"Serve una barricata laica e laicista per respingere i pasdaran del papa"
Liberazione del 12 aprile 2007, pag. 1
di Angelo d'Orsi
No. Non se ne può più. Ho già, su queste stesse colonne, emesso il mio grido di protesta; ma, davanti all'insistente fuoco di fila di organismi clericali, di opinionisti schierati indefettibilmente a guardia dell'Oltretevere vaticano, di politici "laici" che ad ogni stormir di fronda si sentono in dovere di inviare messaggi conciliantemente remissivi verso San Pietro, ebbene non posso tacere. Non possiamo tacere. Credo, senza enfasi, che siamo in una vera e propria emergenza della dimensione laica della politica, che rischia di essere sommersa, e forse cancellata per sempre, da un'invadenza gravissima da parte della sfera religiosa. Posto che (anche questo ho già scritto) l'assalto alla laicità della politica giunge non soltanto da parte del cattolicesimo istituzionale, ma anche da altre confessioni religiose - islamismo ed ebraismo, in particolare -, non v'è dubbio che hic et nunc, dobbiamo difenderci in primo luogo dall'insistente assalto che i pasdaran del papa, una pattuglia diventata esercito, conducono quotidianamente.
Trovo bizzarro, oltre che preoccupante, che una scritta su di un muro di una parrocchia, all'insegna di un anticlericalismo ingenuo, pure volgare, magari un po' stantio, contro Ratzinger o contro i suoi mastini, da Bagnasco a Ruini, generi un immediato bisogno, da parte di governanti e amministratori, di inviare telegrammi di "solidarietà", con parole alte e roboanti che interpretano i "sentimenti più autentici del popolo italiano". E se gli italiani covassero dentro un fastidio crescente per l'invadenza vaticana? E se gli italiani non ne potessero più di sentirsi ogni giorno - ripeto: ogni giorno, quasi a mo' di santificazione del calendario gregoriano - precettare, imbonire, redarguire, minacciare da qualche prelato, non importa quale sia lo scranno da cui parla? Prelati, che, nell'era ratzingeriana, si sentono più che mai investiti di una missione salvifica verso il genere umano; e poiché gli umani sotto tiro sono i nostri concittadini, che hanno la ventura di vivere nel Paese sede della cattolicità, ne consegue che siamo noi, tutti noi - anche i non cattolici, i non credenti, gli agnostici e gli atei dichiarati - i destinatari delle reprimende e delle censure ecclesiastiche. E se ci si permette di sollevare dubbi, di invocare la libertà delle coscienze, di sottolineare che lo Stato italiano, da Cavour a Einaudi, ossia nella sua duplice fondazione, quella liberale-monarchica, e quella democratico-repubblicana, ha introiettato i principi della separazione dei poteri e quelli della indispensabile laicità dell'azione politica, ebbene, davvero, apriti cielo. Ecco scattare l'accusa di anticlericalismo, se non addirittura di anticattolicesimo o anticristianesimo. (Riflesso condizionato che opera secondo un meccanismo analogo per cui chi critica Israele viene ipso facto bollato come antisemita).
Anticlericali, dunque, coloro che criticano il papa? Anticlericalismo è sottolineare l'ossessiva coazione a ripetere di cui la curia romana dà prova attaccando qualsiasi proposta, legge o semplice discorso sui temi della bioetica, delle relazioni interpersonali, ma più in generale sulle forme della convivenza civile? Se lo è, ebbene oggi dovremmo dire, anzi dobbiamo dire e proclamare con voce forte e chiara, che non possiamo non essere anticlericali. Tanto più, se riteniamo di appartenere alla schiera di coloro che per mestiere e vocazione intendono schierarsi sotto le insegne di una sola bandiera, quella della Ragione critica. Se rinasce oggi l'anticlericalismo - ammesso e non concesso - ciò si deve esclusivamente a questa pontificia ossessione (su cui uno psicanalista avrebbe certo da lavorare...) interventista, su quelle sfere ma in realtà su tutto. Dinanzi all'offensiva di un nuovo, violento estremismo clericale, difficile non aspettarsi una risposta di segno uguale e contrario. Del resto, credo che l'anticlericalismo oggi non sia nemmeno riproponibile, culturalmente, se lo pensiamo nei termini del "cloro al clero" e altre sciocche beceraggini. La parte migliore del pensiero laico, razionale, democratico e dello stesso marxismo critico contemporaneo - Gramsci in testa -ha gettato alle ortiche siffatto anticlericalismo. Ciò che invece è necessario e anzi urgente è dare vita a una vera e propria barricata laica: non possiamo lamentare e condannare, giustamente, la soggezione della politica alla religione in certe realtà del mondo islamico - ma non soltanto -, e non vedere quel che succede da noi. Non si tratta di puntare l'indice accusatore sul papa, davanti alle troppe nefandezze che in un modo o nell'altro riconducono all'occhiuta, censoria politica della Chiesa; si tratta invece di difendere, con il nostro lavoro - di insegnanti, di ricercatori, di scrittori, di organizzatori di cultura - la laicità. E non si replichi che questa è cosa buona, mentre il laicismo sarebbe cosa cattiva. Sono la stessa cosa, esprimono gli identici valori, danno voce alla medesima esigenza: tutelare la libera scelta degli individui, assicurare a tutti, e in particolare alle "fasce deboli", le garanzie del sostegno dello Stato; eliminare, nel segno dell'uguaglianza, le differenze tra persone in base al genere, ai ruoli, alle opzioni religiose. In una sola parola, il laicismo, idea e pratica della laicità, che in filosofia è la difesa del primato del principio della Ragione libera contro il principio di autorità; in politica, è innanzi tutto la rivendicazione della sovranità della politica fondata sulle scelte, contro la politica fondata sulle appartenenze e le fedeltà. In tal senso, nella nazione sul cui territorio sorge quell'anacronistico residuo di Stato Pontificio, il laicismo è una trincea in pericolo, quasi una linea Maginot apparentemente imprendibile, ma di fatto aggirabile grazie alla complicità di pochi e all'inerzia di tanti.
Liberazione del 12 aprile 2007, pag. 1
di Angelo d'Orsi
No. Non se ne può più. Ho già, su queste stesse colonne, emesso il mio grido di protesta; ma, davanti all'insistente fuoco di fila di organismi clericali, di opinionisti schierati indefettibilmente a guardia dell'Oltretevere vaticano, di politici "laici" che ad ogni stormir di fronda si sentono in dovere di inviare messaggi conciliantemente remissivi verso San Pietro, ebbene non posso tacere. Non possiamo tacere. Credo, senza enfasi, che siamo in una vera e propria emergenza della dimensione laica della politica, che rischia di essere sommersa, e forse cancellata per sempre, da un'invadenza gravissima da parte della sfera religiosa. Posto che (anche questo ho già scritto) l'assalto alla laicità della politica giunge non soltanto da parte del cattolicesimo istituzionale, ma anche da altre confessioni religiose - islamismo ed ebraismo, in particolare -, non v'è dubbio che hic et nunc, dobbiamo difenderci in primo luogo dall'insistente assalto che i pasdaran del papa, una pattuglia diventata esercito, conducono quotidianamente.
Trovo bizzarro, oltre che preoccupante, che una scritta su di un muro di una parrocchia, all'insegna di un anticlericalismo ingenuo, pure volgare, magari un po' stantio, contro Ratzinger o contro i suoi mastini, da Bagnasco a Ruini, generi un immediato bisogno, da parte di governanti e amministratori, di inviare telegrammi di "solidarietà", con parole alte e roboanti che interpretano i "sentimenti più autentici del popolo italiano". E se gli italiani covassero dentro un fastidio crescente per l'invadenza vaticana? E se gli italiani non ne potessero più di sentirsi ogni giorno - ripeto: ogni giorno, quasi a mo' di santificazione del calendario gregoriano - precettare, imbonire, redarguire, minacciare da qualche prelato, non importa quale sia lo scranno da cui parla? Prelati, che, nell'era ratzingeriana, si sentono più che mai investiti di una missione salvifica verso il genere umano; e poiché gli umani sotto tiro sono i nostri concittadini, che hanno la ventura di vivere nel Paese sede della cattolicità, ne consegue che siamo noi, tutti noi - anche i non cattolici, i non credenti, gli agnostici e gli atei dichiarati - i destinatari delle reprimende e delle censure ecclesiastiche. E se ci si permette di sollevare dubbi, di invocare la libertà delle coscienze, di sottolineare che lo Stato italiano, da Cavour a Einaudi, ossia nella sua duplice fondazione, quella liberale-monarchica, e quella democratico-repubblicana, ha introiettato i principi della separazione dei poteri e quelli della indispensabile laicità dell'azione politica, ebbene, davvero, apriti cielo. Ecco scattare l'accusa di anticlericalismo, se non addirittura di anticattolicesimo o anticristianesimo. (Riflesso condizionato che opera secondo un meccanismo analogo per cui chi critica Israele viene ipso facto bollato come antisemita).
Anticlericali, dunque, coloro che criticano il papa? Anticlericalismo è sottolineare l'ossessiva coazione a ripetere di cui la curia romana dà prova attaccando qualsiasi proposta, legge o semplice discorso sui temi della bioetica, delle relazioni interpersonali, ma più in generale sulle forme della convivenza civile? Se lo è, ebbene oggi dovremmo dire, anzi dobbiamo dire e proclamare con voce forte e chiara, che non possiamo non essere anticlericali. Tanto più, se riteniamo di appartenere alla schiera di coloro che per mestiere e vocazione intendono schierarsi sotto le insegne di una sola bandiera, quella della Ragione critica. Se rinasce oggi l'anticlericalismo - ammesso e non concesso - ciò si deve esclusivamente a questa pontificia ossessione (su cui uno psicanalista avrebbe certo da lavorare...) interventista, su quelle sfere ma in realtà su tutto. Dinanzi all'offensiva di un nuovo, violento estremismo clericale, difficile non aspettarsi una risposta di segno uguale e contrario. Del resto, credo che l'anticlericalismo oggi non sia nemmeno riproponibile, culturalmente, se lo pensiamo nei termini del "cloro al clero" e altre sciocche beceraggini. La parte migliore del pensiero laico, razionale, democratico e dello stesso marxismo critico contemporaneo - Gramsci in testa -ha gettato alle ortiche siffatto anticlericalismo. Ciò che invece è necessario e anzi urgente è dare vita a una vera e propria barricata laica: non possiamo lamentare e condannare, giustamente, la soggezione della politica alla religione in certe realtà del mondo islamico - ma non soltanto -, e non vedere quel che succede da noi. Non si tratta di puntare l'indice accusatore sul papa, davanti alle troppe nefandezze che in un modo o nell'altro riconducono all'occhiuta, censoria politica della Chiesa; si tratta invece di difendere, con il nostro lavoro - di insegnanti, di ricercatori, di scrittori, di organizzatori di cultura - la laicità. E non si replichi che questa è cosa buona, mentre il laicismo sarebbe cosa cattiva. Sono la stessa cosa, esprimono gli identici valori, danno voce alla medesima esigenza: tutelare la libera scelta degli individui, assicurare a tutti, e in particolare alle "fasce deboli", le garanzie del sostegno dello Stato; eliminare, nel segno dell'uguaglianza, le differenze tra persone in base al genere, ai ruoli, alle opzioni religiose. In una sola parola, il laicismo, idea e pratica della laicità, che in filosofia è la difesa del primato del principio della Ragione libera contro il principio di autorità; in politica, è innanzi tutto la rivendicazione della sovranità della politica fondata sulle scelte, contro la politica fondata sulle appartenenze e le fedeltà. In tal senso, nella nazione sul cui territorio sorge quell'anacronistico residuo di Stato Pontificio, il laicismo è una trincea in pericolo, quasi una linea Maginot apparentemente imprendibile, ma di fatto aggirabile grazie alla complicità di pochi e all'inerzia di tanti.