Quando la Chiesa si ammala di vittimismo
La Stampa del 1 maggio 2007, pag. 1
di Gian Enrico Rusconi
La tesi di Marcello Pera sulla «Europa vero nemico della Chiesa», esposta ieri in questo stesso spazio del giornale, è inconsistente. Anzi è sbagliata, perché è costruita sulla confusione tra «laicismo» come presunta ideologia dominante in Europa e principio di laicità delle istituzioni europee.
Detto questo, la tensione tra Parlamento europeo e Chiesa cattolica è un fatto che va seguito con attenzione. Ma le considerazioni di Pera sono parte del problema stesso. Partono infatti dal presupposto che le questioni di merito sul tappeto (riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, in particolare di quelle omosessuali) siano semplicemente il pretesto per attaccare il cristianesimo e la Chiesa. Non sono cioè oggetto e motivo di legittime (ovviamente discutibili) differenze di visioni culturali ed etiche che realizzano il principio stesso del pluralismo etico, fondamento della laicità. In realtà secondo Pera queste sono soltanto chiacchiere che coprono il relativismo nichilista, che ora trova (finalmente, sembra dire) il suo vero nemico nella Chiesa.
Il contrasto si concentra sul riconoscimento dello status giuridico delle coppie omosessuali, fermamente respinto dalla Chiesa. A questo proposito ammettiamo pure che l'accusa di omofobia rivolta in termini generali alla Chiesa sia ingiusta.
Ma il vero punto è perché proprio questa questione stia di fatto bloccando ogni possibilità di autentico dialogo tra i laici e i sostenitori delle tesi della Chiesa, azzerando , ogni altra problematica. Perché mai è diventata una discriminante insuperabile.
Mi chiedo se gli uomini di Chiesa, in prima linea gli italiani, anziché atteggiarsi a vittime del laicismo europeo, non debbano interrogarsi sugli effetti della loro strategia comunicativa. Dando alla Chiesa il profilo ormai dominante di «unica istituzione che difende la famiglia», rischiano di favorire un paradossale impoverimento del messaggio religioso e teologico nel discorso pubblico. La centralità quasi esclusiva data ai rapporti interpersonali e sessuali nasconde una singolare afasia teologica - ovvero l'incapacità di comunicare con altrettanta enfasi - su un'infinità di altri temi. Qual è il nesso teologico tra la fissazione sulla «famiglia naturale» e i fondamentali cristiani della redenzione, della salvezza o del peccato originale?
Oltre gli anatemi dei clericali italiani
Occorre tuttavia fare una precisazione, a livello europeo. Marcello Pera confonde Chiesa e religione con quella cattolica (anzi con le direttive della Cei). In Europa invece ci sono altre Chiese cristiane che hanno posizioni più articolate sulle tematiche anche omosessuali. Soprattutto non si sognano di attaccare le istituzioni europee o di considerarle un covo di anti-cristianesimo perché non condividono le loro posizioni.
A questo proposito è bene ricordare quale è la situazione delle Chiese in Europa, al di là degli anatemi dei clericali italiani. Mi riferisco al testo del Trattato costituzionale, che non è entrato in vigore ma recepisce quanto è già presente in altri documenti dell'Unione. Il testo quindi riproduce la realtà europea. Ebbene l'Ue riconosce a pieno titolo le Chiese (al plurale!) come organizzazioni di interessi spirituali e morali di milioni di cittadini. Assegna loro a livello europeo una posizione oggettivamente rilevante, non inferiore a quella che godono nei rispettivi paesi membri. In particolare l'articolo 52 recita che l'Unione «rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri». Aggiunge che vuole mantenere nei loro riguardi «un dialogo costante», «riconoscendone l'identità e il contributo specifico». Naturalmente lo stesso articolo ha cura di aggiungere che l'Unione europea «rispetta ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali».
Una leadership informale
Le Chiese dunque sono riconosciute parte rilevante, istituzionale, della società europea, anche se la normative giuridiche e le sensibilità religiose variano da paese a paese. La Chiesa cattolica, ben collaudata nei suoi rapporti diplomatici, non nasconde la sua ambizione di svolgere a livello europeo un ruolo informale di leadership, quasi extra-istituzionale. Ma è più difficile di quanto non appaia, non già per un pregiudizio laicistico, ma perché l'Europa è una istituzione laica o «secolare» dove le Chiese non possono pretendere un trattamento preferenziale o di sottrarsi a dissensi polemici. Che poi alcuni farabutti ne approfittino per minacciare uomini di Chiesa è un motivo in più per affrontare con reciproca serietà tutto il problema.
La Stampa del 1 maggio 2007, pag. 1
di Gian Enrico Rusconi
La tesi di Marcello Pera sulla «Europa vero nemico della Chiesa», esposta ieri in questo stesso spazio del giornale, è inconsistente. Anzi è sbagliata, perché è costruita sulla confusione tra «laicismo» come presunta ideologia dominante in Europa e principio di laicità delle istituzioni europee.
Detto questo, la tensione tra Parlamento europeo e Chiesa cattolica è un fatto che va seguito con attenzione. Ma le considerazioni di Pera sono parte del problema stesso. Partono infatti dal presupposto che le questioni di merito sul tappeto (riconoscimento giuridico delle coppie di fatto, in particolare di quelle omosessuali) siano semplicemente il pretesto per attaccare il cristianesimo e la Chiesa. Non sono cioè oggetto e motivo di legittime (ovviamente discutibili) differenze di visioni culturali ed etiche che realizzano il principio stesso del pluralismo etico, fondamento della laicità. In realtà secondo Pera queste sono soltanto chiacchiere che coprono il relativismo nichilista, che ora trova (finalmente, sembra dire) il suo vero nemico nella Chiesa.
Il contrasto si concentra sul riconoscimento dello status giuridico delle coppie omosessuali, fermamente respinto dalla Chiesa. A questo proposito ammettiamo pure che l'accusa di omofobia rivolta in termini generali alla Chiesa sia ingiusta.
Ma il vero punto è perché proprio questa questione stia di fatto bloccando ogni possibilità di autentico dialogo tra i laici e i sostenitori delle tesi della Chiesa, azzerando , ogni altra problematica. Perché mai è diventata una discriminante insuperabile.
Mi chiedo se gli uomini di Chiesa, in prima linea gli italiani, anziché atteggiarsi a vittime del laicismo europeo, non debbano interrogarsi sugli effetti della loro strategia comunicativa. Dando alla Chiesa il profilo ormai dominante di «unica istituzione che difende la famiglia», rischiano di favorire un paradossale impoverimento del messaggio religioso e teologico nel discorso pubblico. La centralità quasi esclusiva data ai rapporti interpersonali e sessuali nasconde una singolare afasia teologica - ovvero l'incapacità di comunicare con altrettanta enfasi - su un'infinità di altri temi. Qual è il nesso teologico tra la fissazione sulla «famiglia naturale» e i fondamentali cristiani della redenzione, della salvezza o del peccato originale?
Oltre gli anatemi dei clericali italiani
Occorre tuttavia fare una precisazione, a livello europeo. Marcello Pera confonde Chiesa e religione con quella cattolica (anzi con le direttive della Cei). In Europa invece ci sono altre Chiese cristiane che hanno posizioni più articolate sulle tematiche anche omosessuali. Soprattutto non si sognano di attaccare le istituzioni europee o di considerarle un covo di anti-cristianesimo perché non condividono le loro posizioni.
A questo proposito è bene ricordare quale è la situazione delle Chiese in Europa, al di là degli anatemi dei clericali italiani. Mi riferisco al testo del Trattato costituzionale, che non è entrato in vigore ma recepisce quanto è già presente in altri documenti dell'Unione. Il testo quindi riproduce la realtà europea. Ebbene l'Ue riconosce a pieno titolo le Chiese (al plurale!) come organizzazioni di interessi spirituali e morali di milioni di cittadini. Assegna loro a livello europeo una posizione oggettivamente rilevante, non inferiore a quella che godono nei rispettivi paesi membri. In particolare l'articolo 52 recita che l'Unione «rispetta e non pregiudica lo status previsto nelle legislazioni nazionali per le Chiese e le associazioni o comunità religiose degli Stati membri». Aggiunge che vuole mantenere nei loro riguardi «un dialogo costante», «riconoscendone l'identità e il contributo specifico». Naturalmente lo stesso articolo ha cura di aggiungere che l'Unione europea «rispetta ugualmente lo status delle organizzazioni filosofiche e non confessionali».
Una leadership informale
Le Chiese dunque sono riconosciute parte rilevante, istituzionale, della società europea, anche se la normative giuridiche e le sensibilità religiose variano da paese a paese. La Chiesa cattolica, ben collaudata nei suoi rapporti diplomatici, non nasconde la sua ambizione di svolgere a livello europeo un ruolo informale di leadership, quasi extra-istituzionale. Ma è più difficile di quanto non appaia, non già per un pregiudizio laicistico, ma perché l'Europa è una istituzione laica o «secolare» dove le Chiese non possono pretendere un trattamento preferenziale o di sottrarsi a dissensi polemici. Che poi alcuni farabutti ne approfittino per minacciare uomini di Chiesa è un motivo in più per affrontare con reciproca serietà tutto il problema.