giovedì 20 dicembre 2007

Gli americani delusi da Dio crescono

Gli americani delusi da Dio crescono

La Stampa del 21 giugno 2007, pag. 48

di Maurizio Molinari

Quando la direzione del riformatorio di Bismarck, in Nora th Dakota, ha ricevuto l’atto di citazione per violazione del principio costituzionale della separazione fra Stato e Chiesa è stata colta di sorpresa. In quest’angolo d’America in pochi pensavano che la decisione di affiliare il «Dakota Boys and Girls Ranch» a due gruppi luterani potesse scatenare una battaglia legale nazionale ma se ciò è avvenuto il merito non è solo della combattiva fondazione "Freedom from Religion" (Libertà dalla religione) quanto del crescente interesse per il fenomeno riassunto dal magazine The Nation come "The New Atheist" (I nuovi ateisti).



Tutto nasce da recenti sondaggi che hanno ridimensionato l’idea che l’America sia un Paese dove «il 91 per cento degli abitanti crede in Dio» come aveva attestato Newsweek all’inizio dell’anno. Prima un Harris poll del Financial Times ha affermato che il 18 per cento degli americani è «agnostico o ateo» e poi il "Barna Group", a metà giugno, è sceso nel dettaglio affermando che «il 9 per cento della popolazione adulta non ha fede» e dunque negli Stati Uniti esistono circa 20 milioni di individui che non hanno alcun legame con Dio.



Numeri che fanno notizia nel bel mezzo di una campagna presidenziale che vede i candidati democratici - Hillary Clinton, Barack Obama e John Edwards - rincorrere i repubblicani su temi come la fede e la preghiera. A lanciare l’allarme per la frana ateista della nazione più religiosa d’Occidente è stato il Christian Post con un accorato appello ai lettori affinché «ignorino, rigettino o affrontino l’aggressività ateista».



A rendere più pressante la sfida degli ateisti è il fatto che i loro portavoce e difensori si moltiplicano. Se fino a qualche tempo fa era il solitario attore Bill Maher a tenere banco sulla necessità di abbandonare i Dieci comandamenti «per concordarne altri sui quali c’è intesa universale», adesso la palma dell’ateismo è passata a scrittori che condividono la passione per le polemiche vivaci.



Christopher Hitchens con il bestseller God is not Great (Dio non è grande, appena pubblicato da Einaudi) spiega «perché la religione avvelena ogni cosa» a causa di un dna «violento, irrazionale, intollerante, alleato di razzismo e tribalismo, contornato da ignoranza, ostile al libero intelletto, sprezzante nei confronti delle donne e coercitivo con i bambini». Hitchens vede nell’Iran proiettato verso l’atomica l’estrema conseguenza dell’eccesso di fede dilagante nel mondo nonché il rischio di un’«Inquisizione nucleare» capace di portare distruzione ovunque. E per invertire la marcia del mondo chiede agli americani di prendere l’iniziativa per «un nuovo illuminismo fondato sull’idea che alla base dell’umanità ci sono l’uomo e la donna».



Ma non è il solo a mietere copie. The End of Faith (La fine della Fede, pubblicato in Italia da Nuovi Mondi Media) di Sam Harris uscì all’indomani dell’11 settembre e somma ristampe, forte di una condanna dei monoteismi che si estende anche alle fedi orientali. «Gli unici angeli che dobbiamo invocare sono la ragione, l’onestà e l’amore - scrive Harris - mentre i demoni da temere sono l’ignoranza, l’odio, l’avidità e la fede, vero capolavoro del Diavolo». Il filosofo Daniel Dennett in Breaking the Spell (Rompere l’incantesimo, Raffaello Cortina editore) motiva l’ateismo in maniera meno virulenta e più metodica, spiegando perché la fede è «un fenomeno naturale» evolutasi dagli «antichi miti popolari» attraverso un percorso «che la scienza deve studiare» per poter demolire. «Le religioni sono sistemi sociali i cui partecipanti giurano di credere ad agenti soprannaturali».



Sull’inganno del «creatore soprannaturale» si sofferma l’etologo britannico Richard Dawkins, docente di comprensione della Scienza all’Università di Oxford, nel suo The God Delusion (La delusione di Dio) arrivato alla fine del 2006 ad essere il secondo libro più venduto da Amazon. Dawkins ritiene che solo gli ateisti «possono essere felici, morali e intellettualmente appagati», che la selezione naturale darwiniana è una «teoria superiore all’ipotesi di Dio», che «i bambini non devono essere etichettati con la fede dei genitori» e che non bisogna vergognarsi di non credere in Dio «perché è sintomo di sanità mentale».


La somma fra sondaggi e idee consente a Ronald Aronson di affidare a The Nation la richiesta agli ateisti di «dare vita a una nuova coalizione» composta anche da «taciti ateisti che solo occasionalmente fanno.riferimento a Dio» ed anche a quegli ebrei e cristiani «spirituali e non contrari alla scienza». Se questa coalizione dovesse riuscire a nascere potrebbe avere come. simbolo la «Costituzione americana» ed aiutare la nazione a tornare sulla strada dei padri fondatori «non credenti» Thomas Jefferson e Thomas Paine.