venerdì 21 dicembre 2007

Welby, un anno dopo

Welby, un anno dopo

L'Unità del 21 dicembre 2007, pag. 26

di Marco Cappato

Al radicale Piergiorgio Welby so­no riuscite due imprese grandi: la prima, di interrompere senza soffrire - ma anche senza na­scondersi nella clandestinità - la tortura a cui era sottoposto: la seconda, di ottenere dalla giusti­zia italiana il riconoscimento della legalità dell'operato di Ma­rio Riccio, di Mina, di Carla, dei suoi compagni. Si è trattato in realtà di un'unica grande impre­sa nonviolenta: far vivere sul proprio corpo il diritto e le liber­tà di tutti. Milioni di persone gli sono state a fianco, si sono rico­nosciute nella sua speranza, hanno vissuto e vinto con lui. Un anno dopo, l'Assemblea ge­nerale dell'Orni ha votato la moratoria mondiale delle esecu­zioni capitali. Non poteva esser­ci modo migliore per celebrare questa data: due battaglie radi­cali, due battaglie «per la vita»: la vita che si sceglie, che non si deve poter togliere, che non si deve poter imporre. Sembra co­sì semplice. Eppure per novan­ta giorni Piergiorgio si è dovuto spingere ai limiti delle proprie forze fisiche e mentali per non crollare, per trovare una soluzione che sembrava non arrivare mai. Non ne poteva più di vedermi. Per lui, rappresentavo il tentati­vo estenuante di cercare strade alternative a quella che era già pronta da settimane: i medici belgi Eric Picard e Mare Resinger avevano completato l'iter di visite e referti medici necessario per procurarsi la sostanza euta-nasica per lui. Erano pronti a somministrarla, su sua richie­sta, al paziente Welby, seguen­do la legge del proprio Paese e la propria deontologia professio­nale, pronti ad assumersi il rischio di non poter più mettere il piede in Italia, o peggio. Piergiorgio - per tanti anni sconosciutissimo e, con noi, clandestinizzato dirigente radicale, compagno delle battaglie di Luca Coscioni per la ricerca scienti­fica e i diritti delle persone disa­bili - non ne poteva più di una vita che non considerava più vi­ta. Eppure nei tre mesi passati dalla lettera al Presidente Napo­litano a quella notte del 20 di­cembre riuscì - anche grazie alla risposta attenta e forte del Presi­dente - a compiere l'impresa di trasformare la propria sofferen­za senza senso in una speranza per tutti. Un grido di resa, «lasciatemi morire», era divenuto affermazione vincente del dirit­to di interrompere un tratta­mento sanitario senza essere condannato a soffrire, del dirit­to di essere soggetto di una scel­ta invece che oggetto di scelte al­trui, in balia di una macchina idolatrata e imposta come «sa­cra».



Tre mesi di resistenza, con mo­menti di disperazione e sfiducia nei suoi compagni radicali - ricordo quando Piergiorgio, che non voleva più aspettare si scon­trò con Marco Pannella chiedendo con rabbia a Mina che gli staccasse il respiratore - rese­ro possibile il coinvolgimento della stragrande maggioranza dell'opinione pubblica, oltre che delle massime personalità istituzionali, di grandi persona­lità del mondo scientifico e del diritto. Tanto autorevoli e numerose erano state le prese di posizione pubbliche che, quan­do da Cremona il medico anestesista Mario Riccio rispose al­l'appello dell'associazione Luca Coscioni credeva ci fosse la fila di colleghi, magari ben più no­ti, disponibili ad agire concretamente secondo deontologia professionale. Si sbagliava: era il primo ed unico, toccava a lui. Solo se avesse fallito la difficile operazione (Piergiorgio non aveva vene facilmente rintrac­ciabili) sarebbero intervenuti i medici belgi, con una vera e pro­pria eutanasia).



Se la memoria popolare di Wel­by rimarrà viva nel Paese - se, usando un'espressione di Sciascia, «la memoria avrà un futu­ro» - allora continuerà a produr­re effetti di conoscenza, di dialogo, di riforma. Allora anche le conquiste laiche, dal testamen­to biologico alle coppie di fatto, potranno avere un futuro che la paralisi delle istituzioni e dei partiti sembra oggi negare. L'impresa che è rimasta da com­piere è proprio quella della rifor­ma della politica, della partito­crazia italiana, che ha consegna­to al Vaticano il monopolio, an­che mediatico, dell'«etica» e dei «valori».



È un monopolio che ha comin­ciato a vacillare forse proprio con Welby, con la piazza piena di fronte alla Chiesa chiusa dei funerali negati; a mostrare debo­lezze e contraddizioni che non basta l'esercizio furbo del pote­re per ricomporre. È così oggi il Presidente della Commissione Sanità del Sena­to, Ignazio Marino, che Welby decise di incontrare, è accolto e riconosciuto in modo straordi­nario quando racconta alla gen­te il tentativo di portare, con moderazione e equilibrio, delle regole per aiutare pazienti e me­dici che si trovano a scegliere - come accade già nella clandesti­nità per il 62% dei malati termi­nali - delle forme di desistenza delle terapie.


Quando con Pannella propo­nemmo a Piero un ultimo ricor­so al giudice, ci rispose «ora ba­sta, devo concentrarmi sulla mia morte. È la prima volta che muoio». Se l'amore per la vita può strappare alla morte un sor­riso, anche la speranza di otte­nere buone leggi non è perduta.

NOTE

Deputato europeo radicale Segretario Ass. Luca Coscioni