Odissea per una pillola
La Stampa del 5 febbraio 2008, pag. 11
di Flavia Amabile
Mettiamo che una quarantenne, tutto sommato normale, sposata, con figli, una domenica abbia un problema. Durante un rapporto (con suo marito!) il preservativo si rompe. Che fa la sventurata? Innanzitutto parla con il marito: vogliamo un terzo figlio? Si valutano pro e contro e questo richiede un po’ di tempo, soprattutto se nel frattempo gli altri bambini si sono svegliati e chiedono le usuali cure e attenzioni amorevoli riservate alla domenica mattina. Mettiamo che alla fine di una lunga giornata di tentennamenti la questione fra il marito e la moglie venga risolta con un «forse non è il caso». La sventurata mette a letto i bambini, li lascia a casa con il padre e se ne va in giro alla ricerca dell’unico mezzo che ha per intervenire: la pillola del giorno dopo. Una soluzione tutto sommato indolore: la sventurata è anche una cattolica media, sa che l’aborto significa cancellare una vita. La pillola del giorno dopo, no. Interrompe il viaggio dello spermatozoo verso l’ovulo. Niente fecondazione, niente embrioni, nessun senso di colpa, solo effetti collaterali particolarmente fastidiosi se se ne abusa. Ma la sventurata non è una diciottenne che si sballa in discoteca il sabato sera. E’ la prima volta che si trova in una situazione simile. Non usa nemmeno la pillola. Insomma dovrebbe star tranquilla.
Il primo rifiuto
Piove a Roma. Taxi neanche a parlarne. La donna si avvia a piedi all’ospedale più vicino, il San Giacomo. Sono le nove, il pronto soccorso ha l’aria di un porto di mare dopo una violenta mareggiata. «Di che cosa ha bisogno?», chiede a voce alta un’infermiera mentre attraversa uno stanzone dove sono sedute almeno cinque o sei persone. La poveretta si guarda intorno e si dirige verso la stanza dell’accettazione. In tono dimesso e soprattutto in grado di essere percepito a non molta distanza, spiega: «Avrei bisogno della pillola del giorno dopo...». L’infermiera consulta un elenco, poi esce dalla stanza. Torna dopo cinque minuti. «No, mi dispiace, il medico di turno stasera è obiettore di coscienza». Obiettore di coscienza? E che obietterà mai, verrebbe voglia di dire alla donna che sa perfettamente di essere con la coscienza a posto, di non urtare il mondo cattolico con la sua richiesta, e che quindi la coscienza del medico di turno non dovrebbe avere proprio nulla da ridire. La donna chiede il nome dell’obiettore. «La dottoressa Romito», risponde l’addetta. «Mi rilascia una dichiarazione scritta?», insiste la donna. «No, nessuna dichiarazione».
Il secondo no
Ci sarebbe da andare avanti perché l’obiezione è prevista solo per la legge 194 ma la pillola del giorno dopo non ha nulla a che vedere con l’aborto. È un farmaco contraccettivo: lo si dovrebbe poter acquistare liberamente in farmacia con una prescrizione nominale e non ripetibile di un medico o di un ginecologo. La donna però sa anche che il tempo gioca contro di lei: entro le 24 ore dal rapporto le possibilità di rimanere incinta sono piuttosto basse. Dopo, invece, aumentano progressivamente in un diabolico conto alla rovescia. E allora prosegue per l’ospedale successivo: il Santo Spirito, il più vicino. Arriva intorno alle dieci e mezza. L’accettazione è chiusa: c’è un caso urgente e l’unico infermiere se ne sta occupando. La sventurata riesce a parlargli dopo una mezz’ora di attesa. «No, non è al Pronto Soccorso che deve venire, vada in ginecologia, al secondo piano». La donna sale. La porta è chiusa, citofona. Davanti, staziona un signore inquieto. L’infermiera apre la porta. «Mi dica...». La donna guarda il signore e risponde a voce bassa. L’infermiera va a verificare il da farsi. «Mi dispiace, il medico di turno è obiettore di coscienza», spiega al ritorno. La donna è sul punto di arrabbiarsi. Chiede il nome del secondo obiettore. «La faccio venire», risponde l’infermiera. Passa un quarto d’ora mentre il signore inquieto osserva con aria stralunata la quarantenne alle prese con un «incidente di percorso». Il medico di turno è una giovane dottoressa, di cognome fa Fatigante. Apre una stanzetta appartata e spiega che lei non prescrive la pillola. La donna, sempre meno paziente, chiede aiuto. «Dove posso andare? Qui vicino c’è il Fatebenefratelli, provo lì?». La dottoressa sorride: «No, lasci perdere. Le consiglierei piuttosto il San Filippo Neri, il San Giovanni o il San Camillo». Tanti saluti, e certificazioni scritte neanche a parlarne.
«No, sono obiettore»
E’ mezzanotte quando la donna raggiunge il terzo pronto soccorso, quello del San Camillo. Pensa di essere alla fine del suo calvario. Di turno c’è il dottor Marino, piuttosto brusco: «Sono obiettore. Una certificazione scritta? Nemmeno per idea. Sono registrato alla Direzione Sanitaria». La donna potrebbe girare per tutta la notte e non trovare nulla. «Non sappiamo quanti si dichiarano obiettori perché l’obiezione sulla pillola non esiste, ma sono in tanti», spiega Serena Donati dell’Istituto Superiore di Sanità. Bisogna avere fortuna, insomma. O bisogna avere la dritta giusta. «Non avvicinarsi agli ospedali cattolici», spiega la dottoressa Donati. A Roma dei pronto soccorso aperti di notte, vuol dire scartarne più della metà. Che cosa resta? Il Sant’Andrea, ad esempio. «Lì tutti prescriviamo la pillola del giorno dopo», assicura Paola Bianchi, ginecologa dell’ospedale. Conclusione: se anche la donna riesce a strappare nel cuore della notte la prescrizione, ha poi il problema di andare alla ricerca di una farmacia. E non tutti i farmacisti sono disposti a vendere la pillola. Né la situazione è così diversa nei consultori. In base ad una ricerca condotta dai radicali romani lo scorso novembre più della metà dei consultori in città (il 56,8%) non è in grado di fornire né informazioni né la prescrizione della pillola. «A sud di Roma è ancora più difficile», commenta Serena Donati. E quindi? E quindi se una moglie sventurata e mediamente cattolica pensava di poter evitare conflitti con la Chiesa sbagliava, e anche di grosso. Se la fortuna non l’assiste, per non avere questo figlio non desiderato ha un’ultima possibilità: l’aborto e una vita di sensi di colpa.
La Stampa del 5 febbraio 2008, pag. 11
di Flavia Amabile
Mettiamo che una quarantenne, tutto sommato normale, sposata, con figli, una domenica abbia un problema. Durante un rapporto (con suo marito!) il preservativo si rompe. Che fa la sventurata? Innanzitutto parla con il marito: vogliamo un terzo figlio? Si valutano pro e contro e questo richiede un po’ di tempo, soprattutto se nel frattempo gli altri bambini si sono svegliati e chiedono le usuali cure e attenzioni amorevoli riservate alla domenica mattina. Mettiamo che alla fine di una lunga giornata di tentennamenti la questione fra il marito e la moglie venga risolta con un «forse non è il caso». La sventurata mette a letto i bambini, li lascia a casa con il padre e se ne va in giro alla ricerca dell’unico mezzo che ha per intervenire: la pillola del giorno dopo. Una soluzione tutto sommato indolore: la sventurata è anche una cattolica media, sa che l’aborto significa cancellare una vita. La pillola del giorno dopo, no. Interrompe il viaggio dello spermatozoo verso l’ovulo. Niente fecondazione, niente embrioni, nessun senso di colpa, solo effetti collaterali particolarmente fastidiosi se se ne abusa. Ma la sventurata non è una diciottenne che si sballa in discoteca il sabato sera. E’ la prima volta che si trova in una situazione simile. Non usa nemmeno la pillola. Insomma dovrebbe star tranquilla.
Il primo rifiuto
Piove a Roma. Taxi neanche a parlarne. La donna si avvia a piedi all’ospedale più vicino, il San Giacomo. Sono le nove, il pronto soccorso ha l’aria di un porto di mare dopo una violenta mareggiata. «Di che cosa ha bisogno?», chiede a voce alta un’infermiera mentre attraversa uno stanzone dove sono sedute almeno cinque o sei persone. La poveretta si guarda intorno e si dirige verso la stanza dell’accettazione. In tono dimesso e soprattutto in grado di essere percepito a non molta distanza, spiega: «Avrei bisogno della pillola del giorno dopo...». L’infermiera consulta un elenco, poi esce dalla stanza. Torna dopo cinque minuti. «No, mi dispiace, il medico di turno stasera è obiettore di coscienza». Obiettore di coscienza? E che obietterà mai, verrebbe voglia di dire alla donna che sa perfettamente di essere con la coscienza a posto, di non urtare il mondo cattolico con la sua richiesta, e che quindi la coscienza del medico di turno non dovrebbe avere proprio nulla da ridire. La donna chiede il nome dell’obiettore. «La dottoressa Romito», risponde l’addetta. «Mi rilascia una dichiarazione scritta?», insiste la donna. «No, nessuna dichiarazione».
Il secondo no
Ci sarebbe da andare avanti perché l’obiezione è prevista solo per la legge 194 ma la pillola del giorno dopo non ha nulla a che vedere con l’aborto. È un farmaco contraccettivo: lo si dovrebbe poter acquistare liberamente in farmacia con una prescrizione nominale e non ripetibile di un medico o di un ginecologo. La donna però sa anche che il tempo gioca contro di lei: entro le 24 ore dal rapporto le possibilità di rimanere incinta sono piuttosto basse. Dopo, invece, aumentano progressivamente in un diabolico conto alla rovescia. E allora prosegue per l’ospedale successivo: il Santo Spirito, il più vicino. Arriva intorno alle dieci e mezza. L’accettazione è chiusa: c’è un caso urgente e l’unico infermiere se ne sta occupando. La sventurata riesce a parlargli dopo una mezz’ora di attesa. «No, non è al Pronto Soccorso che deve venire, vada in ginecologia, al secondo piano». La donna sale. La porta è chiusa, citofona. Davanti, staziona un signore inquieto. L’infermiera apre la porta. «Mi dica...». La donna guarda il signore e risponde a voce bassa. L’infermiera va a verificare il da farsi. «Mi dispiace, il medico di turno è obiettore di coscienza», spiega al ritorno. La donna è sul punto di arrabbiarsi. Chiede il nome del secondo obiettore. «La faccio venire», risponde l’infermiera. Passa un quarto d’ora mentre il signore inquieto osserva con aria stralunata la quarantenne alle prese con un «incidente di percorso». Il medico di turno è una giovane dottoressa, di cognome fa Fatigante. Apre una stanzetta appartata e spiega che lei non prescrive la pillola. La donna, sempre meno paziente, chiede aiuto. «Dove posso andare? Qui vicino c’è il Fatebenefratelli, provo lì?». La dottoressa sorride: «No, lasci perdere. Le consiglierei piuttosto il San Filippo Neri, il San Giovanni o il San Camillo». Tanti saluti, e certificazioni scritte neanche a parlarne.
«No, sono obiettore»
E’ mezzanotte quando la donna raggiunge il terzo pronto soccorso, quello del San Camillo. Pensa di essere alla fine del suo calvario. Di turno c’è il dottor Marino, piuttosto brusco: «Sono obiettore. Una certificazione scritta? Nemmeno per idea. Sono registrato alla Direzione Sanitaria». La donna potrebbe girare per tutta la notte e non trovare nulla. «Non sappiamo quanti si dichiarano obiettori perché l’obiezione sulla pillola non esiste, ma sono in tanti», spiega Serena Donati dell’Istituto Superiore di Sanità. Bisogna avere fortuna, insomma. O bisogna avere la dritta giusta. «Non avvicinarsi agli ospedali cattolici», spiega la dottoressa Donati. A Roma dei pronto soccorso aperti di notte, vuol dire scartarne più della metà. Che cosa resta? Il Sant’Andrea, ad esempio. «Lì tutti prescriviamo la pillola del giorno dopo», assicura Paola Bianchi, ginecologa dell’ospedale. Conclusione: se anche la donna riesce a strappare nel cuore della notte la prescrizione, ha poi il problema di andare alla ricerca di una farmacia. E non tutti i farmacisti sono disposti a vendere la pillola. Né la situazione è così diversa nei consultori. In base ad una ricerca condotta dai radicali romani lo scorso novembre più della metà dei consultori in città (il 56,8%) non è in grado di fornire né informazioni né la prescrizione della pillola. «A sud di Roma è ancora più difficile», commenta Serena Donati. E quindi? E quindi se una moglie sventurata e mediamente cattolica pensava di poter evitare conflitti con la Chiesa sbagliava, e anche di grosso. Se la fortuna non l’assiste, per non avere questo figlio non desiderato ha un’ultima possibilità: l’aborto e una vita di sensi di colpa.