Nel mirino degli anti-abortisti non è la legge ma l'idea di libertà
Liberazione del 5 febbraio 2008, pag. 1
di Angela Azzaro
Il documento dei neonatologi delle cliniche universitarie romane rappresenta un ulteriore salto in avanti nel tentativo di attaccare, non tanto la libertà di scelta delle dorme nella procreazione così come è garantita dalla legge 194, ma la loro libertà tout-court.
Il documento stabilisce due cose. La prima: invita a rianimare un feto partorito prematuro al di sotto delle 24 settimane, considerato al momento il limite condiviso per evitare al futuro nascituro danni anche molto gravi. Il documento invita cioè all'accanimento terapeutico senza porsi il problema reale delle possibilità di vita del feto. La seconda, ancora più grave: sostiene che la rianimazione del feto può avvenire, nel caso di aborto, anche senza il consenso della madre. I due fatti sono intrecciati e insieme, all'indomani della cosiddetta giornata della vita festeggiata dalla chiesa cattolica, testimoni ano bene il livello dello scontro: considerare o meno le donne il contenitore di un'idea di vita astratta e frutto del volere divino, che poi a ben vedere è il volere, o meglio il potere, degli uomini. Insomma, lo scontro a cui stiamo assistendo, dietro le disquisizioni su quando un feto è o non è autonomo, è l'antico conflitto uomo-donna, in una versione però inedita e ancora più cruenta. Torniamo al documento. Che cosa vuoi ottenere e quali considerazioni suggerisce? I neonatologi delle cliniche universitarie romane vogliono far passare l'idea che la vita non nasce nella relazione tra la madre e il futuro nascituro, ma che questa relazione è del tutto secondaria, a tal punto che un feto abortito può essere rianimato anche nel caso la donna non sia d'accordo. Iniziano già a proporci le testimonianze di feti sopravvissuti, ora donne o uomini adulti. Ci manca solo che venga fuori che siano felicemente e cattolicamente sposati, così il cerchio si chiude.
L'altro elemento che appare con grande evidenza è l'intreccio tra potere della scienza, riduzionismo biologico e oscurantismo religioso. Le contraddizioni si sprecano. I sostenitori della legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita in questi anni ne hanno sostenuto la bontà, adducendo tra le motivazioni il fatto che stabilisse un argine allo strapotere della scienza. La procreazione, dicevano invece, era ed è naturale. Oggi il re è nudo.
Gli stessi che sostenevano questa normativa e questi ragionamenti sono pronti ad usare qualsiasi strumento tecnologico pur di far vivere un feto che ancora vita non è. Sono pronti a far nascere un bambino la cui certezza di vita e di salute è ancora molto scarsa usando qualsiasi ritrovato medico non ancora sperimentato. Proprio loro che invece sono d'accordo sul divieto di ricerca sulle cellule staminali, che offre al contrario possibilità di curare vite vere, sofferenze reali. Adesso è ancora più chiaro. Il loro obiettivo, con la legge 40, era un altro: era quello di far scrivere nero su bianco che l'embrione è soggetto di diritto, cioè avere carta bianca nella procreazione. Una volta ottenuto questo, ritorna prepotente il sogno maschile di creare la vita senza la donna; una fantasia che ha animato la scienza da sempre, ma che oggi trova nuova linfa nelle tecnologie riproduttive. Lo ha scritto diversi anni fa Barbara Duden: negli ultimi decenni si è attivata una spirale di espropriazione del corpo delle donne. Il corpo delle donne come luogo pubblico, ha scritto. Ma questo non significa riproporre l'idea di una cosiddetta procreazione naturale contrapposta a quella cosiddetta artificiale. Significa al contrario rimettere la donna al centro, chiamando al controllo sia del potere medico-scientifico, sia soprattutto di quello religioso. Questo è il punto. La chiesa cattolica oggi muove la sua riconquista dei fedeli, partendo dalla riconquista del potere sulla libertà delle donne e dell'egemonia sul concetto di vita. E' un offensiva che merita una risposta adeguata, senza alcun cedimento. Per farlo non basta dire che la legge 194 non si tocca, E' vero, non si deve toccare, perché in questo clima andrebbe solo peggiorata. Ma la legge 194 non era e non è il massimo che si poteva ottenere. Basta leggerla e si capisce che molti degli attacchi all'interruzione di gravidanza sono resi possibili da come fu formulata. Una gran parte del movimento delle donne chiedeva negli anni Settanta la depenalizzazione di reato di aborto ma non voleva una normativa. Le questioni sono allora altre. Si deve avere il coraggio di opporre all'idea della vita della chiesa e dei suoi sostenitori come Giuliano Ferrara un'altra idea di vita. All'idea astratta e dogmatica si devono contrapporre le vite vere, reali. I loro bisogni e i loro desideri. Ma per fare quésto non si può tergiversare, non si può accettare il gioco dei numeri: la vita inizia al 22esimo o al 24esimo mese? Inizia appena lo spermatozoo feconda l'ovulo? Bisogna avere il coraggio di dire che non c'è progetto di vita senza che una donna lo voglia. Dire che è nella relazione tra la madre e il figlio che quel progetto nasce e si compie. Su questo la sinistra è in ritardo, ma le femministe no. Da anni e anni hanno prodotto pensiero, riflettuto sulle questioni etiche e bioetiche, hanno detto molto e hanno molto da dire. Basta saperle ascoltare facendo entrare la loro riflessione nell'agenda della sinistra. E' ormai chiaro che sulle libertà, la vita, il corpo, l'autodeterminazione si gioca anche il futuro immediato del paese. Non si deve lasciare al Vaticano l'unica e l'ultima parola, né scendere a patti con loro. Non è più questo tempo di ambiguità.
Liberazione del 5 febbraio 2008, pag. 1
di Angela Azzaro
Il documento dei neonatologi delle cliniche universitarie romane rappresenta un ulteriore salto in avanti nel tentativo di attaccare, non tanto la libertà di scelta delle dorme nella procreazione così come è garantita dalla legge 194, ma la loro libertà tout-court.
Il documento stabilisce due cose. La prima: invita a rianimare un feto partorito prematuro al di sotto delle 24 settimane, considerato al momento il limite condiviso per evitare al futuro nascituro danni anche molto gravi. Il documento invita cioè all'accanimento terapeutico senza porsi il problema reale delle possibilità di vita del feto. La seconda, ancora più grave: sostiene che la rianimazione del feto può avvenire, nel caso di aborto, anche senza il consenso della madre. I due fatti sono intrecciati e insieme, all'indomani della cosiddetta giornata della vita festeggiata dalla chiesa cattolica, testimoni ano bene il livello dello scontro: considerare o meno le donne il contenitore di un'idea di vita astratta e frutto del volere divino, che poi a ben vedere è il volere, o meglio il potere, degli uomini. Insomma, lo scontro a cui stiamo assistendo, dietro le disquisizioni su quando un feto è o non è autonomo, è l'antico conflitto uomo-donna, in una versione però inedita e ancora più cruenta. Torniamo al documento. Che cosa vuoi ottenere e quali considerazioni suggerisce? I neonatologi delle cliniche universitarie romane vogliono far passare l'idea che la vita non nasce nella relazione tra la madre e il futuro nascituro, ma che questa relazione è del tutto secondaria, a tal punto che un feto abortito può essere rianimato anche nel caso la donna non sia d'accordo. Iniziano già a proporci le testimonianze di feti sopravvissuti, ora donne o uomini adulti. Ci manca solo che venga fuori che siano felicemente e cattolicamente sposati, così il cerchio si chiude.
L'altro elemento che appare con grande evidenza è l'intreccio tra potere della scienza, riduzionismo biologico e oscurantismo religioso. Le contraddizioni si sprecano. I sostenitori della legge 40 sulla fecondazione medicalmente assistita in questi anni ne hanno sostenuto la bontà, adducendo tra le motivazioni il fatto che stabilisse un argine allo strapotere della scienza. La procreazione, dicevano invece, era ed è naturale. Oggi il re è nudo.
Gli stessi che sostenevano questa normativa e questi ragionamenti sono pronti ad usare qualsiasi strumento tecnologico pur di far vivere un feto che ancora vita non è. Sono pronti a far nascere un bambino la cui certezza di vita e di salute è ancora molto scarsa usando qualsiasi ritrovato medico non ancora sperimentato. Proprio loro che invece sono d'accordo sul divieto di ricerca sulle cellule staminali, che offre al contrario possibilità di curare vite vere, sofferenze reali. Adesso è ancora più chiaro. Il loro obiettivo, con la legge 40, era un altro: era quello di far scrivere nero su bianco che l'embrione è soggetto di diritto, cioè avere carta bianca nella procreazione. Una volta ottenuto questo, ritorna prepotente il sogno maschile di creare la vita senza la donna; una fantasia che ha animato la scienza da sempre, ma che oggi trova nuova linfa nelle tecnologie riproduttive. Lo ha scritto diversi anni fa Barbara Duden: negli ultimi decenni si è attivata una spirale di espropriazione del corpo delle donne. Il corpo delle donne come luogo pubblico, ha scritto. Ma questo non significa riproporre l'idea di una cosiddetta procreazione naturale contrapposta a quella cosiddetta artificiale. Significa al contrario rimettere la donna al centro, chiamando al controllo sia del potere medico-scientifico, sia soprattutto di quello religioso. Questo è il punto. La chiesa cattolica oggi muove la sua riconquista dei fedeli, partendo dalla riconquista del potere sulla libertà delle donne e dell'egemonia sul concetto di vita. E' un offensiva che merita una risposta adeguata, senza alcun cedimento. Per farlo non basta dire che la legge 194 non si tocca, E' vero, non si deve toccare, perché in questo clima andrebbe solo peggiorata. Ma la legge 194 non era e non è il massimo che si poteva ottenere. Basta leggerla e si capisce che molti degli attacchi all'interruzione di gravidanza sono resi possibili da come fu formulata. Una gran parte del movimento delle donne chiedeva negli anni Settanta la depenalizzazione di reato di aborto ma non voleva una normativa. Le questioni sono allora altre. Si deve avere il coraggio di opporre all'idea della vita della chiesa e dei suoi sostenitori come Giuliano Ferrara un'altra idea di vita. All'idea astratta e dogmatica si devono contrapporre le vite vere, reali. I loro bisogni e i loro desideri. Ma per fare quésto non si può tergiversare, non si può accettare il gioco dei numeri: la vita inizia al 22esimo o al 24esimo mese? Inizia appena lo spermatozoo feconda l'ovulo? Bisogna avere il coraggio di dire che non c'è progetto di vita senza che una donna lo voglia. Dire che è nella relazione tra la madre e il figlio che quel progetto nasce e si compie. Su questo la sinistra è in ritardo, ma le femministe no. Da anni e anni hanno prodotto pensiero, riflettuto sulle questioni etiche e bioetiche, hanno detto molto e hanno molto da dire. Basta saperle ascoltare facendo entrare la loro riflessione nell'agenda della sinistra. E' ormai chiaro che sulle libertà, la vita, il corpo, l'autodeterminazione si gioca anche il futuro immediato del paese. Non si deve lasciare al Vaticano l'unica e l'ultima parola, né scendere a patti con loro. Non è più questo tempo di ambiguità.