Piergiorgio non temeva la morte E ha sopportato la malattia
Il Giornale del 5 febbraio 2008, pag. 11
di Mina Welby
Ho letto tutto il suo articolo «Tipi italiani. Il tetraplegico nato tre volte scrive la sua vita con i denti». Una testimonianza preziosa di vita di una grande persona. Mi permetta, però, di farle una critica su una sua domanda rivolta a Salvatore. La domanda è questa: «Ha seguito i casi di Luca Coscioni e di Piergiorgio Welby che hanno chiesto di morire perché non sopportavano la loro infermità?». Queste sono parole che mi feriscono e offendono profondamente la memoria di Luca e Piergiorgio che non hanno chiesto di morire perché «non sopportavano la loro infermità» ma hanno accettato la loro morte come conclusione del loro ciclo di vita naturale.
Mi spiego. Luca Coscioni professore ordinario di economia all'Università di Orvieto, si era ammalato nel 1995 di sclerosi laterale amiotrofica, malattia che in pochi anni porta a una paralisi totale del corpo, incapacità di deglutire e infine alla paralisi dei muscoli che presiedono alla respirazione, con necessità dell'uso di un ventilatore automatico, previa tracheostomia, oltre a rendere muti. Luca, si iscrive e diventa presidente di Radicali Italiani e il 20 settembre 2002 fonda l'associazione che porta il suo nome. Il 20 febbraio 2006 muore, semplicemente «accettando la sua morte naturale», nel peggior modo nelle sue condizioni: soffocato.
A Piergiorgio Welby, copresidente dell'Associazione Luca Coscioni, nel 1962, appena sedicenne, era stata diagnosticata la distrofia muscolare, malattia anch'essa invalidante con dei percorsi spesso lunghi che fanno vivere al malato tutti i gradi di handicap fino alla insufficienza respiratoria. Piergiorgio nel 1997 aveva accettato il ventilatore automatico con tracheostomia. Nel 2006 sentì che le ultime risorse lo avevano abbandonato e chiese di staccargli il ventilatore dopo averlo sedato per non sentire il soffocamento e avere una morte serena.
Negli anni di collaborazione nell'Associazione Luca Coscioni questi due uomini non si sono risparmiati, né si sono mai lamentati della loro infermità. Noi dopo la loro morte abbiamo raccolto il testimone di una eredità impegnativa: «Promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l'assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili (libertà di parola con strumentazioni di comunicazione, libertà di lettura) e politici (di voto a domicilio dei disabili intrasportabili) delle persone malate e disabili».
Ecco il motivo per il mio profondo risentimento. Le chiedo di prestare attenzione in futuro nell'esprimere nel modo corretto dei concetti così delicati.
Il Giornale del 5 febbraio 2008, pag. 11
di Mina Welby
Ho letto tutto il suo articolo «Tipi italiani. Il tetraplegico nato tre volte scrive la sua vita con i denti». Una testimonianza preziosa di vita di una grande persona. Mi permetta, però, di farle una critica su una sua domanda rivolta a Salvatore. La domanda è questa: «Ha seguito i casi di Luca Coscioni e di Piergiorgio Welby che hanno chiesto di morire perché non sopportavano la loro infermità?». Queste sono parole che mi feriscono e offendono profondamente la memoria di Luca e Piergiorgio che non hanno chiesto di morire perché «non sopportavano la loro infermità» ma hanno accettato la loro morte come conclusione del loro ciclo di vita naturale.
Mi spiego. Luca Coscioni professore ordinario di economia all'Università di Orvieto, si era ammalato nel 1995 di sclerosi laterale amiotrofica, malattia che in pochi anni porta a una paralisi totale del corpo, incapacità di deglutire e infine alla paralisi dei muscoli che presiedono alla respirazione, con necessità dell'uso di un ventilatore automatico, previa tracheostomia, oltre a rendere muti. Luca, si iscrive e diventa presidente di Radicali Italiani e il 20 settembre 2002 fonda l'associazione che porta il suo nome. Il 20 febbraio 2006 muore, semplicemente «accettando la sua morte naturale», nel peggior modo nelle sue condizioni: soffocato.
A Piergiorgio Welby, copresidente dell'Associazione Luca Coscioni, nel 1962, appena sedicenne, era stata diagnosticata la distrofia muscolare, malattia anch'essa invalidante con dei percorsi spesso lunghi che fanno vivere al malato tutti i gradi di handicap fino alla insufficienza respiratoria. Piergiorgio nel 1997 aveva accettato il ventilatore automatico con tracheostomia. Nel 2006 sentì che le ultime risorse lo avevano abbandonato e chiese di staccargli il ventilatore dopo averlo sedato per non sentire il soffocamento e avere una morte serena.
Negli anni di collaborazione nell'Associazione Luca Coscioni questi due uomini non si sono risparmiati, né si sono mai lamentati della loro infermità. Noi dopo la loro morte abbiamo raccolto il testimone di una eredità impegnativa: «Promuovere la libertà di cura e di ricerca scientifica, l'assistenza personale autogestita e affermare i diritti umani, civili (libertà di parola con strumentazioni di comunicazione, libertà di lettura) e politici (di voto a domicilio dei disabili intrasportabili) delle persone malate e disabili».
Ecco il motivo per il mio profondo risentimento. Le chiedo di prestare attenzione in futuro nell'esprimere nel modo corretto dei concetti così delicati.