l’Unità 21.12.07
La crociata contro Voltaire
L’enciclica del Papa
di Paolo Flores d’Arcais
La crociata continua. L’enciclica di Benedetto XVI «Spe salvi» ribadisce e anzi radicalizza l’anatema della Chiesa cattolica contro una modernità colpevole di disobbedire a Dio, e che precipita perciò nella disperazione del nichilismo. L’outing è ora completo. Anche la democrazia è menzogna se la sovranità degli uomini non si sottomette all’imperio della «legge naturale», cioè se la libertà non coincide con l’obbedienza agli ukase della Chiesa, unica interprete autorizzata di tale «legge naturale» e della volontà di Dio con cui essa coincide. La democrazia deve essere cristiana, altrimenti è disumana.
Il giallo è finalmente risolto. Il colpevole è Voltaire, anzi addirittura Bacone. Il Male è l’illuminismo, il progetto di autonomia dell’uomo.
Autos-nomos, il darsi da sé la propria legge, anziché riceverla da Dio, o dai suoi surrogati e ministri (la «Natura» e la Chiesa gerarchica), ecco la Colpa inespiabile. Il Nemico (proprio nel senso delle Scritture) è la ragione che prescinde da Dio, la ragione che lavora iuxta propria principia, la ragione che ragiona, insomma.
L’autos-nomos, la pretesa di sovranità di tutti e di ciascuno, precipita anzi l’umanità nella gehenna dei totalitarismi, dove è pianto e stridor di denti, e anche peggio: il Terrore di Robespierre e Saint Just e il Gulag di Stalin. A questo si arriva, inevitabilmente - Ratzinger dixit - se l’uomo nel suo rapporto con la natura e con gli altri uomini (scienza e politica), si comporta come se Dio non ci fosse, prende cioè sul serio la proposta di Grozio che ha salvato l’Europa dall’autodistruzione delle guerre civili di religione: «Etsi Deus non daretur». Precetto, dunque, che è - storicamente parlano - l’unica autentica e incontestabile radice dell’Europa.
Nulla di nuovo, si dirà. Extra ecclesiam nulla salus è la pietra angolare - da secoli - di tutte le pretese «papiste». A queste pretese, però, da qualche decennio era stata messa la sordina. La stessa Chiesa sembrava - giustamente - vergognarsi del suo passato «costantiniano» e dei suoi anatemi contro scienza, liberalismo, democrazia (pronta perfino a chiedere qualche perdono). Non citava più il Sillabo ma il Concilio Vaticano II.
Da allora è trascorsa un’epoca. Con Papa Wojtyla prima, e con Papa Ratzinger ora (che di Wojtyla fu il più stretto collaboratore nell’estensione di encicliche cruciali come «Veritatis splendor» e «Fides et ratio») i contenuti essenziali del Sillabo sono stati riportati in auge: la sovranità appartiene a Dio, un parlamento - democraticamente eletto dai cittadini - che agisca contro la «legge naturale» (ad esempio con una legge che consenta l’aborto, anche limitatamente) diventa ipso facto illegittimo.
Così Wojtyla a Varsavia, solenne di furore e di collera, contro il parlamento polacco (il primo liberamente eletto dopo mezzo secolo di comunismo!). L’aborto come «genocidio dei nostri giorni», come nuovo olocausto. Una donna che sceglie il dramma dell’aborto, colpevole quanto la Ss che getta un bambino ebreo nel forno crematorio. Il mondo laico fece finta di non sentire o di non capire, in preda a fascinazione mediatica.
Ora, la rimozione non è più possibile. Per chi cerca alibi, il Papa tedesco ha eliminato ogni dubbio. O Dio o la sovranità popolare. Aut aut. Non sembrino esagerazioni polemiche. Il ragionamento teologico-politico di Joseph Ratzinger è compatto, lineare, e - nella sua logica confessionale e dogmatica - perfettamente coerente.
Eccolo. La modernità vuole fondare l’esistenza dell’uomo sul binomio ragione + libertà, autonomamente, a prescindere dal Dio della Chiesa. Ma dal «fare» della conoscenza (la scienza baconiana) si passa inevitabilmente al «fare» della politica, in una idea illuministica di «progresso» come «superamento di tutte le dipendenze». Libertà illimitata, libertà perfetta «nella quale l’uomo si realizza verso la sua pienezza». Sappiamo come è finita (Robespierre e Stalin) e sappiamo anche perché: l’ateismo come esito dell’illuminismo.
Perciò «è necessaria un’autocritica dell’età moderna» che deve avvenire «in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza». L’eufemismo «dialogo» non tragga in inganno: «solo Dio può creare giustizia». E, si badi, «non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati fino alla fine». Il Dio/Gesù Cristo della Chiesa gerarchica, della Verità consegnata nei concili di Nicea e Calcedonia, come ribadito dal Papa tedesco nel suo recente libro best-seller. Ma tale «concezione della speranza», secondo l’enciclica, equivale né più né meno alla certezza della fede. Il mondo, e in particolare l’Occidente che è nato dalla modernità, può sfuggire alla maledizione della disperazione solo attraverso «l’apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male».
Fuor di perifrasi, pensando e operando in obbedienza alla morale cattolica. Dalla vita alla morte, lungo tutte le epoche della sessualità, e non dimenticando la ricerca scientifica. Staminali, aborto, contraccezione, istituto matrimoniale, educazione scolastica, interpretazione del darwinismo, terapie del dolore, eutanasia: tutto deve obbedire alla «legge naturale», sinonimo puro e semplice della volontà confessionale della Chiesa gerarchica.
Sotto il profilo culturale, basterebbe rispondere al Papa teologo che la modernità non è innanzitutto e per lo più, come vuole farci credere, Terrore e Gulag, perché dalle tre rivoluzioni «borghesi», da Cromwell, dai girondini, da Jefferson, è nata una forma di convivenza straordinaria, fino ad allora sdegnata come utopia, la democrazia liberale (i cui princìpi, troppo spesso, gli establishment di Occidente calpestano nella loro azione quotidiana). E che Nietzsche e Marx, per non parlare di Bacone e dei Lumi, non assomigliano proprio al bignamino parodistico spacciato nella «Spe salvi».
Ma Joseph Ratzinger, malgrado le indubbie e prepotenti civetterie accademiche che animano la sua penna, è a sufficienza smagato uomo di potere per sapere che il peso di un’enciclica non dipende dalla sua claudicante caratura culturale. Di essa ha dato perciò una interpretazione politica autentica il giorno dopo, parlando di fronte ai rappresentanti delle organizzazioni umanitarie non governative (Ong) di matrice cattolica, accusando diverse agenzie dell’Onu di «logica relativistica» che nega «cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento della legge morale naturale». A tale deriva bisogna opporre i «princìpi etici non “negoziabili”» di cui la Chiesa è depositaria e paladina.
Come si vede, con il suo outing contro illuminismo e autos-nomos democratico Papa Ratzinger si candida esplicitamente alla leadership mondiale del fondamentalismo religioso, quello non terroristico, ovviamente. Il suo prossimo intervento alle Nazioni Unite, previsto per il 18 dicembre, ne costituirà l’atto ufficiale e solenne. Speriamo che, almeno quel giorno, «chi ha orecchie da intendere, intenda».
La crociata contro Voltaire
L’enciclica del Papa
di Paolo Flores d’Arcais
La crociata continua. L’enciclica di Benedetto XVI «Spe salvi» ribadisce e anzi radicalizza l’anatema della Chiesa cattolica contro una modernità colpevole di disobbedire a Dio, e che precipita perciò nella disperazione del nichilismo. L’outing è ora completo. Anche la democrazia è menzogna se la sovranità degli uomini non si sottomette all’imperio della «legge naturale», cioè se la libertà non coincide con l’obbedienza agli ukase della Chiesa, unica interprete autorizzata di tale «legge naturale» e della volontà di Dio con cui essa coincide. La democrazia deve essere cristiana, altrimenti è disumana.
Il giallo è finalmente risolto. Il colpevole è Voltaire, anzi addirittura Bacone. Il Male è l’illuminismo, il progetto di autonomia dell’uomo.
Autos-nomos, il darsi da sé la propria legge, anziché riceverla da Dio, o dai suoi surrogati e ministri (la «Natura» e la Chiesa gerarchica), ecco la Colpa inespiabile. Il Nemico (proprio nel senso delle Scritture) è la ragione che prescinde da Dio, la ragione che lavora iuxta propria principia, la ragione che ragiona, insomma.
L’autos-nomos, la pretesa di sovranità di tutti e di ciascuno, precipita anzi l’umanità nella gehenna dei totalitarismi, dove è pianto e stridor di denti, e anche peggio: il Terrore di Robespierre e Saint Just e il Gulag di Stalin. A questo si arriva, inevitabilmente - Ratzinger dixit - se l’uomo nel suo rapporto con la natura e con gli altri uomini (scienza e politica), si comporta come se Dio non ci fosse, prende cioè sul serio la proposta di Grozio che ha salvato l’Europa dall’autodistruzione delle guerre civili di religione: «Etsi Deus non daretur». Precetto, dunque, che è - storicamente parlano - l’unica autentica e incontestabile radice dell’Europa.
Nulla di nuovo, si dirà. Extra ecclesiam nulla salus è la pietra angolare - da secoli - di tutte le pretese «papiste». A queste pretese, però, da qualche decennio era stata messa la sordina. La stessa Chiesa sembrava - giustamente - vergognarsi del suo passato «costantiniano» e dei suoi anatemi contro scienza, liberalismo, democrazia (pronta perfino a chiedere qualche perdono). Non citava più il Sillabo ma il Concilio Vaticano II.
Da allora è trascorsa un’epoca. Con Papa Wojtyla prima, e con Papa Ratzinger ora (che di Wojtyla fu il più stretto collaboratore nell’estensione di encicliche cruciali come «Veritatis splendor» e «Fides et ratio») i contenuti essenziali del Sillabo sono stati riportati in auge: la sovranità appartiene a Dio, un parlamento - democraticamente eletto dai cittadini - che agisca contro la «legge naturale» (ad esempio con una legge che consenta l’aborto, anche limitatamente) diventa ipso facto illegittimo.
Così Wojtyla a Varsavia, solenne di furore e di collera, contro il parlamento polacco (il primo liberamente eletto dopo mezzo secolo di comunismo!). L’aborto come «genocidio dei nostri giorni», come nuovo olocausto. Una donna che sceglie il dramma dell’aborto, colpevole quanto la Ss che getta un bambino ebreo nel forno crematorio. Il mondo laico fece finta di non sentire o di non capire, in preda a fascinazione mediatica.
Ora, la rimozione non è più possibile. Per chi cerca alibi, il Papa tedesco ha eliminato ogni dubbio. O Dio o la sovranità popolare. Aut aut. Non sembrino esagerazioni polemiche. Il ragionamento teologico-politico di Joseph Ratzinger è compatto, lineare, e - nella sua logica confessionale e dogmatica - perfettamente coerente.
Eccolo. La modernità vuole fondare l’esistenza dell’uomo sul binomio ragione + libertà, autonomamente, a prescindere dal Dio della Chiesa. Ma dal «fare» della conoscenza (la scienza baconiana) si passa inevitabilmente al «fare» della politica, in una idea illuministica di «progresso» come «superamento di tutte le dipendenze». Libertà illimitata, libertà perfetta «nella quale l’uomo si realizza verso la sua pienezza». Sappiamo come è finita (Robespierre e Stalin) e sappiamo anche perché: l’ateismo come esito dell’illuminismo.
Perciò «è necessaria un’autocritica dell’età moderna» che deve avvenire «in dialogo col cristianesimo e con la sua concezione della speranza». L’eufemismo «dialogo» non tragga in inganno: «solo Dio può creare giustizia». E, si badi, «non un qualsiasi dio, ma quel Dio che possiede un volto umano e che ci ha amati fino alla fine». Il Dio/Gesù Cristo della Chiesa gerarchica, della Verità consegnata nei concili di Nicea e Calcedonia, come ribadito dal Papa tedesco nel suo recente libro best-seller. Ma tale «concezione della speranza», secondo l’enciclica, equivale né più né meno alla certezza della fede. Il mondo, e in particolare l’Occidente che è nato dalla modernità, può sfuggire alla maledizione della disperazione solo attraverso «l’apertura della ragione alle forze salvifiche della fede, al discernimento tra bene e male».
Fuor di perifrasi, pensando e operando in obbedienza alla morale cattolica. Dalla vita alla morte, lungo tutte le epoche della sessualità, e non dimenticando la ricerca scientifica. Staminali, aborto, contraccezione, istituto matrimoniale, educazione scolastica, interpretazione del darwinismo, terapie del dolore, eutanasia: tutto deve obbedire alla «legge naturale», sinonimo puro e semplice della volontà confessionale della Chiesa gerarchica.
Sotto il profilo culturale, basterebbe rispondere al Papa teologo che la modernità non è innanzitutto e per lo più, come vuole farci credere, Terrore e Gulag, perché dalle tre rivoluzioni «borghesi», da Cromwell, dai girondini, da Jefferson, è nata una forma di convivenza straordinaria, fino ad allora sdegnata come utopia, la democrazia liberale (i cui princìpi, troppo spesso, gli establishment di Occidente calpestano nella loro azione quotidiana). E che Nietzsche e Marx, per non parlare di Bacone e dei Lumi, non assomigliano proprio al bignamino parodistico spacciato nella «Spe salvi».
Ma Joseph Ratzinger, malgrado le indubbie e prepotenti civetterie accademiche che animano la sua penna, è a sufficienza smagato uomo di potere per sapere che il peso di un’enciclica non dipende dalla sua claudicante caratura culturale. Di essa ha dato perciò una interpretazione politica autentica il giorno dopo, parlando di fronte ai rappresentanti delle organizzazioni umanitarie non governative (Ong) di matrice cattolica, accusando diverse agenzie dell’Onu di «logica relativistica» che nega «cittadinanza alla verità sull’uomo e sulla sua dignità nonché alla possibilità di un agire etico fondato sul riconoscimento della legge morale naturale». A tale deriva bisogna opporre i «princìpi etici non “negoziabili”» di cui la Chiesa è depositaria e paladina.
Come si vede, con il suo outing contro illuminismo e autos-nomos democratico Papa Ratzinger si candida esplicitamente alla leadership mondiale del fondamentalismo religioso, quello non terroristico, ovviamente. Il suo prossimo intervento alle Nazioni Unite, previsto per il 18 dicembre, ne costituirà l’atto ufficiale e solenne. Speriamo che, almeno quel giorno, «chi ha orecchie da intendere, intenda».