giovedì 20 dicembre 2007

L'errore di Ratzinger

L'errore di Ratzinger
La Stampa.it del 22 maggio 2007

di Adam Michnik
Il numero di «Reset» che esce in questi giorni dedica ampio spazio al rapporto tra religione e società. Tra gli altri intervengono Bruce Ackerman, Giuliano Amato, Massimo Cacciari, Gian Enrico Rusconi, Salvatore Veca, Maurizio Viroli e Adam Michnik, del cui saggio pubblichiamo uno stralcio nella traduzione di Lorenzo Pompeo.

Pilato era un democratico-liberale? Con questa domanda cominciava il cardinale Joseph Ratzinger - oggi papa Benedetto XVI - una polemica con una certa teoria della democrazia. L'attribuì a Hans Kelsen, un teorico del diritto austriaco. Ricordiamolo. Pilato chiese a Gesù: «Allora cos'è la verità?». Questa domanda - diceva Ratzinger - costituisce per Kelsen «l'espressione dell'inevitabile scetticismo del politico». Questa domanda, che contiene già la risposta, che «non si può raggiungere la verità», non è indirizzata tanto a Gesù, quanto alla folla. Pilato, di fronte a un caso dubbio, sottopose la sua decisione «all'opinione del popolo e si comportò da vero democratico: perché non sa cosa sia giusto, e quindi la decisione appartiene alla maggioranza». Secondo l'opinione di Kelsen - notava Ratzinger - «Pilato appare come il simbolo della democrazia orientata verso il relativismo e lo scetticismo, che non si basa sui valori e sulla verità, ma sulle procedure». E dunque per il relativista e lo scettico «non c'è altra verità che la verità della maggioranza». «A quanto pare - aggiunge Ratzinger - il fatto che venisse condannato un giusto, che non aveva commesso alcun reato, non turba affatto Kelsen».

Non è mia intenzione polemizzare con l'interpretazione del pensiero dello studioso austriaco. Tuttavia nessuno al mondo potrebbe oggi sostenere che la condanna di Gesù non lo avesse turbato. Ognuno di noi, scettici e relativisti, anche quelli lontani dalla fede nella persona di Dio, pensa con spavento e dolore a quel verdetto e a quella pena. E, ancor di più, la maggior parte di noi è decisamente contraria alla pena di morte. Ma non è chiaro fino in fondo quale sia l'insieme delle convinzioni e dei principi indicato dal termine «relativismo». Ogni democratico infatti dichiara che non vorrebbe vivere in uno Stato dove tutto è permesso e possibile. Nessuno dice che la verità non esista, anche se, aggiunge, ciò che una volta appariva come una verità innegabile si è rivelato una verità per un certo periodo di tempo, come ad esempio la tesi che la terra fosse piatta. Infine dichiarerà che ci sono alcuni problemi sui quali non osa pronunciarsi, se consistessero nella verità, dal momento che conosce il limite della propria conoscenza. Per questo spesso è scettico nei confronti degli uomini e delle istituzioni, che dal suo punto di vista appaiono come verità ultime e rivelate.

Non ritengo che l'accusa rivolta al democratico-scettico di essere indifferente nei confronti della crocifissione di Gesù sia fondata. Infatti nessuno scettico-democratico accetterebbe una concezione della giustizia nella quale il verdetto sia proclamato da una folla esaltata dall'odio e non da un giudizio indipendente basato sul codice penale. Il processo di Gesù non illustra - sono quindi contrario all'opinione di Joseph Ratzinger - il sistema della democrazia relativistica, dove deve decidere la «verità della maggioranza», che invece è il prototipo dell'omicidio giudiziario, nel quale il verdetto è proclamato dalla marmaglia bestiale. Non è la «democrazia relativistica» - come vuole Ratzinger - che ha emesso il verdetto nei confronti di Gesù, ma il fanatismo della folla, che credeva di possedere la verità rivelata, e l'opportunismo di Pilato, che preferì assecondare la folla piuttosto che essere condannato all'isolamento. Il fanatismo della folla e l'opportunismo dei giudici spesso hanno portato alla morte degli innocenti, che non avevano commesso alcun reato. In realtà non sono stati gli scettici che hanno mandato al rogo Jan Hus o Giordano Bruno; non sono stati loro a decidere torture e roghi per le sfortunate vittime della Santa Inquisizione. No, Pilato non è il simbolo del democratico dotato della virtù - ancorché immacolata - dello scetticismo.

L'esempio di Pilato non è una illustrazione giusta e fedele delle regole che dettano il pensiero e il comportamento dello scettico-democratico; è piuttosto uno stereotipo antilluministico del liberale o dell'umanista laico creato negli ultimi due secoli dall'apologetica devozionale cattolica. Lo scettico-democratico non crede che la pubblica professione di fede dei valori morali sia semplicemente un atto di ipocrisia e un calcolo dettato dagli egoistici interessi privati. Non è un cinico nichilista, che crede solo nella ragione del più forte - e non vuole essere visto in questo modo. Crede nella forza della legge e della democrazia - un ordine basato sulla convinzione che l'uomo libero possa comportarsi secondo i valori nella vita pubblica. Lo scettico-democratico è convinto che il senso umano della giustizia e della tolleranza renda possibile la democrazia, ma che la tendenza umana verso l'ingiustizia e l'intolleranza la renda indispensabile.

Il relativismo dello scettico-democratico non implica il disprezzo dei valori morali, ma il rispetto per le diversità umane. Crede tuttavia che su questa terra l'homo religiosus rappresenti una realtà empirica tanto quanto l'homo scepticus. Semplicemente esistono e abitano insieme questo mondo. Possono litigare tra loro, ma comunque devono imparare a convivere. Lo scettico-democratico sa che, incontrando sul suo cammino il democratico-cristiano, deve mettere tra parentesi le proprie convinzioni filosofiche. Deve dire a se stesso che, dal momento che così tanti pensatori lo assicurano in buona fede che la religione è il prodotto delle circostanze esteriori, un genere di falsa coscienza, allora forse anche il suo ateismo - o agnosticismo - è il risultato di altre circostanze esterne, una falsa coscienza di un altro genere. Il democratico-scettico sa che vivere con questa consapevolezza non è facile. È come vivere con una malformazione del cuore dalla nascita. Si può vivere, ci si può godere la vita, ma è necessario fare attenzione...

Uno scettico-democratico, in altre parole, dice: non credo di poter essere un santo e non credo che sarò salvato, ma da ciò non consegue che posso essere un mascalzone. Lo scettico-democratico non approverà mai il trasferimento dei principi della maggioranza parlamentare nel mondo della dimensione della giustizia - in questo mondo il dittatore è la legge e non la maggioranza. Del resto, tra la folla che gridava: «Crocifiggetelo», qualcuno forse aveva condotto una votazione? Come si era comportata quella folla? Con quali sentimenti? Lo scettico-democratico non crede che fossero i sentimenti religiosi - la religione ricorderebbe alla gente il semplice divieto: «Non uccidere!». E tanto più non crede che fossero guidati dallo spirito dello scetticismo liberale. Quello spirito certamente gli suggerirebbe: «Trovandoti nel mezzo delle emozioni della folla, non giudicare la vita altrui; non sei tu che hai sacrificato la vita, non sei tu che hai l'autorità di distruggere questa vita».

Come non ricordare - anche se ciò potrebbe essere noioso - che non furono gli scetticidemocratici a compiere i sacrifici aztechi al dio sole; non furono loro - tra lo schiamazzo della folla radunata nella piazza - a condannare a morte gli eretici, i blasfemi e i filosofi superbi… non furono loro a indossare le toghe dei procuratori e dei giudici al servizio di Hitler o di Stalin… Chi erano dunque quegli uomini? Dei fanatici impregnati di una fede degenerata? Dei cinici? Oppure semplicemente dei crudeli? Oppure semplicemente dei vigliacchi? Di una cosa lo scettico-democratico è convinto: in qualsiasi modo si siano comportati, il loro comportamento ha smentito quei valori ai quali il mondo cristiano è dedito: la fede, la speranza e la carità. E ovviamente hanno smentito i fondamenti del mondo dei valori dello scettico-democratico: la fede nella nobiltà, nel sentimento di fratellanza, nella disponibilità al sacrificio, nella ostinata voce della coscienza. E Pilato? Vale la pena chiamare scettico questo vigliacco opportunista? È forse necessario, per spiegare la natura della vigliaccheria, appellarsi - come ha fatto Ratzinger - agli scritti di Hans Kelsen? Il nostro mondo non è forse pieno di questi... Pilato?

Lo scettico-democratico sa bene quante cose importanti non sappia: sul mondo, sulla gente, persino su se stesso. Per questo, pieno di scetticismo persino nei confronti di se stesso, ripete le parole di San Paolo nella lettera ai Filippesi: «In conclusione, fratelli, tutto quello che è vero, nobile, giusto, puro, amabile, onorato, quello che è virtù e merita lode, tutto questo sia oggetto dei vostri pensieri (Fil., 4,8)». Sia tutto ciò oggetto dei nostri pensieri, senza domandare in continuazione, insistentemente, se appartenga alla Chiesa e se sia conforme all'ortodossia. Alcune domande lasciamole alle prossima generazione. Oppure al Signore.