo - l'una colloca la speranza nella ripresa del passato, l'altra nell'attesa del futuro - indussero Paolo VI, nel febbraio del 1969, a trasformare la festività di San Nicola da obbligatoria a facoltativa. Così, i culti agropastorali a sfondo pagano, che la festa riprendeva ed esprimeva nel suo omaggio alla tradizione, non avrebbero oscurato il messaggio cristiano, che è attesa del futuro. Oggi , che viviamo un neopaganesimo di ritorno, non necessariamente anticristiano - il Bambin Gesù può convivere con Babbo Natale e, di conseguenza, concorrere alla celebrazione del valore della famiglia, dove i doni del padre, materiali e valoriali, figurano come condizioni per la buona crescita dei figli. La famiglia, questo nucleo portante della società, che diventa sempre più importante quanto meno la società è protettiva, compone le due tradizioni. Quella pagana che guarda al passato, al tempo in cui i padri hanno accumulato la ricchezza che saranno destinati a cedere, e quella cristiana che guarda al futuro, al tempo dei figli destinatari di quella ricchezza di cui in ogni ricorrenza natalizia si porge un simbolico anticipo sotto la forma del dono della gratuità, dell'aiuto al di fuori di ogni logica di mercato, che non conosce il dono ma solamente lo scambio.
Con il loro dono agli esseri più deboli e indifesi, ovvero i bambini, sia Babbo Natale sia il Bambin Gesù attivano, in una società mercantile e contrattuale in ogni suo aspetto, il tema della gratuità, quasi a voler ribadire che, senza gesto gratuito e senza dono, i padri muoiono privi della consolazione di un futuro, e ai bambini manca la prospettiva di un avvenire. Il tema resta sempre il tempo che abbraccia le generazioni, le quali possono succedere l'una all’altra perché, al di là dei nostri calcoli economici, un gesto gratuito le genera e le alimenta. Sarà per Questo che il Natale è una festa così importante: accomuna riti pagani e speranze cristiane e, al di là di tutti gli steccati, parla di pace in quell'unica forma credibile - perché non contrattuale - che è il dono che un padre porge a suo figlio. Perché così vuole la legge di natura, al di là delle macchinazioni degli uomini di cui è gravida la storia.