Mio marito Luca ha sempre combattuto per conquistare i diritti negati a chi soffre
Il Giornale del 5 febbraio 2008, pag. 11
di Maria Antonietta Coscioni
Caro direttore, le confesso che la lunga intervista di Stefano Lorenzetto a Salvatore Conese, «Il tetraplegico nato tre volte scrive la sua vita con i denti» (Il Giornale, 3 febbraio), mi ha insieme turbata e commossa. Forse turbata è poco; sono anche indignata. Conese racconta di un infermiere «sempre di pessimo umore» che lo tratta come «un burattino inanimato. Mi teneva legato nel letto perché non cadessi»; quando chiede assistenza, gli risponde di arrangiarsi, e un giorno gli scandisce: «Tu devi crepare qui, bastardo!». Per non dire dell'incredibile dinamica del tentato suicidio, da come emerge dal racconto dello stesso Conese.
Immagino, spero, che l'ufficio stampa del ministero della Salute abbia segnalato al ministro Livia Turco l'intervista. Immagino, spero, che il ministro voglia e possa intervenire tempestivamente, per accertare le responsabilità di quanto viene denunciato.
È anche avvilente che il padre di Conese abbia dovuto fare ricorso a quella che viene definita con un eufemismo «la risolutezza che viene dalla disperazione» per poter far entrare il figlio nell'ascensore condominiale. Un episodio tutt'altro che isolato, temo. Un episodio che la dice lunga sul livello di attenzione e cura che questo paese riserva, anche nelle apparenti «piccole» cose, ai tanti che sono inchiodati sulla sedia a rotelle e non sono comunque in grado di muoversi in autonomia.
Lorenzetto chiede a Conese cosa gli manchi di più; e lui risponde: «Una ragazza». Si solleva in questo modo una questione che i più preferiscono ignorare: la problematicità che certamente riveste il tema della sessualità e disabilità che non deve essere da una parte segregata in un luogo di trincea, dove a pagare sono sempre e solo i disabili; e dall'altra risolta con un «intervento tecnico specialistico»; come è accaduto ad un ragazzo di Oxford con una grave forma di distrofia muscolare «accontentato» nel desiderio di «fare sesso almeno una volta nella vita». Quello della sessualità è il riconoscimento di un diritto imprescindibile, di tutte le persone, che la società civile e politica non può permettersi di non riconoscere: è il diritto di vivere l'esperienza della conoscenza del proprio corpo, all'interno di una relazione o individualmente, nelle situazioni più complesse, attraverso una educazione sessuale non repressiva. È compito delle istituzioni promuovere una politica di sostegno e di aiuto che consenta la piena e libera affermazione della persona. Oggi, troppo spesso, quel che viene fatto riguardo alla sessualità è esattamente il contrario. Lorenzetto cita poi i casi di Piergiorgio Welby e di Luca Coscioni, mio marito, «che hanno chiesto di morire perché non sopportavano la loro infermità». Posso capire la necessità di sintesi giornalistica, ma la questione è molto più complessa.
Sia Luca che Piergiorgio sono stati dei militanti e dei dirigenti politici del Partito Radicale e dell'Associazione Luca Coscioni e hanno lottato con tutte le loro forze per conquistare diritti negati: «Dal corpo del malato al cuore della politica», era la loro parola d'ordine, uno slogan che era molto più di uno slogan. Significa: libertà di ricerca scientifica, in Italia negata per le imposizioni di chi vuole che sia reato quello che considera peccato.
Significa rispetto della volontà del paziente sia quando si chiama Salvatore Conese che decide cosa e come è meglio per la sua vita, non importa quale sia il sacrificio e il «prezzo» che la stessa richiede; o quando si chiama, si richiama quella di Luca e Piergiorgio, che sfiniti nella fase terminale della malattia ma coscienti, manifestarono la volontà, il primo, di non subire e, il secondo, di non subire più, la ventilazione meccanica invasiva.
Significa testamento biologico, una legge che tutti i paesi civili si sono dati, e che solo in Italia non si riesce a varare, bloccata da veti ideologici al Senato, e ora dalla crisi di governo.
Quel «dal corpo del malato al cuore della politica» sarà il baricentro del congresso dell'Associazione Luca Coscioni che dal 15 al 17 febbraio prossimi terremo a Salerno. Spero, caro direttore, che vorrà seguire i nostri lavori e darne informazione: affronteremo e dibatteremo temi e questioni che, ne sono certa, sono di interesse comune, al di là delle opinioni che possiamo coltivare.
A Conese auguro che il suo Il fiore dell'agave abbia fortuna, e tutta la forza e l'energia in questa sua lotta. Ma vorrei anche dirgli che la lotta diviene ancora più difficile, quando quella forza e quell'energia un malato sente di non averla più, e chiede di non essere condannato a soffrire, e «resistere» suo malgrado.
NOTE
Presidente di Radicali Italiani
Il Giornale del 5 febbraio 2008, pag. 11
di Maria Antonietta Coscioni
Caro direttore, le confesso che la lunga intervista di Stefano Lorenzetto a Salvatore Conese, «Il tetraplegico nato tre volte scrive la sua vita con i denti» (Il Giornale, 3 febbraio), mi ha insieme turbata e commossa. Forse turbata è poco; sono anche indignata. Conese racconta di un infermiere «sempre di pessimo umore» che lo tratta come «un burattino inanimato. Mi teneva legato nel letto perché non cadessi»; quando chiede assistenza, gli risponde di arrangiarsi, e un giorno gli scandisce: «Tu devi crepare qui, bastardo!». Per non dire dell'incredibile dinamica del tentato suicidio, da come emerge dal racconto dello stesso Conese.
Immagino, spero, che l'ufficio stampa del ministero della Salute abbia segnalato al ministro Livia Turco l'intervista. Immagino, spero, che il ministro voglia e possa intervenire tempestivamente, per accertare le responsabilità di quanto viene denunciato.
È anche avvilente che il padre di Conese abbia dovuto fare ricorso a quella che viene definita con un eufemismo «la risolutezza che viene dalla disperazione» per poter far entrare il figlio nell'ascensore condominiale. Un episodio tutt'altro che isolato, temo. Un episodio che la dice lunga sul livello di attenzione e cura che questo paese riserva, anche nelle apparenti «piccole» cose, ai tanti che sono inchiodati sulla sedia a rotelle e non sono comunque in grado di muoversi in autonomia.
Lorenzetto chiede a Conese cosa gli manchi di più; e lui risponde: «Una ragazza». Si solleva in questo modo una questione che i più preferiscono ignorare: la problematicità che certamente riveste il tema della sessualità e disabilità che non deve essere da una parte segregata in un luogo di trincea, dove a pagare sono sempre e solo i disabili; e dall'altra risolta con un «intervento tecnico specialistico»; come è accaduto ad un ragazzo di Oxford con una grave forma di distrofia muscolare «accontentato» nel desiderio di «fare sesso almeno una volta nella vita». Quello della sessualità è il riconoscimento di un diritto imprescindibile, di tutte le persone, che la società civile e politica non può permettersi di non riconoscere: è il diritto di vivere l'esperienza della conoscenza del proprio corpo, all'interno di una relazione o individualmente, nelle situazioni più complesse, attraverso una educazione sessuale non repressiva. È compito delle istituzioni promuovere una politica di sostegno e di aiuto che consenta la piena e libera affermazione della persona. Oggi, troppo spesso, quel che viene fatto riguardo alla sessualità è esattamente il contrario. Lorenzetto cita poi i casi di Piergiorgio Welby e di Luca Coscioni, mio marito, «che hanno chiesto di morire perché non sopportavano la loro infermità». Posso capire la necessità di sintesi giornalistica, ma la questione è molto più complessa.
Sia Luca che Piergiorgio sono stati dei militanti e dei dirigenti politici del Partito Radicale e dell'Associazione Luca Coscioni e hanno lottato con tutte le loro forze per conquistare diritti negati: «Dal corpo del malato al cuore della politica», era la loro parola d'ordine, uno slogan che era molto più di uno slogan. Significa: libertà di ricerca scientifica, in Italia negata per le imposizioni di chi vuole che sia reato quello che considera peccato.
Significa rispetto della volontà del paziente sia quando si chiama Salvatore Conese che decide cosa e come è meglio per la sua vita, non importa quale sia il sacrificio e il «prezzo» che la stessa richiede; o quando si chiama, si richiama quella di Luca e Piergiorgio, che sfiniti nella fase terminale della malattia ma coscienti, manifestarono la volontà, il primo, di non subire e, il secondo, di non subire più, la ventilazione meccanica invasiva.
Significa testamento biologico, una legge che tutti i paesi civili si sono dati, e che solo in Italia non si riesce a varare, bloccata da veti ideologici al Senato, e ora dalla crisi di governo.
Quel «dal corpo del malato al cuore della politica» sarà il baricentro del congresso dell'Associazione Luca Coscioni che dal 15 al 17 febbraio prossimi terremo a Salerno. Spero, caro direttore, che vorrà seguire i nostri lavori e darne informazione: affronteremo e dibatteremo temi e questioni che, ne sono certa, sono di interesse comune, al di là delle opinioni che possiamo coltivare.
A Conese auguro che il suo Il fiore dell'agave abbia fortuna, e tutta la forza e l'energia in questa sua lotta. Ma vorrei anche dirgli che la lotta diviene ancora più difficile, quando quella forza e quell'energia un malato sente di non averla più, e chiede di non essere condannato a soffrire, e «resistere» suo malgrado.
NOTE
Presidente di Radicali Italiani