lunedì 17 dicembre 2007

L'Italia nuda davanti alla legge

L'Italia nuda davanti alla legge

La Stampa.it del 23 luglio 2007

di Pierluigi Franz
Sono passati 40 anni da quando Brigitte Bardot lanciò la moda dei bagni di sole a seno nudo in un celebre hotel di Saint Tropez. Da allora topless, tanga, microbikini hanno impegnato la nostra magistratura ai massimi livelli. Anche quest'anno si annuncia un'estate calda per i naturisti che intendono prendere la tintarella integrale in spiagge isolate. E come al solito polizia e carabinieri sono già intervenuti su denuncia dei bagnanti.

L'art. 726 del codice penale, infatti, punisce con un'ammenda di 516 euro chi compie atti contrari alla pubblica decenza in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico. Quattro proposte di legge (due alla Camera e due al Senato) mirano a concedere l'immunità ai naturisti che si denudano in spiagge riservate. Ma non sono state mai discusse in Parlamento. Tra le Regioni solo l'Emilia-Romagna ha approvato una legge in tal senso. Analoghe proposte giacciono in Piemonte e nel Lazio. Dalla rassegna delle altalenanti sentenze della Cassazione in tema di nudismo emerge un interessante spaccato della nostra società. Il confine tra comportamenti leciti e comportamenti che rientrano nelle categorie dell'osceno e degli atti contrari alla pubblica decenza è difficilmente determinabile e ruota intorno al «comune sentimento del pudore», concetto che può mutare con la moda, l’evoluzione dei costumi e il giudizio dei mass media.

Anche il viceministro dell'Interno Marco Minniti si è rassegnato a non poter emanare una circolare per consentire il naturismo in zone franche dove non si rischi alcuna sanzione penale: «risulta evidente la complessità di una direttiva che richiederebbe un’univoca definizione del “comune senso del pudore”, concetto mutevole nel tempo e di stretta elaborazione giurisprudenziale». Insomma, chissà quando il nudo sarà praticabile senza rischiare il passaggio in tribunale per atti contrari alla pubblica decenza?

Il buon «pater familias»
Le sentenze della Cassazione partono nel 1952 quando si ritiene valido il divieto ad usare lo slip in pubblico nei pressi di una spiaggia, poiché «è contrario ai rapporti di civile convivenza e specialmente alla compostezza». Nel 1966 gli ermellini ritengono che l'espressione “comune sentimento” va riferita «alla figura dell'uomo comune, ossia medio-normale, che trova riscontro nel concetto di bonus pater familias».

Due anni dopo la Suprema Corte afferma che è reato farsi fotografare indossando un bikini di ridottissime dimensioni in una pubblica piazza, «a nulla rilevando l'aspetto fisico o la maggiore o minore avvenenza». Sul buon costume interviene addirittura la Corte Costituzionale, che cancella la norma che vietava l'inserzione nei giornali e in altri scritti periodici di «corrispondenze o di avvisi amorosi». Nel 1969 la Cassazione ritiene, invece, che viola l'articolo 726 del codice penale, «la palpazione degli organi genitali in luogo pubblico come gesto di scongiuro, giacché l'atto è contrario alle regole e al sentimento di compostezza verso i consociati». Nel 1971 i supremi giudici precisano che per il «comune senso del pudore» «occorre riferirsi all'uomo medio italiano che, nell'attuale momento storico, vive nella grande e nella piccola città, nelle regioni del Nord e in quelle del Sud, senza occuparsi o preoccuparsi di quanto avviene in questo campo in altre parti del mondo o in alcuni particolari ambienti del nostro Paese». Nel 1972 gli ermellini del «Palazzaccio» ritengono che sia atto osceno, e non atto contrario alla pubblica decenza, l'esibizione in luogo pubblico degli organi genitali.

Nel 1977 la Cassazione definisce di nuovo il pudore come «reazione emotiva, immediata ed irriflessa, di disagio, turbamento e repulsione in ordine a organi del corpo o comportamenti sessuali che, per ancestrale istintività, continuità pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell'intimità e nel riserbo». Finalmente il 18 novembre 1978 viene emessa la prima sentenza della Cassazione sul nudismo, che condanna la tintarella integrale in una spiaggia affollata: per abbronzarsi è sufficiente l'uso di microbikini o dei tanga. I nomi delle due ragazze, Maria Tavani e Maria Olimpia Coretti, sono quindi destinati a passare alla storia. Nella motivazione (è la n. 14267) si legge che «la nudità integrale non può apparire discreta, appunto perché consapevolmente illimitata e volutamente estesa fino all'estremo, ed integra un comportamento tipicamente inverecondo. La mancanza di gesti lubrichi e di movenze lascive, che esaltino la sessualità, può tutt'al più escludere l'oscenità, ma non anche la sconvenienza della esposizione alla pubblica vista dei genitali e delle parti vergognose del corpo. Ed è certo che l'integrale nudità dei corpi, specialmente se realizzata in località aperta al pubblico ed affollata da adolescenti, viola il principio di costumatezza garantito dalla Costituzione ed assistito dalla sanzione penale».

Nella sentenza si ricordano più volte le «partes pudendae», la «verecundia et urbanitas», e si afferma che «la nozione di decenza è più ampia di quella di pudore» e comprende gli «atti sconci, turpi e disgustosi, quelli non più che convenienti al senso morale e quelli che contrastano con le più elementari regole di garbo e di costumatezza». Infine, «la possibilità degli abbienti di utilizzare zone franche per esporre al sole ogni centimetro quadrato di epidermide si risolve in uno stolido comportamento dell'eguaglianza di gruppo nell'accesso ad un’immotivata usanza».

L’intervento dell’Europa
Nella primavera 1980 anche la Commissione Europea si occupa del problema. E presenta al Consiglio dei ministri CEE una proposta per armonizzare le norme sulla balneazione dei nudisti in ogni Stato. Sono previste spiagge «designate», riservate solo ai naturisti. Per scoraggiare i «voyeurs» viene tracciata una mappa d'Europa e scelte «spiagge con il massimo isolamento, lontane da conventi e monasteri, poco vento e pochissime meduse». Si pensa anche a pubblicare un manuale in più lingue per evitare l'arresto dei nudisti stranieri che non sappiano leggere cartelli in dialetto locale e sbaglino spiaggia. Nella proposta figura persino «l'addestramento di bagnini specializzati nelle tecniche di salvataggio più garbate per soccorrere chi nuota nudo».

Il 30 aprile 1980 passa alla storia la giovane Cinzia Cappellini: è la prima in monokini ad essere assolta con formula piena dalla Cassazione. Alla stessa conclusione la Corte giunge 6 mesi dopo in un caso identico, respingendo il ricorso della Procura di Grosseto, che aveva, tra l'altro, sostenuto che «sul seno femminile, coperto o scoperto che sia, si appuntano gli sguardi degli uomini per valutare le doti fisiche di una donna onde principalmente apprezzare le possibili capacità amatorie». Vengono così fissati una serie di importanti principi:

1) «Lo spettacolo di un seno femminile scoperto su una spiaggia, d'estate, senza atteggiamenti provocanti, non in coppia con un solo uomo ma in gruppo, non suscita in sé apprezzabile turbamento, di disgusto o di eccitazione, nell'uomo medio del tempo d'oggi nel nostro Paese»;

2) «non fanno testo i cittadini della zona, cioè i bagnanti, anche se numerosi, che reclamano o protestano per la nudità sulle spiagge, poiché il giudice deve avere come punto di riferimento esclusivamente il pensare e sentire dell'intera comunità nazionale (compresi scrittori e uomini di cultura), non di gruppi o porzioni di essa, e men che mai di aree geografiche (si pensi a sopravvivenze di costume poco meno che medioevali in certe ristrette zone dove che siano situate)»;

3) «l'equiparazione del nudo integrale maschile al nudo parziale femminile appare non solo opinabile, ma del tutto arbitraria non potendosi condividere i giudizi - alquanto sorprendenti - espressi nel ricorso del pm sulla natura sessuale del seno femminile e sulla conseguente carica erotica della sua esposizione»;

4) «il concetto di “decenza” non è e non può essere fisso ed immutabile, ma dinamico, come diretta conseguenza della trasformazione della società».

Il 22 settembre 1982 la Cassazione condanna per la prima volta il nudo integrale maschile in spiaggia e ribadisce il divieto per quello femminile. Viene, invece, di nuovo assolto il monokini. Il no al nudo integrale maschile e femminile vale dappertutto: su spiagge o scogli isolati, in barca, nei parchi, sui prati o nelle colonie di naturisti. La Corte spiega che la sua diversità di giudizio sul monokini e sul nudo integrale non è incoerente, essendo «indecente l'esposizione sempre in ambiente balneare degli organi sessuali esterni maschili e femminili», mentre «la completa denudazione del corpo anche se “casta” e puramente “naturistica” è giustificata dal fatto che il nudo integrale maschile e femminile desta "senso di disagio, di repulsione, di sconcerto o di curiosità invereconda, o eccitazione erotica nell'osservatore dotato di comune sensibilità non esasperata da rigorismo morale o iperestesia sessuale».

Turbate dal misfatto
Nella sentenza si prende atto che è cambiata la mentalità della gente. Pertanto «l'esposizione del seno nudo in riva al mare non provoca scandalo nel momento attuale ed è ormai tollerata dalla maggioranza delle persone». Il 6 maggio 1983 la Cassazione cambia stranamente idea sul monokini ed emette una sentenza sconcertante: «Sì al seno nudo, ma solo col voto decisivo dei bagnanti». Si suggerisce un referendum da effettuare di volta in volta nei singoli processi penali nei confronti di nudisti, ma senza tener conto che dopo anni è quasi impossibile rintracciare le persone presenti in spiaggia il giorno del «misfatto» e turbate da chi prendeva il sole senza reggiseno.

Per la Corte «deve essere dimostrato che l'ostentazione in pubblico del seno femminile non è più reputata una manifestazione d'indecenza». Difatti, «stampa, cinema e tv non costituiscono valide e attendibili fonti di prova in quanto non rispecchiano la reale opinione della maggioranza degli utenti sulla decenza o meno dell'esibizione delle mammelle muliebri nei frequentati luoghi balneari, ma esprimono il modo di pensare di una sparuta minoranza». A sorpresa appena dieci giorni dopo la Cassazione boccia di nuovo il monokini: «l'esibizione su una pubblica spiaggia del seno femminile, che ha indubbia attinenza con la sfera sessuale, produce di certo un sentimento di disagio, di disapprovazione dell'uomo medio». Si precisa poi che prendere il sole a seno nudo in spiaggia è reato «anche nell'attuale momento storico, malgrado l'evoluzione del costume avutasi negli ultimi tempi».

Nel febbraio 1986 la Cassazione condanna per atti osceni un giovane sardo che completamente nudo si era masturbato sul terrazzino di casa: «è un atto contrario alla pubblica decenza». Nel 1997, invece, la Suprema Corte dà implicitamente via libera al monokini, ma condanna per atti osceni un giovane che si era denudato in treno, «perchè l'esibizione degli organi genitali mira al soddisfacimento della libido». Tre anni dopo afferma che «la nudità dei genitali può assumere un diverso rilievo penale in funzione del contesto in cui è inserita».

Sempre nel 2000 dopo gli «ermellini», giudicando un giovane che si era denudato in una spiaggia affollata, emettono un’importante sentenza (la n. 3557). Affermano, tra l'altro, che «non può considerarsi indecente la nudità integrale di un modello o di un artista in un'opera teatrale o cinematografica, o in un contesto scientifico o didattico, o anche di un naturista in una spiaggia riservata ai nudisti o da essi solitamente frequentata, mentre invece suscita certamente disagio, fastidio, riprovazione chi fa mostra di sé, ivi compresi gli organi genitali, in un tram, in strada, in un locale pubblico, o anche in una spiaggia frequentata da persone normalmente abbigliate». In particolare, «l'esibizione su una spiaggia non appartata degli organi genitali, benché in stato di “quiete”, diversamente da quella del seno nudo femminile costituisce un atto lesivo del comune sentimento di riserbo e costumatezza». Nel 2006 la Cassazione conferma che è reato la tintarella integrale in un parco: «può provocare turbamento ed è tollerata solo nella particolare situazione di campi nudisti, riservata a soggetti consenzienti, ma non in luoghi pubblici dov'è percepibile anche da bambini».

Un mese fa l'ultima pronuncia. La Corte stabilisce che nessun giudice può sostituire la condanna di un nudista integrale con la cosiddetta «condotta riparatoria», cioè con il suo impegno a versare in beneficenza 300 euro ad un'associazione di ricerca contro il cancro. Due coppie di naturisti, una di Pinerolo, l’altra di Savona, saranno di nuovo processate ad ottobre per atti contrari alla pubblica decenza.

La Stampa.it del 23 luglio 2007

di Pierluigi Franz
Sono passati 40 anni da quando Brigitte Bardot lanciò la moda dei bagni di sole a seno nudo in un celebre hotel di Saint Tropez. Da allora topless, tanga, microbikini hanno impegnato la nostra magistratura ai massimi livelli. Anche quest'anno si annuncia un'estate calda per i naturisti che intendono prendere la tintarella integrale in spiagge isolate. E come al solito polizia e carabinieri sono già intervenuti su denuncia dei bagnanti.

L'art. 726 del codice penale, infatti, punisce con un'ammenda di 516 euro chi compie atti contrari alla pubblica decenza in luogo pubblico o aperto o esposto al pubblico. Quattro proposte di legge (due alla Camera e due al Senato) mirano a concedere l'immunità ai naturisti che si denudano in spiagge riservate. Ma non sono state mai discusse in Parlamento. Tra le Regioni solo l'Emilia-Romagna ha approvato una legge in tal senso. Analoghe proposte giacciono in Piemonte e nel Lazio. Dalla rassegna delle altalenanti sentenze della Cassazione in tema di nudismo emerge un interessante spaccato della nostra società. Il confine tra comportamenti leciti e comportamenti che rientrano nelle categorie dell'osceno e degli atti contrari alla pubblica decenza è difficilmente determinabile e ruota intorno al «comune sentimento del pudore», concetto che può mutare con la moda, l’evoluzione dei costumi e il giudizio dei mass media.

Anche il viceministro dell'Interno Marco Minniti si è rassegnato a non poter emanare una circolare per consentire il naturismo in zone franche dove non si rischi alcuna sanzione penale: «risulta evidente la complessità di una direttiva che richiederebbe un’univoca definizione del “comune senso del pudore”, concetto mutevole nel tempo e di stretta elaborazione giurisprudenziale». Insomma, chissà quando il nudo sarà praticabile senza rischiare il passaggio in tribunale per atti contrari alla pubblica decenza?

Il buon «pater familias»
Le sentenze della Cassazione partono nel 1952 quando si ritiene valido il divieto ad usare lo slip in pubblico nei pressi di una spiaggia, poiché «è contrario ai rapporti di civile convivenza e specialmente alla compostezza». Nel 1966 gli ermellini ritengono che l'espressione “comune sentimento” va riferita «alla figura dell'uomo comune, ossia medio-normale, che trova riscontro nel concetto di bonus pater familias».

Due anni dopo la Suprema Corte afferma che è reato farsi fotografare indossando un bikini di ridottissime dimensioni in una pubblica piazza, «a nulla rilevando l'aspetto fisico o la maggiore o minore avvenenza». Sul buon costume interviene addirittura la Corte Costituzionale, che cancella la norma che vietava l'inserzione nei giornali e in altri scritti periodici di «corrispondenze o di avvisi amorosi». Nel 1969 la Cassazione ritiene, invece, che viola l'articolo 726 del codice penale, «la palpazione degli organi genitali in luogo pubblico come gesto di scongiuro, giacché l'atto è contrario alle regole e al sentimento di compostezza verso i consociati». Nel 1971 i supremi giudici precisano che per il «comune senso del pudore» «occorre riferirsi all'uomo medio italiano che, nell'attuale momento storico, vive nella grande e nella piccola città, nelle regioni del Nord e in quelle del Sud, senza occuparsi o preoccuparsi di quanto avviene in questo campo in altre parti del mondo o in alcuni particolari ambienti del nostro Paese». Nel 1972 gli ermellini del «Palazzaccio» ritengono che sia atto osceno, e non atto contrario alla pubblica decenza, l'esibizione in luogo pubblico degli organi genitali.

Nel 1977 la Cassazione definisce di nuovo il pudore come «reazione emotiva, immediata ed irriflessa, di disagio, turbamento e repulsione in ordine a organi del corpo o comportamenti sessuali che, per ancestrale istintività, continuità pedagogica, stratificazione di costumi ed esigenze morali, tendono a svolgersi nell'intimità e nel riserbo». Finalmente il 18 novembre 1978 viene emessa la prima sentenza della Cassazione sul nudismo, che condanna la tintarella integrale in una spiaggia affollata: per abbronzarsi è sufficiente l'uso di microbikini o dei tanga. I nomi delle due ragazze, Maria Tavani e Maria Olimpia Coretti, sono quindi destinati a passare alla storia. Nella motivazione (è la n. 14267) si legge che «la nudità integrale non può apparire discreta, appunto perché consapevolmente illimitata e volutamente estesa fino all'estremo, ed integra un comportamento tipicamente inverecondo. La mancanza di gesti lubrichi e di movenze lascive, che esaltino la sessualità, può tutt'al più escludere l'oscenità, ma non anche la sconvenienza della esposizione alla pubblica vista dei genitali e delle parti vergognose del corpo. Ed è certo che l'integrale nudità dei corpi, specialmente se realizzata in località aperta al pubblico ed affollata da adolescenti, viola il principio di costumatezza garantito dalla Costituzione ed assistito dalla sanzione penale».

Nella sentenza si ricordano più volte le «partes pudendae», la «verecundia et urbanitas», e si afferma che «la nozione di decenza è più ampia di quella di pudore» e comprende gli «atti sconci, turpi e disgustosi, quelli non più che convenienti al senso morale e quelli che contrastano con le più elementari regole di garbo e di costumatezza». Infine, «la possibilità degli abbienti di utilizzare zone franche per esporre al sole ogni centimetro quadrato di epidermide si risolve in uno stolido comportamento dell'eguaglianza di gruppo nell'accesso ad un’immotivata usanza».

L’intervento dell’Europa
Nella primavera 1980 anche la Commissione Europea si occupa del problema. E presenta al Consiglio dei ministri CEE una proposta per armonizzare le norme sulla balneazione dei nudisti in ogni Stato. Sono previste spiagge «designate», riservate solo ai naturisti. Per scoraggiare i «voyeurs» viene tracciata una mappa d'Europa e scelte «spiagge con il massimo isolamento, lontane da conventi e monasteri, poco vento e pochissime meduse». Si pensa anche a pubblicare un manuale in più lingue per evitare l'arresto dei nudisti stranieri che non sappiano leggere cartelli in dialetto locale e sbaglino spiaggia. Nella proposta figura persino «l'addestramento di bagnini specializzati nelle tecniche di salvataggio più garbate per soccorrere chi nuota nudo».

Il 30 aprile 1980 passa alla storia la giovane Cinzia Cappellini: è la prima in monokini ad essere assolta con formula piena dalla Cassazione. Alla stessa conclusione la Corte giunge 6 mesi dopo in un caso identico, respingendo il ricorso della Procura di Grosseto, che aveva, tra l'altro, sostenuto che «sul seno femminile, coperto o scoperto che sia, si appuntano gli sguardi degli uomini per valutare le doti fisiche di una donna onde principalmente apprezzare le possibili capacità amatorie». Vengono così fissati una serie di importanti principi:

1) «Lo spettacolo di un seno femminile scoperto su una spiaggia, d'estate, senza atteggiamenti provocanti, non in coppia con un solo uomo ma in gruppo, non suscita in sé apprezzabile turbamento, di disgusto o di eccitazione, nell'uomo medio del tempo d'oggi nel nostro Paese»;

2) «non fanno testo i cittadini della zona, cioè i bagnanti, anche se numerosi, che reclamano o protestano per la nudità sulle spiagge, poiché il giudice deve avere come punto di riferimento esclusivamente il pensare e sentire dell'intera comunità nazionale (compresi scrittori e uomini di cultura), non di gruppi o porzioni di essa, e men che mai di aree geografiche (si pensi a sopravvivenze di costume poco meno che medioevali in certe ristrette zone dove che siano situate)»;

3) «l'equiparazione del nudo integrale maschile al nudo parziale femminile appare non solo opinabile, ma del tutto arbitraria non potendosi condividere i giudizi - alquanto sorprendenti - espressi nel ricorso del pm sulla natura sessuale del seno femminile e sulla conseguente carica erotica della sua esposizione»;

4) «il concetto di “decenza” non è e non può essere fisso ed immutabile, ma dinamico, come diretta conseguenza della trasformazione della società».

Il 22 settembre 1982 la Cassazione condanna per la prima volta il nudo integrale maschile in spiaggia e ribadisce il divieto per quello femminile. Viene, invece, di nuovo assolto il monokini. Il no al nudo integrale maschile e femminile vale dappertutto: su spiagge o scogli isolati, in barca, nei parchi, sui prati o nelle colonie di naturisti. La Corte spiega che la sua diversità di giudizio sul monokini e sul nudo integrale non è incoerente, essendo «indecente l'esposizione sempre in ambiente balneare degli organi sessuali esterni maschili e femminili», mentre «la completa denudazione del corpo anche se “casta” e puramente “naturistica” è giustificata dal fatto che il nudo integrale maschile e femminile desta "senso di disagio, di repulsione, di sconcerto o di curiosità invereconda, o eccitazione erotica nell'osservatore dotato di comune sensibilità non esasperata da rigorismo morale o iperestesia sessuale».

Turbate dal misfatto
Nella sentenza si prende atto che è cambiata la mentalità della gente. Pertanto «l'esposizione del seno nudo in riva al mare non provoca scandalo nel momento attuale ed è ormai tollerata dalla maggioranza delle persone». Il 6 maggio 1983 la Cassazione cambia stranamente idea sul monokini ed emette una sentenza sconcertante: «Sì al seno nudo, ma solo col voto decisivo dei bagnanti». Si suggerisce un referendum da effettuare di volta in volta nei singoli processi penali nei confronti di nudisti, ma senza tener conto che dopo anni è quasi impossibile rintracciare le persone presenti in spiaggia il giorno del «misfatto» e turbate da chi prendeva il sole senza reggiseno.

Per la Corte «deve essere dimostrato che l'ostentazione in pubblico del seno femminile non è più reputata una manifestazione d'indecenza». Difatti, «stampa, cinema e tv non costituiscono valide e attendibili fonti di prova in quanto non rispecchiano la reale opinione della maggioranza degli utenti sulla decenza o meno dell'esibizione delle mammelle muliebri nei frequentati luoghi balneari, ma esprimono il modo di pensare di una sparuta minoranza». A sorpresa appena dieci giorni dopo la Cassazione boccia di nuovo il monokini: «l'esibizione su una pubblica spiaggia del seno femminile, che ha indubbia attinenza con la sfera sessuale, produce di certo un sentimento di disagio, di disapprovazione dell'uomo medio». Si precisa poi che prendere il sole a seno nudo in spiaggia è reato «anche nell'attuale momento storico, malgrado l'evoluzione del costume avutasi negli ultimi tempi».

Nel febbraio 1986 la Cassazione condanna per atti osceni un giovane sardo che completamente nudo si era masturbato sul terrazzino di casa: «è un atto contrario alla pubblica decenza». Nel 1997, invece, la Suprema Corte dà implicitamente via libera al monokini, ma condanna per atti osceni un giovane che si era denudato in treno, «perchè l'esibizione degli organi genitali mira al soddisfacimento della libido». Tre anni dopo afferma che «la nudità dei genitali può assumere un diverso rilievo penale in funzione del contesto in cui è inserita».

Sempre nel 2000 dopo gli «ermellini», giudicando un giovane che si era denudato in una spiaggia affollata, emettono un’importante sentenza (la n. 3557). Affermano, tra l'altro, che «non può considerarsi indecente la nudità integrale di un modello o di un artista in un'opera teatrale o cinematografica, o in un contesto scientifico o didattico, o anche di un naturista in una spiaggia riservata ai nudisti o da essi solitamente frequentata, mentre invece suscita certamente disagio, fastidio, riprovazione chi fa mostra di sé, ivi compresi gli organi genitali, in un tram, in strada, in un locale pubblico, o anche in una spiaggia frequentata da persone normalmente abbigliate». In particolare, «l'esibizione su una spiaggia non appartata degli organi genitali, benché in stato di “quiete”, diversamente da quella del seno nudo femminile costituisce un atto lesivo del comune sentimento di riserbo e costumatezza». Nel 2006 la Cassazione conferma che è reato la tintarella integrale in un parco: «può provocare turbamento ed è tollerata solo nella particolare situazione di campi nudisti, riservata a soggetti consenzienti, ma non in luoghi pubblici dov'è percepibile anche da bambini».

Un mese fa l'ultima pronuncia. La Corte stabilisce che nessun giudice può sostituire la condanna di un nudista integrale con la cosiddetta «condotta riparatoria», cioè con il suo impegno a versare in beneficenza 300 euro ad un'associazione di ricerca contro il cancro. Due coppie di naturisti, una di Pinerolo, l’altra di Savona, saranno di nuovo processate ad ottobre per atti contrari alla pubblica decenza.