lunedì 17 dicembre 2007

I vescovi dettano legge al Tribunale

I vescovi dettano legge al Tribunale

Il Manifesto del 26 settembre 2007, pag. 3

di Mimmo De Cillis

La sentenza è arrivata pun­tuale. Dopo quella del tribu­nale, è giunta quella del pul­pito. La Chiesa italiana non ha digerito il pronunciamento del Tribunale di Cagliari sul diritto, con­cesso a una coppia di cittadini talas­semici, di effettuare la diagnosi pre­impianto su un embrione congela­to, per il ricorso alla fecondazione assistita. Proprio ieri la Conferenza Episcopale Italiana chiudeva la sua assemblea del Consiglio permanen­te e l'occasione è stata buona per il segretario generale dei vescovi, mons. Giuseppe Betori, di esprime­re sdegno e disappunto. «Pensavo che i tribunali applicassero le leggi e giudicassero in coerenza con es­se», ha detto piccato il segretario. «La sentenza è in netto contrasto con la legge 40 e con l'interpretazione della Corte Costituzionale: un giudice non può emettere un giudi­zio che smentisce la legge e la Con­sulta». E i vescovi chiudono in men che non si dica la questione della di­scussa legge 40, in cui sembra aprir­si una crepa, per non lasciare alcuna speranza a chi vorrebbe rimet­terla in discussione: «L'abbiamo sempre difesa - ha ricordato Betori - sia pure con le sue imperfezioni. Non abbiamo nessuna intenzione di ritornarci sopra». Così come si preoccupano di legittimare piena­mente ed elogiare l'operato di real­tà quali il «Forum delle associazio­ni familiari», o il comitato «Scienza & Vita», «organismi laicali accomu­nati dai medesimi obiettivi: essere presentì sulla scena del paese, par­tecipare al dibattito pubblico, difen­dere la dignità della persona, co­struire ponti verso gli altri soggetti sociali, esercitarsi nel dialogo con il mondo attraverso il discernimento culturale». Il merito - sottolinea il comunicato firmato da Betori - è quello di «porsi come segno di con­traddizione rispetto al pensiero do­minante e ai comportamenti più diffusi» e di aprire il dialogo con quanti «a livello culturale, politico e sociale sono sinceramente disponi­bili a lasciarsi provocare» dalle que­stioni relative alla vita, alla famiglia, alla società come concepita nel pensiero cattolico.



E la questione della diagnosi sul­l'embrione ha oscurato altri due te­mi toccati nell'intervento di Betori: gli scandali a Firenze («La chiesa non teme la verità») e il movimento dell'antipolitica, bocciato dalla Cei che invece invita i cittadini a parte­cipare attivamente alla vita pubbli­ca e alla dialettica democratica (e partitica) nel paese.



Ma tant'è. Le dichiarazioni di Be­tori hanno provocato il coro dei po­litici nostrani che si sono affannati a rincorrere o delegittimare l'inter­vento dei vescovi. Scandalizzato (!) per la decisione della magistratura sarda è l'Udc che, con il capogruppo alla Camera, Luca Volonté, ha chiesto l'intervento del ministro della Giustizia e ha ricordato che «in Italia l'eugenetica è vietata». Stesso pericolo paventato dal sena­tore Fi Gaetano Quagliariello, men­tre per il presidente Udc, Rocco Bot­tiglione, «il pronunciamento di Ca­gliari viola chiaramente la separa­zione dei poteri fra legislativo e giudiziario». Ben diversa è l'opinione del ministro per il Commercio inter­nazionale, Emma Bonino: «Per for­tuna, un elemento di buon senso», ha commentato, chiedendo: «Quando la tecnologia mette a di­sposizione o dei medicinali o delle soluzioni per problemi del cittadi­no, è possibile impedire a questo cittadino l'accesso alle tecnologie, con motivazioni religiose o di qua­lunque tipo?». E l'associazione Luca Coscioni chiede con urgenza «una riforma della legge 40, assur­da legge proibizionista». «Con le pa­role di Monsignor Betori abbiamo capito che le leggi le fa la Cei e non il Parlamento», nota Lanfranco Turci, vicecapogruppo della Rosa nel Pugno alla Camera. «Al presule vor­remmo ricordare l'obbligo anche per l'episcopato italiano di rispetta­re la Costituzione».


«Il Tribunale di Cagliari ha emes­so una sentenza che non lascia spa­zio all'ipocrisia», chiosa Graziella Mascia, vice presidente dei deputa­ti di Rifondazione comunista. «La giovane donna è malata di talassemia e il rischio che il suo bimbo possa ereditare tale malattia è mol­to forte», spiega Mascia. «Questa vi­cenda dimostra ancóra una volta quanto l'attuale legge sulla procreazione assistita sia un vero e proprio scempio. Accogliere la richiesta del­la giovane coppia significa dare una possibilità in più a chi vuole avere figli. Negare questo diritto è una vergogna».

NOTE

Lettera22