l’Unità 11.12.07
Religioni senza pace
di Mario Soares
Teoricamente la religione si oppone alla violenza, nasce dall’amore per Dio e dovrebbe promuovere la pace. Ma nella storia le cose non sono andate così, e a regnare è stata l’intolleranza. Senza tolleranza e senza rispetto per i diritti di chi è diverso da noi, i conflitti e le guerre sono inevitabili. In passato le cose sono andate così, e probabilmente andranno così anche in futuro, come Samuel Huntington ha profetizzato nel suo libro «Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale»; a meno che, per la sopravvivenza dell’umanità e attraverso una rivoluzione delle mentalità delle religioni, a prevalere siano il dialogo e la convivenza pacifica.
Le grandi religioni monoteistiche sono caratterizzate dall’amore nei confronti di un Dio che a quanto pare è lo stesso per tutte loro, e tutte parlano dell’amore per il prossimo. Ma chi si deve intendere per “prossimo”? Anche gli infedeli e gli eretici?
Dato che si tratta di religioni rivelate, ognuna è portatrice di una sua verità. È per questo che a volte il dialogo interreligioso è difficile - ma non impossibile, come è stato dimostrato dalla storia più recente.
I fedeli di una religione possono essere gli infedeli per chi professa un altro credo. E poi ci sono gli eretici. Ancora più difficile è il dialogo tra credenti e non credenti, che si tratti di agnostici o di atei.
In passato si ricorreva regolarmente ai conflitti interreligiosi o alle guerre per “convertire gli infedeli”, come nel caso delle crociate. Ovviamente ci furono anche eccezioni, tra cui il califfato di Cordova, in cui nel XII e XIII secolo cristiani, ebrei e musulmani convivevano e dialogavano in pace.
La separazione tra Stati e chiese e la difesa del pluralismo religioso sono idee moderne che risalgono alla nascita degli Stati secolari in Europa.
La cultura dei diritti umani e della pace come beni supremi è fondamentale in un mondo globalizzato per assicurare il rispetto per gli altri e mettere freno al fanatismo e alla violenza religiosa.
In passato i vinti di una religione, in Europa e negli altri continenti, erano obbligati a una falsa conversione. Oggi il fondamentalismo religioso - islamico, evangelico o ebraico - scatena guerre “sante” per eliminare chi non professa il suo credo.
Razionalmente non esistono né potranno mai esistere “guerre sante”. D’altro canto è chiaro che anche se le guerre sono chiamate “sante” a scatenarle non sono solo ragioni religiose: ci sono altri motivi, come la povertà, le disuguaglianze sociali, i nazionalismi, i ritardi culturali, l’umiliazione dei dominati.
È qui che si inserisce il problema dell’unilateralismo e in particolare il tentativo di emarginare l’Onu e la controcultura delle guerre preventive. Si è detto che è stata una risposta al terrorismo islamico emerso brutalmente l’11 settembre 2001, che ha dimostrato la vulnerabilità della superpotenza dominante. Ma indubbiamente è stata la risposta meno intelligente e meno adatta per un fenomeno complesso come il terrorismo. Il terrorismo deve essere combattuto, ma senza mettere in questione i diritti umani e la loro universalità.
La coscienza di muoversi su un terreno scivoloso e irto di pericoli per la pace mondiale ha spinto il presidente spagnolo Rodríguez Zapatero e il primo ministro turco Erdogan, con il sostegno del segretario generale delle Nazioni Unite, a lanciare l’iniziativa dell’Alleanza delle civiltà (che era stata precedentemente suggerita dall’ex presidente iraniano Kathami).
Nonostante tutte le iniziative di buona volontà e i dialoghi ecumenici nati in diversi orizzonti, i fanatismi religiosi si sono esacerbati e non lasciano presagire un futuro di pace.
Per questo è un dovere morale lottare contro qualsiasi espressione di violenza e imparare a costruire, globalmente, una cultura di pace. Le religioni devono dialogare per aprire strade di comprensione e coesistenza pacifica.
La violenza è nefasta per le religioni, a breve e a lungo termine, è lo è anche per il rapporto tra credenti e non credenti che per forza di cose convivono nelle nostre società moderne.
È importante ricordare come l’anticlericalismo abbia perso la sua aggressività di pari passo con l’affermazione della separazione tra lo Stato e le chiese.
Un mondo senza violenza: potremmo cominciare ad avvicinarci a questa magnifica utopia del ventunesimo secolo se solo fossimo capaci di controllare tutte le espressioni di violenza che ogni giorno entrano nelle nostre case con la televisione, i film e internet, e se le chiese, tutte le chiese, si convincessero che la lotta per la pace, per i diritti umani e per il rispetto per la diversità, in un quadro di multiculturalismo e di multilateralismo, è il modo migliore per esprimere il proprio amore per Dio.
Mario Soares è stato presidente e primo ministro del Portogallo, e attualmente presiede la Commissione per la libertà religiosa del Portogallo
copyright IPS traduzione di Sara Bani
Religioni senza pace
di Mario Soares
Teoricamente la religione si oppone alla violenza, nasce dall’amore per Dio e dovrebbe promuovere la pace. Ma nella storia le cose non sono andate così, e a regnare è stata l’intolleranza. Senza tolleranza e senza rispetto per i diritti di chi è diverso da noi, i conflitti e le guerre sono inevitabili. In passato le cose sono andate così, e probabilmente andranno così anche in futuro, come Samuel Huntington ha profetizzato nel suo libro «Lo scontro delle civiltà e il nuovo ordine mondiale»; a meno che, per la sopravvivenza dell’umanità e attraverso una rivoluzione delle mentalità delle religioni, a prevalere siano il dialogo e la convivenza pacifica.
Le grandi religioni monoteistiche sono caratterizzate dall’amore nei confronti di un Dio che a quanto pare è lo stesso per tutte loro, e tutte parlano dell’amore per il prossimo. Ma chi si deve intendere per “prossimo”? Anche gli infedeli e gli eretici?
Dato che si tratta di religioni rivelate, ognuna è portatrice di una sua verità. È per questo che a volte il dialogo interreligioso è difficile - ma non impossibile, come è stato dimostrato dalla storia più recente.
I fedeli di una religione possono essere gli infedeli per chi professa un altro credo. E poi ci sono gli eretici. Ancora più difficile è il dialogo tra credenti e non credenti, che si tratti di agnostici o di atei.
In passato si ricorreva regolarmente ai conflitti interreligiosi o alle guerre per “convertire gli infedeli”, come nel caso delle crociate. Ovviamente ci furono anche eccezioni, tra cui il califfato di Cordova, in cui nel XII e XIII secolo cristiani, ebrei e musulmani convivevano e dialogavano in pace.
La separazione tra Stati e chiese e la difesa del pluralismo religioso sono idee moderne che risalgono alla nascita degli Stati secolari in Europa.
La cultura dei diritti umani e della pace come beni supremi è fondamentale in un mondo globalizzato per assicurare il rispetto per gli altri e mettere freno al fanatismo e alla violenza religiosa.
In passato i vinti di una religione, in Europa e negli altri continenti, erano obbligati a una falsa conversione. Oggi il fondamentalismo religioso - islamico, evangelico o ebraico - scatena guerre “sante” per eliminare chi non professa il suo credo.
Razionalmente non esistono né potranno mai esistere “guerre sante”. D’altro canto è chiaro che anche se le guerre sono chiamate “sante” a scatenarle non sono solo ragioni religiose: ci sono altri motivi, come la povertà, le disuguaglianze sociali, i nazionalismi, i ritardi culturali, l’umiliazione dei dominati.
È qui che si inserisce il problema dell’unilateralismo e in particolare il tentativo di emarginare l’Onu e la controcultura delle guerre preventive. Si è detto che è stata una risposta al terrorismo islamico emerso brutalmente l’11 settembre 2001, che ha dimostrato la vulnerabilità della superpotenza dominante. Ma indubbiamente è stata la risposta meno intelligente e meno adatta per un fenomeno complesso come il terrorismo. Il terrorismo deve essere combattuto, ma senza mettere in questione i diritti umani e la loro universalità.
La coscienza di muoversi su un terreno scivoloso e irto di pericoli per la pace mondiale ha spinto il presidente spagnolo Rodríguez Zapatero e il primo ministro turco Erdogan, con il sostegno del segretario generale delle Nazioni Unite, a lanciare l’iniziativa dell’Alleanza delle civiltà (che era stata precedentemente suggerita dall’ex presidente iraniano Kathami).
Nonostante tutte le iniziative di buona volontà e i dialoghi ecumenici nati in diversi orizzonti, i fanatismi religiosi si sono esacerbati e non lasciano presagire un futuro di pace.
Per questo è un dovere morale lottare contro qualsiasi espressione di violenza e imparare a costruire, globalmente, una cultura di pace. Le religioni devono dialogare per aprire strade di comprensione e coesistenza pacifica.
La violenza è nefasta per le religioni, a breve e a lungo termine, è lo è anche per il rapporto tra credenti e non credenti che per forza di cose convivono nelle nostre società moderne.
È importante ricordare come l’anticlericalismo abbia perso la sua aggressività di pari passo con l’affermazione della separazione tra lo Stato e le chiese.
Un mondo senza violenza: potremmo cominciare ad avvicinarci a questa magnifica utopia del ventunesimo secolo se solo fossimo capaci di controllare tutte le espressioni di violenza che ogni giorno entrano nelle nostre case con la televisione, i film e internet, e se le chiese, tutte le chiese, si convincessero che la lotta per la pace, per i diritti umani e per il rispetto per la diversità, in un quadro di multiculturalismo e di multilateralismo, è il modo migliore per esprimere il proprio amore per Dio.
Mario Soares è stato presidente e primo ministro del Portogallo, e attualmente presiede la Commissione per la libertà religiosa del Portogallo
copyright IPS traduzione di Sara Bani